L'ex segretario di Stato di Ronald
Reagan morto a 100 anni. Fu capace di mettere fine alla Guerra Fredda
nonostante l'ostilità del Pentagono
NEW YORK - Se n’è andato un grande vecchio della politica americana, George Shultz,
uno dei personaggi più influenti nel partito repubblicano del
dopoguerra. Ha fatto in tempo a compiere cent’anni, nella sua Stanford
in California dove continuava a irradiare influenza nel campo
conservatore attraverso la Hoover Foundation.
Fu protagonista negli anni Ottanta della vittoria americana nella
guerra fredda contro l’Unione Sovietica, in quanto segretario di Stato
di Ronald Reagan. In precedenza Shultz aveva già ricoperto posizioni importanti nelle Amministrazioni di altri due presidenti repubblicani, Dwight Eisenhower e Richard Nixon. Era riuscito a emergere intatto dallo scandalo del Watergate.
Dopo l’esperienza al fianco con Reagan era rimasto uno dei notabili del partito repubblicano: ispiratore della candidatura di George W. Bush alla Casa Bianca e di quella di Arnold Schwarzenegger a governatore della California, regista della carriera di Condoleezza Rice
che fu sua allieva a Stanford. Economista di formazione, fedele al
liberismo e all’austerity, non aveva mai avuto indulgenza verso Donald
Trump. La sua storia però è macchiata anche da numerosi conflitti
d’interessi, per il suo ruolo nei board di diverse multinazionali, e da
ultimo nello scandalo di una start-up californiana, la Theranos.
Nato a Manhattan il 13 dicembre 1920, Shultz prende una prima
laurea in economia a Princeton, poi combatte nel Pacifico nel corpo dei
Marine durante la seconda guerra mondiale, e nel 1949 consegue un
dottorato sempre in economia al Massachusetts Institute of Technology.
L’inizio della sua carriera è accademico, in quella University of
Chicago che sta già diventando il tempio del neoliberismo sotto
l’influenza di Milton Friedman. Ma già nel 1955
l’economista Shultz viene prestato alla politica, quando il presidente
Eisenhower lo recluta tra i suoi consiglieri economici. È il primo di
una lunga serie di incarichi governativi, una carriera unica nella
storia. Nel 1968 diventa ministro del Lavoro con Nixon, e gestisce
controvoglia un’azione troppo “di sinistra”, cioè neokeynesiana, a base
di concertazione sociale e politica dei redditi, per placare l’elevata
conflittualità sindacale di quel periodo. Diventa in seguito il primo
direttore dell’Office of Management and Budget, nuovo organismo di
controllo delle politiche di bilancio istituito da Nixon; infine
segretario al Tesoro nel 1972.
Già allora la sua visibilità è mondiale e il suo ruolo si distingue
in una crisi di vaste proporzioni: la fine del regime di cambi fissi,
l’abbandono della parità fra dollaro e oro, la volatilità delle monete
che fa esplodere alla luce del sole la tensione fra Stati Uniti ed
Europa. Lo scandalo del Watergate distrugge la carriera di Nixon ma non
scalfisce quella di Shultz, che anzi afferma la propria rettitudine
opponendo un netto rifiuto alla richiesta del suo capo di sguinzagliare
gli ispettori del fisco contro gli avversari democratici. L’apice
dell’influenza di Shultz arriva con Reagan alla Casa Bianca.
L’economista diventa l’esecutore di una politica estera coronata di
grandi successi. Shultz incarna la linea moderata e pragmatica del
reaganismo, che sa unire una retorica bellicosa alla ricerca di accordi:
in particolare i trattati bilaterali sul disarmo nucleare.
Shultz è associato così al trofeo più importante della politica
estera americana dalla fine della seconda guerra mondiale. E anche
durante i due mandati reagan riesce a emergere incolume dagli scandali,
in particolare l’affare Iran-contra, forniture illegali di armi a
Teheran per agevolare la liberazione di ostaggi americani in Libano. Al
suo attivo viene aggiunta la transizione delle Filippine verso la
democrazia, accelerata dalla decisione di Washington di abbandonare il
dittatore Ferdinand Marcos nel 1985. In Medio Oriente, Shultz riuscì a convincere il leader palestinese Yasser Arafat
a rinunciare al terrorismo e a riconoscere il diritto all’esistenza di
Israele in un discorso alle Nazioni Unite, spianando la strada a quegli
accordi di Oslo che matureranno solo durante la presidenza di Bill Clinton.
Negli ultimi decenni Shultz era considerato un grande saggio della
politica americana e dalla Hoover Foundation dell’università di Stanford
continuava ad essere consultato da molti presidenti. Nella carriera
esemplare vanno ricordati gli episodi più controversi, soprattutto
nell’attività privata: il suo ruolo nel consiglio d’amministrazione
della Bechtel di San Francisco coinvolta in diversi scandali, e da
ultimo la sua sponsorizzazione della Theranos (biotech), la cui
fondatrice è sotto processo per truffa.
https://www.repubblica.it/esteri/2021/02/07/news/addio_a_george_shultz_architetto_del_disgelo_usa-urss-286503410/
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