L'istruzione per i greci era prima di tutto una costruzione sociale e culturale. La paideia rappresentava l’insieme di valori, conoscenze e pratiche culturali che hanno caratterizzato la Grecia antica. I giovani venivano formati per diventare cittadini e soldati al servizio dello Stato. Oggi si ritiene che anche le ragazze fossero integrate nel sistema educativo ellenico. Tale educazione doveva plasmare il corpo e l’anima del giovane, formandolo a quelle che sarebbero state le sue fondamentali funzioni pubbliche: quella di cittadino. I bambini e le bambine trascorrevano i primi anni, di vita tra le pareti domestiche, affidati alla madre. Nelle famiglie che potevano permetterselo, erano affidati a una nutrice quasi sempre di condizione schiavile. All’età di sette anni, bambini e bambine lasciavano le proprie famiglie e passavano sotto il controllo di un funzionario statale preposto alla gioventù, il paidonòmos, ossia «prefetto dei fanciulli». Raggruppati per età, essi imparavano a socializzare, a rispettarsi reciprocamente, a emulare i migliori, a ubbidire ai compagni più grandi. A questi, armati di frusta, era affidata la guida del gruppo, sottomesso a una disciplina durissima. Errori e cedimenti comportavano punizioni severe e discredito presso i compagni, e potevano costare anche la vita. I fanciulli venivano forniti di un’unica veste e di un unico mantello per tutto l’anno, con cui dovevano affrontare anche il rigido clima invernale. Dovevano fabbricarsi da soli i propri giacigli con erbe e giunchi. Ricevevano pasti molto scarsi, così da abituarsi a sopportare il digiuno. Venivano impartiti loro rudimenti di lettura e scrittura, mentre le attività atletiche venivano privilegiate. A Sparta questa formazione era perfettamente funzionale agli obiettivi dello Stato. Il fanciullo infatti doveva diventare un soldato, pronto a battersi fino alla vittoria o alla morte. La fanciulla una madre forte e coraggiosa. Finito il corso di formazione, un limitato numero di ragazzi spartani (designati come potenziali capi futuri) era sottoposto al rito della krypteia: il giovane, portando con sé solo un pugnale e il necessario per mangiare, veniva allontanato dalla città. Di giorno si disperdeva in luoghi nascosti, di notte andava a caccia di iloti, per attaccarli e ucciderli a scopo dell'addestramento militare.
Isocrate indica nella civiltà ellenica il vertice della sapienza umana e descrive la grecità come un contenuto culturale, cioè un’identità: si chiamano greci quelli che partecipano della nostra cultura, non quelli in cui scorre il nostro stesso sangue.
L'educazione di Achille di Chirone, affresco proveniente da Ercolano, I secolo d.C. (Museo Archeologico Nazionale, Napoli).
Nel 1900 l’artista francese Fernand Sabatté dipingeva questa tela, intitolata Uno spartiata addita ai figli un ilota ubriaco. Il dipinto evoca una delle pratiche degradanti alle quali i cittadini di Sparta sottomettevano i loro schiavi, gli iloti, secondo quanto riferisce Plutarco nella sua biografia del legislatore spartano Licurgo.
Alla repressione pura e dura si aggiungevano varie vessazioni che gli iloti dovevano subire. Plutarco racconta che erano costretti a bere smodatamente e condotti nei banchetti pubblici affinché i giovani spartani vedessero con i loro occhi che cosa fosse l’ubriachezza e si moderassero nel bere. Gli spartiati infliggevano altre umiliazioni ai loro schiavi, per annullarne l’autostima. Per esempio, li obbligavano a intonare canzoni e a danzare balli indecenti e ridicoli (a loro, però, erano tassativamente proibite le canzoni e i poemi che cantavano i cittadini spartani). Secondo quanto raccolto nella sua opera Sofisti a banchetto dall’erudito greco Ateneo (che visse tra il II e il III secolo d.C.), ogni anno gli spartiati infliggevano un certo numero di frustate agli iloti, anche se non avevano fatto nulla di male, solo perché non dimenticassero la loro condizione di schiavi.
Mitologia greca
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