"Se
voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri,
allora io dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il
diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato,
privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli
altri i miei stranieri."
Lorenzo Milani nacque a Firenze il 27
maggio 1923. I genitori, facoltosi e agnostici, decisero di sposarsi e
battezzare il figlio all'inizio degli anni Trenta. Non lo fecero per
fede ma perché, essendo la madre di Lorenzo di origine ebraica, volevano
mettersi al riparo dalla crescente ondata di antisemitismo.
Cresciuto
in un ambiente molto aperto culturalmente, Lorenzo imparò diverse
lingue e si mostrò fin da giovanissimo interessato al mondo dell'arte,
tanto da iscriversi all'Accademia di Brera.
Convinto antifascista,
nel corso della guerra decise di entrare in seminario. Ordinato
sacerdote nel 1947 Lorenzo si dimostrò da subito riottoso ad accettare
certe regole della Chiesa, che sentiva lontane dall'originale messaggio
cristiano.
A causa delle sue intemperanze venne spedito a Barbiana,
sperduta frazione appenninica. Qui Don Milani ricreò una scuola popolare
destinata ai ragazzi del paese che, figli di contadini e pastori,
spesso erano costretti a trascurare gli studi per adempiere ai doveri
familiari. L'idea era quella di creare una scuola inclusiva, aperta ed
egualitaria, in cui gli studenti non mirassero a primeggiare gli uni
sugli altri ma ad aiutarsi a vicenda, per crescere insieme tanto nello
studio quanto nella vita.
Don Milani abolì ogni punizione corporale,
all'epoca erano ancora permesse dal codice scolastico italiano, e si
batté per denunciare il classismo che imperava nel mondo
dell'istruzione. La sua esperienza fu duramente criticata, tanto negli
ambienti laici che in quelli ecclesiastici. Addirittura il Santi'Uffizio
proibì la pubblicazione del suo libro "Esperienze Pastorali".
Pacifista
e convinto sostenitore del diritto all'obiezione di coscienza nel
servizio militare, fu oggetto di procedimenti giudiziari per apologia di
reato dopo che in una lettera ai cappellani dell'esercito aveva scritto
"le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere,
mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo
io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto."
Il pensiero e
soprattutto l'esperienza della scuola di Barbiana emergono lucidamente
in "Lettera ad una professoressa", testo uscito dopo la prematura morte
di Don Milani, avvenuta nel giugno del 1967.
Per tutta la sua vita
aveva scelto di seguire un motto che poi diventerà celebre, scritto
anche sulla porta della scuola: "I care".
"Mi interessa, me ne prendo cura, ho a cuore."
Aveva scelto di vivere per gli altri.
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