1- LA BIOGRAFIA CRIMINALE DI ANTONIO MANCINI, UNO DEI CAPI DELLA BANDA DELLA MAGLIANA 2- “TUTTA L’OPERAZIONE EMANUELA ORLANDI È FUMO NEGLI OCCHI. DOMANI SI POTRÀ URLARE “VISTO CHE IL VATICANO NON C’ENTRA NULLA?”. PERCHÉ NON HANNO APERTO PRIMA?” 3- “IL RAPIMENTO DECISO DA MAFIOSI E TESTACCINI. PIÙ DI 200 MILIONI DI $ CHE NON RIENTRAVANO E CHE LA BANDA AVEVA RICICLATO PER LO IOR E CHE NON AVEVA PIÙ RIVISTO” 4- “A PORTARE A WOJTYLA LA FOTO SCATTATA IN PISCINA CON LE SUORE FU GELLI IN PERSONA” 5- MORO: “FUMMO NOI A TROVARE IL COVO DI VIA MONTALCINI. LA NOTIZIA A FLAMINIO PICCOLI. LE BR ERANO COMPLETAMENTE ETERODIRETTE DAI SERVIZI, INFILTRATE DALLO STATO” 6- “NICOLETTI GESTIVA I NOSTRI SOLDI E QUELLI DI ANDREOTTI, CONTEMPORANEAMENTE” 7- “PECORELLI L'ABBIAMO UCCISO NOI E I SICILIANI. DE PEDIS AVEVA LA PISTOLA CON CUI ERA STATO AMMAZZATO E DORMIVA A VILLA BORGHESE IN UNA CASA DEI SERVIZI SEGRETI” 8- “L’ATTRICE GIOIA SCOLA STAVA SIA CON PAOLO BERLUSCONI CHE CON UN AMICO MIO” 9- “STRAGE DI BOLOGNA? FURONO I FASCISTI MANOVRATI DALLO STATO. FORSE DELLE CHIAIE”
Rita Di Giovacchino e Malcom Pagani per "il Fatto quotidiano"
"Io non sono buono, sò un figlio de na mignotta". I capelli bianchi, gli occhi neri, due fessure protette dagli occhiali. La biografia criminale di uno dei capi della Banda della Magliana riversata su nastro in un pomeriggio marchigiano di caldo, cicale e confessioni. Jesi è un silenzio. Un ordine irreale. Antonio Mancini, l'accattone, ci vive da 16 anni. Ai tempi in cui divideva proventi, cocaina e azioni con gli amici fascisti, Mancini sfiorava l'eresia.
Leggeva Pasolini, prendeva la mira parafrasando Mohammed Alì: "Bumayè", regolava conti, dominava Roma: "Ero un drizzatorti. Conquistavo zone, esigevo crediti, punivo gli insolventi. A San Basilio i nomi delle strade erano paesi delle Marche. Quando me sò pentito mi è venuto spontaneo indicà uno di quei posti". Integrazione completata. Oggi Mancini è un uomo libero. Quindici anni di carcere. Condanne scontate. Nessuna pendenza. È seduto a casa sua. Immagini di Che Guevara, volumi di Marx, Bibbie, Vangeli. Da un computer le notizie sul ritrovamento dei resti di De Pedis a Sant'Apollinare.
Di altre ossa: "Non sono di Emanuela Orlandi e tutta l'operazione è fumo negli occhi. Domani si potrà urlare «visto che il Vaticano non c'entra nulla?». Perché non hanno aperto prima? Troppo champagne ubriaca e qualcuno, anche tra gli inquirenti, ha riempito i bicchieri fino all'orlo". Nel tempo libero, quando i demoni di un passato incancellabile non tornano a fargli visita, Mancini aiuta i disabili. Loro non sanno.
E lo adorano. "Un giorno vidi passare un pulmino pieno di ragazzini. Salutavano. Andai da Sebastianelli, il commissario di Polizia del luogo e lo pregai: ‘Mi dia una possibilità , sarei felice di fare il buffone per loro'. Lui garantì per me e adesso, quell'impegno è diventata la ragione della mia vita". L'accento romano è imbastardito. I ricordi lucidi. La rabbia ancora giovane. "Sono anni che dico che la Magliana è viva. I magistrati mi danno retta a intermittenza, ma nessuno ha la forza di smentirmi. Io non ho opinioni. A domanda rispondo e se non so, sto zitto".
Quante persone ha ucciso, Mancini?
Con la
"bandaccia" tante. Prima, quando operavo a Val Melaina, ancora di più.
Ogni volta che dovevo ammazzà qualcuno io dicevo "lo mandamo a salutÃ
Adriano". Era come una parola d'ordine.
Chi era Adriano?
Mio padre. Comunista tutto d'uno
pezzo. Me diceva sempre "addavenì baffone". Sotto lo studio di Lucio
Libertini, il deputato, aveva messo le radici. Libertini gli aveva
promesso una casa popolare. Noi vivevamo in otto in due camere. Ma
baffone non arrivava mai e mio padre è morto senza avere un tetto. E io
guardavo quelli con il Rolex e la Ferrari e mi ripetevo: "Mejo dù anni
ar gabbio che stà in due camere con sei creature".
Quale è l'omicidio che le è più rimasto impresso?
Quello
di Nicolino Selis. Lui temeva di finire ammazzato, ma riuscimmo a
fissare un appuntamento in una villa di Ostia. Gli dissero che ero
uscito dalla Banda, che mi ero messo in proprio. E lui cadde in
trappola. Scavammo la buca e lo aspettammo. Mi trovò seduto su un
divano ed ebbe il coraggio di scherzare: "Accattò, ma che finaccia hai
fatto". Io mi girai e risposi: "non sai la fine che stai a fa te". Un
secondo dopo, Abbatino tirò fuori la baiaffa da una scatola di
cioccolatini e gli sparò in testa. Poi presero la mira anche gli altri.
Pentimenti?
Affrontavo le curve a 300 all'ora ed
ero convinto che sarei morto a 30 anni. Ho risparmiato gente che avrebbe
meritato di morire e ucciso fratelli che si fidavano di me.
E le sembra normale?
Un mio amico studioso di
sciamanesimo sostiene che in fondo non sia successo niente. Il mio è
solo un percorso di vita. A 12 anni volevo dominare il mondo. Quando la
cavalcata epica si è trasformata in una pozzanghera di sangue, ho detto
basta. La mia prima figlia era cresciuta senza un padre, non volevo che
con la seconda accadesse lo stesso.
Uccideva per i soldi?
Sono stato miliardario, ma
il denaro l'ho sempre disprezzato. I soldi li ho avuti ma me li sò
magnati tutti. Adesso sono rovinato, dormo in uno spazio grande come una
cabina telefonica. Ci siete, potete valutare.
Quanti metri quadri?
Metri? Centimetri. Sono
stato io a chiedere al Comune di vivere qui in periferia. Neri, gialli,
rossi. Gente che ti suona alle due di notte. "Che c'hai una birra?" Lo
stagno mio.
Ieri nuotava nella criminalità .
Come Renatino De
Pedis, di cui oggi si parla tanto. Con lui ruppi nel momento in cui
fece uccidere Edoardo Toscano e fui contento quando l'ammazzarono.
Toscano, l'operaietto, componente della banda, era un mio amico.
De Pedis non lo fu mai?
Non era più un bandito,
si era imborghesito. Oggi sarebbe in Parlamento. Dalla nuova banda che
si era creato tra Tor Pignattara e Marranella si faceva chiamare
Presidente.
Lo pretendeva anche da voi?
Io gli sputavo in
faccia. Era entrato in un giro strano con Massimo Carminati, un fascista
che oggi fa i miliardi con i ristoranti.
Sabrina Minardi - l'ex compagna di De Pedis - dice che tutti sapevano che Renatino era l'uomo del Vaticano.
E
del Cardinal Poletti. Renatino fu accompagnato in Vaticano da Enrico
Nicoletti e Flavio Carboni. Di suo, De Pedis non sapeva "accucchià " due
parole in italiano. Ma era bello. Regale. Presentabile. Mi veniva a
prendere la domenica, andavamo alla pasticceria Andreotti e poi al
Bolognese. Quando parlava con il potente di turno o l'onorevole si
inchinava. Io lo cazziavo e lui ribatteva: "Ah Nì, adesso mi inchino
io, dopo si piegheranno loro".
Che ruolo ebbe De Pedis nel rapimento Orlandi?
Guidò
la macchina che servì al sequestro della ragazza. Il rapimento fu
deciso da mafiosi e testaccini. C'erano soldi che non rientravano e la
scelta era tra lasciare qualche cardinale a terra ai bordi della strada o
colpire qualcuno che fosse vicino al Papa e che aveva rapporti
economici con noi per marcare un segno. Scegliemmo la seconda strada.
Quanti soldi?
Più di duecento milioni di dollari
che la banda aveva riciclato per lo Ior e che non aveva più rivisto
dopo il crack dell'Ambrosiano. Io e Danilo Abbruciati nell'81 andammo a
Milano, per incontrare gente del Banco legata a Calvi e alla P2. A
portare a Wojtyla la foto scattata in piscina a Castelgandolfo in cui
lui era circondato dalle suore fu Gelli in persona. Tutto era legato.
Abbruciati morì nell'82, ucciso da una guardia giurata dopo
il fallito attentato a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco
Ambrosiano.
La guardia giurata non sparò mai e subito dopo
scomparve nel nulla. Abbruciati non era uno sprovveduto. Lo ammazzò lo
Stato, perché Danilo aveva visto troppo. Pensate che a Milano sarei
dovuto andare io. Danilo si rifiutò: "Se viaggio io otteniamo più
soldi".
Perché proprio la Orlandi?
Ve l'ho detto. Il padre di Emanuela non era un semplice messo. Era molto di più.
L'ha mai detto ai famigliari?
Quando vidi
Natalina, la sorella di Emanuela, negli studi di Chi l'ha visto? le
dissi esattamente così. D'altronde Nicola Cavaliere, un bravo
poliziotto, inascoltato, lo disse subito. "La Orlandi è legata ai soldi
della Magliana". I giudici lo ignorarono, nessun magistrato voleva un
carico del genere. Ora hanno detto che mi chiamerà l'Antimafia. Sto
qui, vado, non mi nascondo. Non ho paura di niente.
Non ha perso l'arroganza dei tempi d'oro.
Non è
questione di arroganza, ma di verità . Quando decisi di collaborare per
la prima volta erano presenti Otello Lupacchini e il questore Fiorelli.
Fui chiaro: "Volete il mio aiuto? Non vi ho cercato io. Se lo volete
sappiate che smonterò una a una le bugie di Abbatino". Rimasero
sorpresi.
Il libro di De Cataldo?
Un bufalificio. In
Romanzo criminale ha scritto che disprezzavo Pasolini dandogli del
frocio. "A De Catà , io leggevo Pier Paolo quando tu ancora non eri
nato".
C'è chi sostiene che la Magliana fosse anche dietro al caso Moro.
Certo,
fummo noi a trovare il covo di Via Montalcini. Selis lavorava anche per
Raffaele Cutolo e passò la dritta a Franco Giuseppucci, detto "er
negro". Fu lui a portare la notizia a Flaminio Piccoli. Si incontrarono
carbonari, sotto un ponte, vicino a Piazza Cavour. Le Br erano
completamente eterodirette dai Servizi, infiltrate dallo Stato.
Qualche storico ritiene che Moro a Via Montalcini non sia stato mai.
E
invece c'era. Poi non so se sia passato anche a Palazzo Caetani o a
Palo Laziale, come alcuni suggeriscono. Venni a sapere che le lettere di
Moro e i video degli interrogatori erano stati presi da una ex amante
di Danilo Abbruciati. Un'ex partigiana al soldo del Mossad. Danilo sul
sequestro dello statista Dc sapeva tanto.
Furono esponenti della Banda della Magliana a sparare a Moro?
Possibile.
Non mi meraviglierebbe. Noi, la Mafia, il Vaticano, la politica.
Nicoletti gestiva i nostri soldi e quelli di Andreotti,
contemporaneamente. Il resto dell'arco costituzionale, a iniziare
dall'esponente antiterrorismo più in vista del Pci, sapeva tutto.
C'erano rapporti con i socialisti. Si parlava spesso di un siciliano, un
pezzo grosso. Uno che avevamo tra le mani, cui potevamo rivolgerci
senza troppi problemi e dare disposizioni.
A proposito di Andreotti. Mancini cosa sa del caso Pecorelli?
Tutto.
L'abbiamo ucciso noi e i siciliani. De Pedis aveva la pistola con cui
era stato ammazzato. A finirlo andarono in tre. Angelo La Barbera e
Massimo Carminati.
Il terzo?
Non lo dico, è un mio amico. Quando mi
interrogarono il nome lo feci, ma aggiunsi: "Se lo verbalizzate non
firmo neanche sotto tortura".
Un fascista?
Non attacca.
Il vostro referente mafioso a Roma?
Con Pippo
Calò andavo a mangiare, ma non mi piaceva. Noi della banda pippavamo,
quelli erano sempre in doppio petto. De Pedis dormiva a Villa Borghese
in un appartamento dei servizi segreti, la coca stravolgeva molti
ambiti. E la Magliana li controllava tutti. Facevamo riunioni con i
vertici di Carabinieri e Polizia, con i servizi segreti, con chi ci
avrebbe dovuto arrestare.
Frequentavate anche gente dello spettacolo?
L'attrice
Gioia Scola stava sia con Paolo Berlusconi che con un amico mio. Quando
andai a riferirlo in Procura, al nome di Paolo Berlusconi, il
magistrato spense il registratore. Neanche Silvio, Paolo. Vi rendete
conto? Sputtanare Gioia Scola andava benissimo, Paolo Berlusconi
spaventava.
Cosa sa della strage di Bologna?
Furono i
fascisti manovrati dallo Stato. Forse gente intorno a Delle Chiaie,
forse il gruppo di Massimiliano Fachini. Non Fioravanti e in ogni caso,
qualcun altro della Banda intervenne in un secondo tempo allo scopo di
depistare.
Chi Mancini?
Massimo Carminati. Un fascista che
teorizzava l'ordine nel disordine. Anarcofascisti si facevano
chiamare."Noi uccidiamo il potere" urlavano. Mortacci loro.
Ha le prove per dirlo?
Se sarò chiamato a fornirle, le darò.
Pensa mai alle vittime?
Se è per questo anche ai
carnefici. Alla P2. Con Abbruciati che come Giuseppucci, con i servizi
aveva rapporti solidi, andavo nell'ufficio di Ortolani in Via Bissolati.
Incontravo Luigi Cavallo, che voleva ancora fare il golpe e diceva di
essere amico di Sindona. Noi volevamo salvare Francis Turatello, tirarlo
fuori dal carcere e ai nostri interlocutori milanesi dell'Ambrosiano e
ai piduisti l'avevamo detto chiaramente: "Ci avete chiesto Pecorelli e
Moro e noi abbiamo rispettato i patti. Adesso tocca a voi".
Ma Turatello morì a Badu ‘e Carros nell'agosto 1981 in modo atroce.
Un
dolore enorme. Dicono che l'abbia ucciso Pasquale Barra sventrandolo e
mangiandogli il cuore, ma è una cazzata. Barra prese quattro schiaffi,
gli esecutori furono altri e l'ordine di far fuori Francis lo diede
Luciano Liggio in persona. Francis riceveva lettere dai politici. Lo
chiamavano capo.
Per sparare ai fratelli Proietti nell'81, lei in Via di Donna Olimpia a Roma improvvisò un Far West.
Marcellone
Colafigli era ossessionato dalla morte di Giuseppucci. Dormivamo nella
stessa casa e a volte, di notte, si svegliava. "Nino, er negro è uscito
dal televisore. Continua a ripete ‘na frase". Allora io lo
assecondavo. "Che frase?" E lui: "Ahò, ma nun me vendicate mai?".
Proietti era un ricattatore, bisognava farlo.
Impressiona sentirglielo dire.
Lo capisco, ma la
mia vita non è stato un pranzo di gala. Ho incontrato infami e cornuti.
Ho sparato,ucciso e sempre saputo che un colpo poteva ammazzare anche
me. Quando te tocca te tocca, è inutile che ti guardi le spalle. Se
arriva, arriva.
A De Pedis, nel '90, arrivò.
De Pedis era un
cacasotto. Avrebbe dovuto morire prima, durante una pausa del processo.
Colafigli che non gli aveva perdonato l'omicidio di Edoardo Toscano
fremeva. Aveva preparato il laccio nel furgone dei Carabinieri. Era
livido: "Stamattina je tocca". Lo fermai io. Fabiola Moretti, la mia ex
compagna scrisse a Renatino: "Se te vuoi salvà mettite vicino a Nino".
Lui eseguì, spaventatissimo. E io lo sfottevo: "Stà buono, non sudà ".
Forse così scemo non ero.
Pazzo?
Quando dividevo l'abitazione con Pasquale
Belsito, un neofascista, lo vedevo sempre giocare con le bombe a mano.
Io e Colafigli pippati di cocaina come scimmie eravamo terrorizzati. Se
essere pazzi assomiglia a un'esistenza così, sì, lo sono stato. Mi
sono anche divertito. Con Abbruciati andavamo a donne. A volte, sul più
bello, lo baciavo in bocca, così per creare un diversivo. Ve li
immaginate due delinquentoni come noi impegnati a scandalizzare le
ragazze?
La banda oggi?
Quando ho visto la foto di Mokbel
(l'imprenditore romano che avrebbe supportato l'elezione al Senato di
Nicola Di Girolamo, ndr) sul giornale mi è preso un colpo. Gennaro era
il mio guardaspalle. Con Roberto D'Inzillo mi veniva a prendere in moto
ogni mattina. Ha fatto sue le tecniche della banda, ma il più
pericoloso, il vero capo di Roma, è un altro.
Chi?
Una nostra vecchia conoscenza uscita sempre indenne dai processi. Andate a controllare e troverete il nome.
Come Flavio Carboni all'epoca della Magliana?
Non
fatemi ridere. Carboni era patetico. Si travestiva con tacchi e
parrucchino e faceva affari con Berlusconi. La prima volta che lo vidi
però provai un sollievo assoluto. Se questo è il famoso Carboni, su
Roma e sull'Italia comanderemo per tutta la vita.
C'è una morale in tutto questo?
Ho sempre
diffidato delle morali e non sarei comunque la persona più adatta.
Forse però aveva ragione Domenico Sica, l'ex alto commissario
antimafia. Era certo che la Banda fosse più potente di Cosa Nostra e
dei Servizi messi insieme. Non credo avesse torto.
https://www.dagospia.com/politica/dalla-orlandi-moro-pecorelli-biografia-criminale-antonio-mancini-dei-capi-38980
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