giovedì 8 maggio 2025

Mankind

 


Prima dell'avvento dei pay per view mensili di 3/4 ore, a partire dal 1995, la World Wrestling Federation presentò dei "mini ppv" che chiamava, in maniera secondo me simpatica, "In Your House". Si trattava di eventi del tutto simili ai "classici five" (King of the Ring, SummerSlam, Survivor Series, Royal Rumble e WrestleMania) ma senza la stessa "allure". Una sorta, diciamo così, di passaggi intermedi per portare avanti le rivalità più importanti ed in questo modo tastare il terreno con i fans per l'esplosione che avverrà di lì a poco.


Nella metà degli anni 90, nonostante la "New Generation" dei vari Bret Hart, Shawn Michaels, Diesel e Razor Ramon avessero portato una ventata di freschezza contro i giganti degli anni 80 come Hulk Hogan e "Macho Man" Randy Savage (che nel frattempo erano passati alla rivale WCW), il lottato e le storyline risentivano ancora moltissimo della eredità lasciata dalla gimmick era, con personaggi bislacchi e rivalità non sempre eccezionali.


Ma il giorno dopo WrestleMania XII, nel 1996, le cose iniziarono a cambiare in maniera radicale, con il debutto a Raw di uno dei wrestler più strani, imprevedibili e affascinanti che si siano mai visti: Mankind, una sorta di folle, vestito con una attire di pelle e soprattutto con una maschera che ne celeva in parte il volto del wrestler che lo interpretava, Mick Foley (maschera, tra parentesi, sempre odiata dal lottatore).


Foley, la cui straordinaria capacità di assorbire il dolore lo aveva reso famoso nelle federazioni giapponesi dedite al wrestling hardcore e nella rinomata ECW, aveva già avuto un breve passato in WWF come sparring partner negli anni 80, ed era stato anche uno dei personaggi più bizzarri mai apparsi in WCW, che però non seppe mai veramente che strada intraprendere con il genio creativo e la dedizione per la violenza nel ring che Foley portava ad arte una volta entrato tra le corde del quadrato.


Fu Jim Ross a spingere un super titubante Vince McMahon a mettere sotto contratto quel ragazzone che rispondeva a tutti i requisiti che NON piacevano al boss della WWF: nessuna bellezza esteriore (ed infatti Vince gli mise subito una maschera in faccia), fisico da mangiatore di hamburger e presenza scenica - ma solo all'apparenza - non eccezionale.


Ma la sua magnetica capacità di trasmettere emozioni, con la sua voce inquietante, lo sguardo folle e le sue azioni totalmente prive di una classica logica, fecero subito breccia nel cuore del chairman e del pubblico medio della Federazione dell'epoca, che non ne conosceva il passato hardcore.


Ma fu durante uno dei sopra citati In Your House, Mind Games, che il vecchio Mick Foley, quello che sotto la giacca di flanella interpretava il maniaco da Truth or Consequences, New Mexico, ovvero Cactus Jack, venne fuori con prepotenza, ed in una cornice del tutto speciale: un match valido per il titolo assoluto contro il campione in carica, Shawn Michaels.


Il match viene ancora oggi ricordato come uno dei migliori della serie degli In Your House, grazie all'imprevedibilità di Foley, con sequenze come pugnalarsi il ginocchio per riacquistarne la sensibilità dopo che HBK lo aveva ripetutamente preso di mira o il fatto di strapparsi ciocche di capelli con le proprie mani per la disperazione ogni qualvolta Michaels usciva dal conto di 2.


Non solo Foley però, anche Michaels darà prova di sapersi adattare ad uno stile ben diverso da quello a cui ci aveva abituato, indugiando in duri colpi, lanciando l'avversario sul cemento duro e subendo lui stesso in modo pesantissimo.


Alla fine, il match si concluse con una squalifica per interferenza, rovinando forse un finale più degno di questo scontro tra titani. Poco male, però. Sebbene Michaels e Mankind/Foley non si troveranno più in un match così importante l'uno contro l'altro, per Mick Foley fu una carta d'identità importantissima, che lo porterà sempre più in alto ed in match sempre più rischiosi, come l' "I Quit" match contro The Rock alla Rumble del 1999 (con la moglie ed i figli giustamente scioccati da ciò che stavano vedendo) ed ovviamente il classico "hell in a cell" di King of the Ring 1998, che sancì un limite (fortunatamente mai più raggiunto) per i momenti hardcore in WWF.


Un classico, quello di "Mind Games", che ancora oggi, a distanza di moltissimi anni, riscuote successo e fa rimanere a bocca aperta anche i fan moderni della disciplina.


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