martedì 16 dicembre 2025

La propaganda russa su Facebook


 

NOPE!


IO NON CI STO.  

È un furto, punto.

Un furto travestito da virtù, da legalità, da “decisione responsabile”. E io non ci sto a farmi usare come foglia di fico.  

Non in mio nome. W l’onestà, quella vera, quella che brucia.


La chiamano “confisca delle riserve russe”.  

Che delicatezza, eh.  

Non “rapina”, non “esproprio”, non “presa ostile”. Confisca.  

Una parola da vigile urbano, non da geopolitica nucleare.


Il “congelamento” almeno aveva un che di temporaneo, di reversibile. Era un frigorifero.  

Questo invece è un tritacarne.  

È amputazione, è asportazione, è “ti prendo ciò che è tuo e poi ti spiego che è per la pace”. Una pace che assomiglia sempre più a un’estorsione.


E poi la liturgia ONU, quella che ti dice che i soldi non fanno male. Le bombe sì, i missili sì, i carri armati sì.  

Ma togliere a uno Stato la sua ricchezza nazionale?  

Quello no, quello è un dettaglio contabile.  

Numeri.  

Cifre.  

Linee su un foglio.  

Come se un Paese potesse vivere senza sangue, senza ossigeno, senza nervi.


Nella storia si è fatto partire una guerra per un dazio, per un insulto, per un arciduca sbagliato al momento sbagliato.  

E oggi pretendiamo che uno Stato si faccia strappare il portafoglio, la cassaforte e pure il materasso senza ringhiare.  

È come prendere un leone, strappargli la criniera e poi dirgli:  

“Mi raccomando, sii civile”.


La Russia o qualunque Stato che non voglia farsi calpestare, non si metterà certo a sfogliare la Carta ONU come un chierichetto.  

Dirà quello che ogni potenza direbbe:  

“Questo è un attacco. E io rispondo”.


Potrà chiamarlo aggressione economica, equivalente a un bombardamento.  

Perché se togli a un Paese la capacità di funzionare, cibo, medicinali, ordine interno, non stai facendo diplomazia.  

Stai facendo guerra con i guanti bianchi.


Oppure potrà chiamarlo atto illecito, punto.  

E giustificare qualsiasi contromisura. Anche militare. La rappresaglia è una parola che fa tremare i giuristi, ma non ha mai fatto tremare i governi.


E poi c’è il mondo reale, quello dove non comandano i paragrafi ma i nervi scoperti. La Russia già si sente in guerra ibrida con l’Occidente. Una mossa così non la leggerebbe come un tecnicismo finanziario. La leggerebbe come un colpo di pistola senza proiettile.  

Ma il gesto è quello.  

E la risposta arriverebbe.  

Oh, se arriverebbe.


Non serve una dichiarazione di guerra.  

Quella è roba da cinegiornale in bianco e nero.  

Oggi si fa molto meglio: attacchi informatici, sabotaggi di cavi sottomarini, strozzature energetiche, incidenti anonimi a infrastrutture critiche. La guerra moderna è un’ombra che ti soffoca mentre fai finta di non vederla.


E non importa se la mano è europea.  

Per Mosca, l’Europa è un nervo collegato a Washington.  

Tocchi l’Europa, tocchi gli Stati Uniti.  

Fine della discussione.


E allora sì: se l’obiettivo è lo scontro frontale, la confisca è il segnale perfetto. Un faro acceso nel buio, visibile da Mosca a Pechino, da Nuova Delhi a tutto il Sud globale.  

Un messaggio semplice, brutale, chirurgico:


“Il gioco è cambiato.  

E non si torna indietro”.


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