Un tifone sui negoziati del clima
Per il secondo anno di fila, il tifone più forte del mondo si è scatenato lungo le Filippine. Sono stati i cambiamenti climatici a creare questi tifoni (la cui potenza è stata maggiore di quella che ha devastato il New Jersey e New York lo scorso ottobre o di quella dell’Uragano Katrina che ha colpito New Orleans nel 2005 ) che hanno preso direzioni inusitate. E’ un messaggio che la Natura ha fatto pervenire non soltanto al popolo filippino, ma a tutto il mondo, dice il sociologo a ambientalista filippino Walden Bello, specialmente ai governi che in questi giorni sono a Varsavia per gli annuali negoziati sui cambiamenti climatici
di Walden Bello*
Sembra che in questi giorni più che mai Madre Natura voglia inviare un messaggio urgente a tutta l’umanità e che lo spedisca attraverso le Filippine. Quest’anno il messaggero è Haiyan, conosciuto nelle Filippine come Yolanda.
Per il secondo anno di fila, il tifone più forte del mondo si è scatenato lungo le Filippine, questo Yolanda che segue le orme di Pablo, conosciuto anche come Bopha, nel 2012. E per il terzo anno consecutivo, un uragano distruttivo ha deviato dalla rotta normalmente seguita dai tifoni, colpendo delle comunità che non avevano appreso come vivere con questi paurosi eventi climatici, perché erano stati raramente interessate da essi in passato. Sendong nel dicembre 2011 e Bopha l’anno scorso hanno attraversato Mindanao in senso orizzontale, mentre Yolanda è passata attraverso le Visayas, sempre in senso orizzontale.
Sono stati i cambiamenti climatici a creare questi tifoni di grande potenza che hanno preso direzioni inusitate, e questo è un messaggio che la Natura ha fatto pervenire non soltanto al popolo filippino, ma a tutto il mondo, la cui attenzione è stata avvinta dalle immagini televisive digitali di questo mostruoso e malvagio ciclone che piombava giù e poi attraversava a grande velocità le Filippine centrali e infine ha preso la strada del continente asiatico. Il messaggio che la Natura ha inviato per mezzo di Yolanda, – che era trasportato da venti più veloci di quelli della super tempesta Sandy, che ha colpito il New Jersey e New York lo scorso ottobre, e dell’Uragano Katrina, che ha devastato New Orleans nel 2005 – era diretto specialmente ai governi del mondo che si incontravano a Varsavia per gli annuali negoziati sui cambiamenti climatici globali (COP 19) che secondo i programmi dovevano iniziare il primo novembre.
E’ una coincidenza, si chiedono le persone che non sono particolarmente religiose, che sia Pablo che Yolanda sono arrivati proprio nel periodo dei negoziati sul clima globale? Pablo si è accanito su Mindanao durante l’ultima parte della Conferenza delle Parti 18 (COP 18) tenutasi a Doha l’anno scorso.
Per rinforzare il messaggio di Haiyan, il Commissario Naderev Sano, il negoziatore filippino di grado più alto, è arrivato a Varsavia mentre era in corso uno sciopero della fame, proprio quando i colloqui sono iniziati, cioè l’11 novembre.
E’ molto dubbio, tuttavia, che i governi che si stanno incontrando a Varsavia sapranno trarre profitto da questa occasione. In precedenza, all’inizio di quest’anno, sembrava che l’Uragano Sandy avrebbe messo il cambiamento climatico ai primi posti nell’agenda del Presidente Obama. Ma così non è stato.
Mentre proclamava a gran voce che stava orientando le agenzie federali a realizzare dei primi passi diretti a costringere gli impianti per la produzione di energia a ridurre le emissioni di carbonio e ad incoraggiare un movimento favorevole alle fonti energetiche pulite, Obama evitava di inviare una delegazione con il compito di modificare la politica degli Stati Uniti di non adesione al Protocollo di Kyoto, che Washington aveva firmato ma mai ratificato. Anche se il 70% degli americano oggi è convinta della opportunità di cambiare le tendenze climatiche attuali, Obama non ha il coraggio di sfidare i fanatici “scettici del clima” che affollano i ranghi del Tea Party e il mondo degli affari degli Stati Uniti su questi temi.
E’ anche improbabile che la Cina, che è oggi il più grande produttore del mondo di emissioni provenienti dal carbone, voglia accettare vincoli obbligatori alle sue emissioni di gas serra, affermando la logica che coloro che hanno maggiormente contribuito ad accumulare il volume dei gas serra come gli Stati Uniti, devono essere obbligati a realizzare delle riduzioni obbligatorie delle loro emissioni. E come prende posizione la Cina, così faranno il Brasile, l’India e un gran numero di paesi in via di sviluppo già industrialmente avanzati, che sono le voci più influenti della coalizione del “Gruppo dei 77 più la Cina”: Ciò che sostengono i governi di questi paesi sembra essere che i loro piani di sviluppo industriale ad alta intensità di carbone che stanno attuando, non possono essere oggetto di negoziati.
Un divario pericoloso
Secondo la Piattaforma di Durban approvata nel 2011, si suppone che i governi elaborino e presentino piani di riduzione delle emissioni di carbonio entro il 2015, e che quindi possano essere attuati a partire dal 2020. Gli scienziati che studiano il clima ritengono che ciò lasci un pericoloso vuoto di almeno sette anni, durante i quali non ci si può aspettare alcuna iniziativa di riduzione obbligatoria delle emissioni da parte degli Stati Uniti e di molti altri paesi che ancora usano in modo intenso il carbone. E’ sempre più chiaro che ogni anno è ora molto importante se il mondo intende evitare un aumento della temperatura globale al di sopra dei 2 gradi Celsius, il limite attualmente da tutti accettato, al di la del quale il clima globale può realmente andare fuori controllo.
Paesi come le Filippine e molti altri Stati insulari sono ormai in prima linea di fronte ai cambiamenti climatici. Ogni anno caratterizzato da drammatici e frequenti eventi climatici disastrosi come Yolanda e Pablo ricorda loro l’ingiustizia della situazione. Essi sono tra coloro che hanno meno contribuito a provocare i cambiamenti climatici, ma sono invece le principali vittime. Loro sono non soltanto interessati all’accesso ai fondi per “l’adeguamento”, come ad esempio il Fondo Verde per il Clima, che dovrebbe ridistribuire, a partire dal 2020, 100 miliardi di dollari all’anno, versati dai paesi ricchi a favore di quelli poveri, in modo da aiutarli ad adeguarsi ai cambiamenti climatici, (tali contributi sono stati finora di modesta entità e molto lente le erogazioni). Con tifoni e uragani che oggi rappresentano la parte più disastrosa degli eventi climatici estremi, questi paesi in prima linea devono spingere tutti i principali emittenti di gas serra a decidere immediatamente di effettuare tagli radicali delle emissioni, senza aspettare fino al 2020.
Tattiche non ortodosse
Durante i negoziati di Doha dell’anno passato, uno dei capi della delegazione delle Filippine, scoppiò a piangere mentre descriveva in dettaglio le devastazioni arrecate a Mindanao da Pablo. E’ stato il momento della verità di tutti i colloqui sul clima. Quest’anno, la delegazione deve trasformare le lacrime in rabbia e denunciare i grandi inquinatori che danneggiano il clima per i loro continui rifiuti di avviare i passi necessari per salvare il mondo dalle distruzioni che le loro economie ad alta intensità di carbonio hanno causato su tutti noi. Forse il ruolo migliore che la delegazione delle Filippine e gli altri Stati insulari possono svolgere è quello di adottare delle tattiche non ortodosse, come ad esempio interrompere i negoziati in termini procedurali in modo da evitare in anticipo che la conferenza ricada nei ben noti allineamenti dei paesi ricchi che si contrappongono al Gruppo dei 77 e della Cina. Queste alleanze garantiscono infatti la fine in un vicolo cieco politico, anche se il mondo si pronuncia contro i quattro gradi centigradi in più sul pianeta, quelli che la Banca Mondiale ha avvertito saranno sicuri se non si realizza uno sforzo massiccio globale per prevenirli.
Traduzione di A.C. per Comune-info.
* Sociologo e ambientalista (ha contribuito a creare Greenpeace international) filippino, uno dei più autorevoli critici dei processi di globalizzazione neoliberista, Walden Bello è oggi deputato della Camera delle Filippine (con il Partito d’Azione dei Cittadini) e collabora con numerose riviste. Tra i suoi libri tradotti in Italia “Le guerre del cibo” (Nuovi mondi) e “Deglobalizzazione” (Dalai).
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