lunedì 8 febbraio 2021

Addio a George Shultz, architetto del disgelo Usa-Urss

 


George Shultz (afp)
L'ex segretario di Stato di Ronald Reagan morto a 100 anni. Fu capace di mettere fine alla Guerra Fredda nonostante l'ostilità del Pentagono
 
NEW YORK - Se n’è andato un grande vecchio della politica americana, George Shultz, uno dei personaggi più influenti nel partito repubblicano del dopoguerra. Ha fatto in tempo a compiere cent’anni, nella sua Stanford in California dove continuava a irradiare influenza nel campo conservatore attraverso la Hoover Foundation.
 
Fu protagonista negli anni Ottanta della vittoria americana nella guerra fredda contro l’Unione Sovietica, in quanto segretario di Stato di Ronald Reagan. In precedenza Shultz aveva già ricoperto posizioni importanti nelle Amministrazioni di altri due presidenti repubblicani, Dwight Eisenhower e Richard Nixon. Era riuscito a emergere intatto dallo scandalo del Watergate.
 
Dopo l’esperienza al fianco con Reagan era rimasto uno dei notabili del partito repubblicano: ispiratore della candidatura di George W. Bush alla Casa Bianca e di quella di Arnold Schwarzenegger a governatore della California, regista della carriera di Condoleezza Rice che fu sua allieva a Stanford. Economista di formazione, fedele al liberismo e all’austerity, non aveva mai avuto indulgenza verso Donald Trump. La sua storia però è macchiata anche da numerosi conflitti d’interessi, per il suo ruolo nei board di diverse multinazionali, e da ultimo nello scandalo di una start-up californiana, la Theranos. 
 
Nato a Manhattan il 13 dicembre 1920, Shultz prende una prima laurea in economia a Princeton, poi combatte nel Pacifico nel corpo dei Marine durante la seconda guerra mondiale, e nel 1949 consegue un dottorato sempre in economia al Massachusetts Institute of Technology. L’inizio della sua carriera è accademico, in quella University of Chicago che sta già diventando il tempio del neoliberismo sotto l’influenza di Milton Friedman. Ma già nel 1955 l’economista Shultz viene prestato alla politica, quando il presidente Eisenhower lo recluta tra i suoi consiglieri economici. È il primo di una lunga serie di incarichi governativi, una carriera unica nella storia. Nel 1968 diventa ministro del Lavoro con Nixon, e gestisce controvoglia un’azione troppo “di sinistra”, cioè neokeynesiana, a base di concertazione sociale e politica dei redditi, per placare l’elevata conflittualità sindacale di quel periodo. Diventa in seguito il primo direttore dell’Office of Management and Budget, nuovo organismo di controllo delle politiche di bilancio istituito da Nixon; infine segretario al Tesoro nel 1972.
 
Già allora la sua visibilità è mondiale e il suo ruolo si distingue in una crisi di vaste proporzioni: la fine del regime di cambi fissi, l’abbandono della parità fra dollaro e oro, la volatilità delle monete che fa esplodere alla luce del sole la tensione fra Stati Uniti ed Europa. Lo scandalo del Watergate distrugge la carriera di Nixon ma non scalfisce quella di Shultz, che anzi afferma la propria rettitudine opponendo un netto rifiuto alla richiesta del suo capo di sguinzagliare gli ispettori del fisco contro gli avversari democratici. L’apice dell’influenza di Shultz arriva con Reagan alla Casa Bianca. L’economista diventa l’esecutore di una politica estera coronata di grandi successi. Shultz incarna la linea moderata e pragmatica del reaganismo, che sa unire una retorica bellicosa alla ricerca di accordi: in particolare i trattati bilaterali sul disarmo nucleare.
 
Shultz è associato così al trofeo più importante della politica estera americana dalla fine della seconda guerra mondiale. E anche durante i due mandati reagan riesce a emergere incolume dagli scandali, in particolare l’affare Iran-contra, forniture illegali di armi a Teheran per agevolare la liberazione di ostaggi americani in Libano. Al suo attivo viene aggiunta la transizione delle Filippine verso la democrazia, accelerata dalla decisione di Washington di abbandonare il dittatore Ferdinand Marcos nel 1985. In Medio Oriente, Shultz riuscì a convincere il leader palestinese Yasser Arafat a rinunciare al terrorismo e a riconoscere il diritto all’esistenza di Israele in un discorso alle Nazioni Unite, spianando la strada a quegli accordi di Oslo che matureranno solo durante la presidenza di Bill Clinton.
 
Negli ultimi decenni Shultz era considerato un grande saggio della politica americana e dalla Hoover Foundation dell’università di Stanford continuava ad essere consultato da molti presidenti. Nella carriera esemplare vanno ricordati gli episodi più controversi, soprattutto nell’attività privata: il suo ruolo nel consiglio d’amministrazione della Bechtel di San Francisco coinvolta in diversi scandali, e da ultimo la sua sponsorizzazione della Theranos (biotech), la cui fondatrice è sotto processo per truffa.    

https://www.repubblica.it/esteri/2021/02/07/news/addio_a_george_shultz_architetto_del_disgelo_usa-urss-286503410/
 

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