Lavorò tutta la vita con AP e vinse un Pulitzer con un reportage dalla guerra di Corea, una delle tante che seppe raccontare
Le mani di un uomo ucciso e abbandonato
dall'esercito nordcoreano in ritirata, e poi ricoperto dalla neve,
Yangji, Corea del Sud, 27 gennaio 1951
(AP Photo/Max Desfor)
Max Desfor, uno dei più famosi fotografi di guerra del Novecento, è morto
a 104 anni nella sua casa a Silver Spring, in Maryland, dove viveva da
quando era andato in pensione nel 1978. Desfor, che era nato a New York,
nel Bronx, l’8 novembre del 1913, lavorò sempre per l’agenzia
fotografica Associated Press, dove entrò nel 1933. Nel 1950 si offrì
volontario per raccontare la guerra di Corea, partì insieme ai
paracadutisti americani e seguì l’avanzata e il ritiro dei soldati
durante il conflitto. Fu in questa occasione che scattò, nel dicembre
del 1950, la sua foto più famosa, quella che l’anno successivo gli valse il premio Pulitzer.
Si trovava su una jeep insieme ai soldati americani che si
stavano ritirando a sud per l’avanzata delle truppe cinesi e nordcoreane
quando si aprì davanti ai suoi occhi «una scena indicibile – come
raccontò nel 1997 – Tutta questa gente che letteralmente strisciava
sulle assi rotte del ponte. Erano all’esterno, all’interno, dentro,
sotto, e riuscivano a malapena a sfuggire l’acqua gelata».
La famosa foto che valse a Max Desfor il premio Pulitzer del 1951. Fu
scattata il 4 dicembre del 1950 e mostra un ponte semi-distrutto dai
bombardamenti sul fiume Taedong, con centinaia di persone provenienti da
Pyongyang, in Corea del Nord, e altre città, che scappavano
dall’avanzata comunista (AP Photo/Max Desfor)
Desfor si era trovato davanti un ponte sul fiume Taedong, bombardato e
semidistrutto, con migliaia di persone che scappavano da Pyongyang e
dalle città vicine. Scese dalla jeep, si arrampicò a 15 metri di altezza
su una struttura del ponte e fotografò la disperazione di quella fuga:
«avevo le mani gelate, non riuscivo nemmeno a tenere in mano la macchina
fotografica e finì che non scattai neanche un intero rullino». La
giuria del Pulitzer scelse il reportage di Desfor in Corea, e in
particolare questa foto, perché aveva «tutte le qualità che distinguono
un’immagine di news: visione, incuranza per la sicurezza personale,
interesse verso l’umanità e la capacità di far raccontare l’intera
storia alla macchina fotografica».
Una
cena del club della stampa nazionale delle donne, con Frances Perkins,
ministro del Lavoro statunitense, e la parlamentare repubblicana Edith
Nourse Rogers, Washington DC, 9 marzo 1940
(AP Photo/Max Desfor)
Un gruppo di donne inginocchiate davanti
al Campidoglio a Washington DC pregano contro il Lend-Lease, un accordo
in cui gli Stati Uniti offrirono materiale bellico agli Alleati durante
la Seconda guerra mondiale, 19 febbraio 1941
(AP Photo/Max Desfor)
La principessa Elisabetta II del Regno
Unito insieme al marito, il principe Filippo, a villa Guardamangia,
Malta, 23 novembre 1949
(AP Photo/Max Desfor)
Un medico e tre infermiere nel Centro medico della Marina americana a Bethesda, in Maryland, 7 febbraio 1942
(AP Photo/Max Desfor)
Il primo ministro indiano Jawaharlal Nehru e Gandhi all'incontro del Congresso indiano a Bombay, 6 luglio 1946
(AP Photo/Max Desfor)
I primi soldati britannici arrivati in Corea del Sud, a Pusan, 29 agosto 1950
(AP Photo/Max Desfor )
L'accensione della pira su cui venne bruciato il corpo di Gandhi, New Delhi, 31 gennaio 1948
(AP Photo/Max Desfor)
Il paesino sudcoreano di Agok, incendiato
dopo i bombardamenti, 14 agosto 1950. Desfor scattò la foto da un aereo
militare americano
(AP Photo/Max Desfor)
Una rappresentazione della Passione di Cristo a Sezze, in provincia di Latina, 5 aprile 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Abitanti di Taegu, in Corea del Sud, davanti a poster di propaganda anti-comunista, nel 1950
(AP Photo/Max Desfor )
Un soldato americano tra le macerie di un quartiere d'affari di Seul, controllata da tre mesi dai nordcoreani, 28 settembre 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Profughi nordcoreani attraversano il fiume parzialmente ghiacciato di Chonghon, vicino ad Anju, 3 dicembre 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Una donna coreana e suo figlio, scappati dai combattimenti nella zona di Osan, in Corea del Sud, 14 gennaio 1941
(AP Photo/Max Desfor)
Parenti del leader nazionalista cinese
Chiang Kai-Shek vicino alla sua bara il giorno del suo funerale a
Taipei, Taiwan, 16 aprile 1975
(AP Photo/Max Desfor)
Un incendio in un paesino indiano vicino a Sranan, in India, 2 novembre 1947
(AP Photo/Max Desfor)
Il presidente statunitense Richard Nixon
con delle ragazzine che si erano esibite in uno spettacolo per lui a
Kweichow, durante il suo famoso viaggio in Cina, 28 febbraio 1976
(AP Photo/Max Desfor)
Hiroshima fotografata nel 1970, 25 anni dopo che era stata sganciata la bomba atomica
(AP Photo/Max Desfor)
Il corpo di Gandhi ricoperto con petali di fiori nella sua casa di Birla a New Delhi, 31 gennaio 1948
(AP Photo/Max Desfor)
Una bambina giapponese con il suo bagaglio prima di essere imbarcata per Honolulu, nelle Hawaii, 12 ottobre 1945
(AP Photo/Max Desfor)
Il primo gruppo di donne e bambini
giapponesi, figli di nazionalisti e soldati che vivevano a Manila,
spostati dal campo in cui erano trattenuti per essere rimandati in
Giappone alla fine della guerra, 12 ottobre 1945
(AP Photo/Max Desfor)
Il centro di Firenze fotografato il 16 marzo del 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Soldati statunitensi ballano a Busan, in un momento di pausa della guerra di Corea, 29 agosto 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Una donna nordcoreana scappata
dall'avanzata comunista e aiutata da un soldato paracadutista americano
appena atterrato a Sunchon, in Corea del Nord. La donna tiene avvolti in
coperte e vestiti i suoi figli
(AP Photo/Max Desfor)
Un nordcoreano catturato dalle forze alleate a Wonju, Corea del Sud, 19 gennaio 1951
(AP Photo/Max Desfor)
Scontri tra poliziotti e manifestanti il giorno del Primo maggio a Tokyo, nel 1952
(AP Photo/Max Desfor)
Al lavoro per trasformare steli di palma in stuoie, sedie e ceste poi vendute ai turisti, Toluca, Messico, 31 agosto 1955
(AP Photo/Max Desfor)
Il presidente americano Richard Nixon con
Chiang Ching, moglie di Mao Zedong, nella Grande sala del popolo a
Pechino, 23 febbraio 1976
(AP Photo/Max Desfor)
La folla davanti all'ambasciata
giapponese a Washigton DC dopo l'attacco alla base di Pearl Harbor e la
dichiarazione di guerra americana, 7 dicembre 1941
(AP Photo/Max Desfor)
Soldati americani fumano tra le macerie di Seul, Corea del Sud settembre 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Il tempio di Birla a New Delhi, 16 luglio 1946
(AP Photo/Max Desfor)
Violet Gibson, Valerie Driskell e Gloria
Geddes, che lavoravano come copy da Associated Press nella redazione di
Washington DC, nel dicembre del 1944
(AP Photo)
Coreani in strada dopo combattimenti e bombardamenti a Seul, Corea del Sud, settembre 1950
(AP Photo/Max Desfor)
Musulmani pregano per la festa di Eid al Fitr a Calcutta, in India, 29 agosto 1946
(AP Photo/Max Desfor)
Soldati americani scherzano con la bandiera giapponese, 1 agosto 1945
(AP Photo/Wartime Still Picture Pool/Max Desfor)
Prima di andare in Corea, Desfor era già stato inviato in altri
conflitti, a partire dalla Seconda guerra mondiale: aveva fotografato
l’equipaggio dell’Enola Gay dopo che aveva sganciato la bomba atomica su
Hiroshima ed era insieme ai marines nella baia di Tokyo quando il
Giappone si arrese. Poi lavorò nelle Filippine e in India, dove
fotografò Gandhi, il suo assassinio e il suo funerale. Si trasferì a
Roma e quando stava per tornare negli Stati Uniti scoppiò la guerra di
Corea; nel 1968 divenne responsabile dell’area asiatica, un ruolo che
ricoprì fino alla pensione, nel 1978. Con la moglie Clara, morta nel
2004, ha avuto un figlio, Barry.
Max Desfor nella sua casa a Silver Spring, in Maryland, 11 novembre 2015 (AP Photo/Jon Elswick)
Desfor è l’autore di un’altra fotografia famosa e intensa, scattata
sempre in Corea. Mostra la punta delle dita di due mani che spuntano
dalla neve: erano blu per il freddo e legate ai polsi, e appartenevano a
uno dei tanti civili fatti prigionieri e uccisi durante la guerra,
abbandonati nei campi e ricoperti dalla neve. «Più tardi chiamai quella
foto Futility (Futilità) perché è sempre stato così, ho sempre
pensato che sono i civili a trovarsi in mezzo, quant’è inutile la guerra
per i civili, i civili innocenti. E la foto incarna tutto questo».
https://www.ilpost.it/2018/02/19/max-desfor-fotografo-ap-pulitzer-morto/
Berlusconi71
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