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foglio notizie
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di Dante Liano, Scrittore
guatemalteco
Un ordine che porta disordine
Siamo ad Antigua Guatemala, vicini al mercato. I
pullman che portano la gente verso la capitale stanno per partire, e gli
aiutanti dell’autista procacciano passeggeri. “Guatemala!”, gridano. “Guate,
Guate, Guate! Andiamo a Guatemala!”. E’ buffo. L’unico paese al mondo dove
sei in Guatemala e, nonostante ciò, c’è qualcuno che ti porta in Guatemala.
Questo modo di trovare passeggeri non è strano. Fra gli autobus c’è una
concorrenza feroce: sono tutti privati. Spesso trovi, per strada, due autobus
che lottano fino all’ultimo per avere la precedenza. Non è spirito sportivo.
È’ libero mercato. Spesso fanno paurosi incidenti. Ma chi se ne frega dei
contadini che si spiaccicano in un autobus?
Il Guatemala è un paese
surreale, ho detto, e un amico è parso offendersi. Gli stavo raccontando che
la criminalità è arrivata a tal punto
da assalire persino i ciechi venditori dei biglietti della lotteria. Una
nota, alla fine dell’elenco dei numeri premiati, avvisa infatti: “Si prega i
signori compratori di difendere i venditori ciechi se per caso sono assaliti
da un delinquente”. Il mio amico, allora si è infuriato: “ il Guatemala non è
surreale! E’ un paese osceno!”.
Forse. Stavamo al cimitero. Avevamo portato dei fiori ai
nostri defunti, e nonostante ci avessero avvertito che persino il campo santo
era diventato un luogo pericoloso, siamo andati lo stesso. Anche perché
sapevamo che qualcuno aveva rubato le lapidi in rame, per fonderle e
rivenderle. Mentre depositavamo i fiori, apparve, puntuale come gli avvoltoi,
un tipo dall’aspetto preoccupante. Si presentò come un addetto alla custodia
delle tombe. Voleva una mancia. Rispondemmo che la mancia non se l’era
guadagnata, visto che avevano rubato le lapidi. Allora il tipo cambiò
immediatamente atteggiamento. Cominciò a bestemmiare contro gli ingrati che
non ricompensano il lavoro altrui, insomma diventò aggressivo, capimmo al
volo che stava per attaccarci e fuggimmo verso l’automobile. Il tipo ci
inseguì, lanciandoci maledizioni.
Il clima è questo. Ci sono assalti dappertutto. Numerose
persone vengono regolarmente assassinate dentro gli autobus urbani, nel corso
di una rapina. I trasportatori lamentano dalle 40 alle 60 rapine al giorno.
Non tutte sono denunciate perché ormai è un’abitudine. Non c’è persona da me
conosciuta che non abbia subito un assalto. La maggior parte delle volte
l’aggressione è avvenuta armi in pugno, per cose futili, come un telefonino o
un orologio. La ragione di tutto questo sta nella spaventosa disuguaglianza
sociale del paese. La povertà non è un dato statistico, ma una realtà di
fatto. Ovunque si vedono i poveri, anzi i miserabili, e accanto a loro, i
pochi che circolano in macchine di lusso. Città del Guatemala è circondata da
quartieri senza i servizi minimi, e da gente che esce di casa e sciama verso
la città per procurarsi , chissà come, la sopravvivenza quotidiana. Se uno
gira a piedi, può essere assalito a qualunque ora del giorno. Della notte no,
perché nessuno si avventura a uscire di casa dopo le otto di sera.
Attraversare la città
deserta verso le dieci è una esperienza singolare. Sembra un territorio
abbandonato o una città in stato di assedio.
Hanno fatto scalpore le
ultime statistiche della Banca mondiale. Secondo quello studio, il 68% della
popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Il sociologo Edelberto
Torres Rivas paragona la società guatemalteca a un palazzo di cinque piani.
Nel sottoscala vive il 19% della popolazione, circa due milioni di persone,
delle quali il 71% sono indigeni. Sono quelli che a malapena guadagnano 50
centesimi di dollaro al giorno, che non gli basta nemmeno per mangiare.
Due milioni di persone che
ogni giorno si svegliano con la consapevolezza che non riusciranno a
mangiare, se non chiederanno l’elemosina, se non andranno nelle discariche a
raccattare qualcosa (se sono in città), o se non andranno nei campi a
raccogliere erbacce (se vivono in campagna). Oppure, escono e rapinano
qualcuno. La maggior parte sono contadini senza terra, incapaci di queste
violenze. Cosi sono condannati alla fame, alla miseria, all’analfabetismo.
Sono gli esclusi più esclusi.
Perché sopra di loro c’è un
altro livello, formato dal 49% della popolazione, cioè, 5 milioni di persone.
Guadagnano 1 dollaro al giorno, e sono abbondantemente al di sotto del
livello internazionale di povertà (2 dollari al giorno). La maggior parte non
ha un lavoro fisso, ma s’ingegna per
sopravvivere. È questo il campo di coltura della criminalità. Non votano, non
leggono i giornali, non conoscono la politica nazionale. Sono troppo
occupati, infatti, a sbarcare il lunario. Due terzi di loro abita in campagna
e molti sono indigeni. L’unica traccia di coscienza politica è il loro odio
per i ricchi. Alcuni, in una recente ricerca dell’Istituto d’ispirazione
cattolica AVANSCO, hanno dichiarato senza mezzi termini che portano via ai
ricchi ciò che avanza loro, e se lo accaparrano con la maggior violenza
possibile.
Formalmente, il Guatemala è
una nazione democratica, e una delle poche istituzioni democratiche che
funzionano sono le elezioni. Con l’avvento al potere di Oscar Berger, un
imprenditore di destra che ha sconfitto il generale genocidi Efrain Rios
Montt, molti si aspettavano un cambiamento nella politica del paese.
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Anno
I Numero 1 - gennaio 2005
bimestrale
di informazione dell’Associazione Italiana Nursing Sociale Ains onlus
Responsabile:
Gruppo Ains onlus
Redazione
Ains onlus notizie: via Flarer,6 c/o AISLeC-27100 Pavia
Cell. 339.2546932 – Fax. 0382.523203
le
fotografie sono tratte da
www.prensalibre.com, settimanale di cultura e
attualità del quotidiano Prensa Libre
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E il cambiamento c’è stato. La
nuova classe dirigente non è più costituita da personaggi di dubbia moralità,
troppo vicini alle cupole mafiose che controllano i più loschi traffici
clandestini e illegali. La nuova classe dirigente è formata dagli imprenditori
di sempre, contraddistinti da un’adesione quasi fideistica all’economia di
mercato e alla sua cieca applicazione, anche in un paese che avrebbe bisogno di
urgenti riforme sociali.
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Invece la linea del nuovo
governo è: più privatizzazioni e meno stato. Il risultato è l’espandersi
dell’abisso esistente tra quel 68% di cittadini indigeni e il resto della
società. Una guerra sociale non dichiarata: da una parte, frange di popolazione
miserabile che si procacciano con le armi ciò che non possono avere altrimenti;
dall’altra, quelli che hanno i beni, e li difendono con le unghie. Le strade
pullulano di poliziotti privati, alcuni improvvisati, con fucili a pompa e
pistole facili. Un vigile urbano che ebbe la pessima idea di fare una multa a
due membri di una gang giovanile fu fatto secco, crivellato di proiettili. E
questo anche se i vigili, in Guatemala, girano disarmati.
Al primo piano dell’edificio
metaforico descritto da Torres Rivas c’è poi il primo livello della classe
media, formato dal 22,5% della popolazione. Sono due milioni e mezzo di
persone, dei quali un terzo indigeni. Ma la maggior parte formano parte
dell’etnia ladina, i discendenti degli spagnoli. Vivono più male che bene (3
dollari al giorno), e sono impiegati nel commercio e nell’industria. Hanno
studiato, ma questo non gli è servito a niente: la maggior parte sono a un
passo dalla povertà, e pochissimi hanno una macchina scassata che curano come
se fosse l’ultimo modello di Rolls Royce. Sono quelli più presenti nelle città
e che sembrano poveri, ma in realtà sono i meno poveri fra i poveri.
Al secondo piano dell’edificio
sociale che spiega il Guatemala c’è la tipica classe media urbana (l’8 per
cento della popolazione). Sono meno di un milione e vivono abbastanza bene. Si
sono comprati la casetta col mutuo che dura una vita, hanno una macchina
decente, mandano i figli all’Università nella vana speranza di vederli salire
nella scala sociale, leggono almeno i giornali, votano e rappresentano la
cosiddetta “opinione pubblica” del paese. In genere i membri di questa classe
sociale sono molto razzisti verso gli
indios, adorano gli Stati Uniti e hanno un’ideologia molto conservatrice.
Vivono di un benessere a credito [ho visto pagare una torta di 6 dollari con la
carta di credito, e sembra sia usanza abbastanza comune]. Sono quelli che si
possono permettere il cinema, i beni di consumo e il ristorante la domenica.
Credono di essere i veri guatemaltechi e s’illudono di appartenere alla classe
dirigente.
Quella crema che, invece,
occupa il penthouse del palazzo immaginato dal sociologo Rivas. Lì vive l’1,4%
della popolazione, cioè le 167 mila persone che hanno in mano il paese. Stanno
in quartieri lontani dal centro della città,
nei quali si entra solo superando il controllo di un posto di blocco,
con poliziotti armati fino ai denti. Molti di loro hanno persino le guardie del
corpo, e le loro case sono circondate da alti muri col filo spinato. Questo non
è un privilegio dei ricchi guatemaltechi. Anche in altre capitali
latinoamericane, i ricchi sono ostaggio del proprio benessere. Escono di casa
solo per andare al lavoro, e poi si barricano.
La politica neoliberista di
Berger ha il difetto, in un panorama simile, di occuparsi troppo poco di quel
68% di cittadini di terza categoria che anelano ad avere uno straccio di vita.
Dal momento che quelli che votano, quelli che formano l’opinione pubblica
stanno ai piani alti, il presidente concede loro opere di infrastruttura, segni
eterni di una modernità che il paese non ha.
Ci vorrebbe una realistica
politica sociale, che distribuisse ragionevolmente la ricchezza prodotta nella
nazione. Ci vorrebbe più intelligenza e meno egoismo. Se le classi dirigenti si
rendessero conto che migliorando le condizioni dei più poveri il paese potrebbe
decollare verso una vita più decente, gran parte dei problemi del Guatemala si
potrebbero risolvere. Durante tutto il XX secolo i governi del paese hanno
perso il treno del riformismo [parlare qui di riforme più radicali è
impossibile]. Così, la grande delusione rappresentata da Berger è proprio la
sua ostinazione a perpetuare uno stato di cose
che ha già portato all’insicurezza dei cittadini. Un ordine che porta
disordine. Una politica obbligata a basarsi sulla repressione, e non sul
consenso, quando l’essenza della democrazia è proprio il contrario.
( tratto da LATINOAMERICA e tutti i sud del mondo,
n.88/3.2004)
Conversazione che non so se ho ascoltato o immaginato, in quei giorni:
“ una rivoluzione da un mare all’altro. Tutto il paese in rivolta. E
penso di vederlo con questi miei occhi…”
“ E si cambierà tutto, tutto? “
“ Fino alle radici. “
“ E non si dovranno più vendere le braccia per niente? “
“ Neanche per sogno. “
“ E neppure sopportare che si venga trattati come bestie? “
“ Nessuno sarà padrone di nessuno. “
“ E i ricchi? “
“ Non ci saranno più ricchi. “
“ E chi pagherà, allora, a noi poveri il raccolto? “
“ Ma non ci saranno neppure poveri. Non vedi? “
“ Né ricchi, né poveri. “
“ Né poveri, né ricchi. “
“ Ma allora il Guatemala rimarrà senza persone. Perché qui, sai, chi
non è ricco è povero. “
Eduardo Galeano, Giorni e notti d’amore e
di guerra. (Sperling & Kupfer editori, 1998)
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"Ma
sopra tutte le invenzioni stupende, quale eminenza di mente fu quella di
colui che si immaginò di trovare modo di comunicare i suoi più reconditi
pensieri a qualsivoglia altra persona, benchè distante per lunghissimo
intervallo di luogo e tempo? [...] Sia questo il sigillo di tutte le
ammirande invenzioni umane". (Galileo
Galilei)
Entrare in
libreria o in biblioteca, scorrere con gli occhi lo scaffale, tendere la mano
a toccare la carta, saggiarne le consistenza, sentirne l'odore, sillabare
nella mente i titoli andando a zonzo nel tempo e nei luoghi, con i sensi
incantati nel corpo immobile... Questo ci accomunava.
Ci accomunava l'idea che leggere fosse come abbeverarsi in un giorno caldo e arso: al contempo una necessità ed una fonte di piacere. Piacere che diventa sublime, quando a dissetarci sono pagine scritte per raccontare storie piccole, dense come ghiaccio, che si sciolgono in gola e si dilatano o cose sognate e poi viste o ancora i frutti di pazienti studi... Libri difficili da trovare. Ci accomunava il desiderio di poter dare spazio e voce agli autori che lo sono loro malgrado, a chi non ha velleità di scrittore ma scrive in omaggio alla condivisione del sapere e del sentire. I viaggi sono sempre stati raccontati ma cosa sappiamo dei marinai di quelle caravelle che cambiarono la storia dei popoli? E dei maya che costruirono le piramidi? Cosa delle loro vite? Percorriamo le segrete di un castello e sentiamo che dalle mura, con l'odore di muffa, trasudano echi di voci: la storia delle vite trascorse lì dentro intride l'aria ma ne conosciamo solo l'inchiostro che siglò accordi di potenti. Il gusto di sapere o di voler sapere anche "l'altra parte" delle storie ci accomunava. Abbiamo accarezzato a lungo il sogno di "concretare i sogni", di poter "toccare le parole": STAMPE AINS è il frutto del desiderio. Stampare libri, libricini, libroni e libracci, purché si racconti e purché le parole siano ristoro del lettore. E' intenzione di AINS pubblicare scritti che rispettino lo spirito fondante dell'Associazione, fuori da schemi che la leghino ad un preciso indirizzo editoriale, purché si diffonda piacere. I libri, ed è cosa che va al di là delle nostre decisioni, si vendono. Le logiche di mercato sono imprescindibili. Tenuto conto di questo, AINS finanzia la pubblicazione dei libri e quindi investe la quota dei proventi delle vendite ad essa spettante, nelle proprie attività. L'Associazione, come l'uomo del logo, va verso STAMPE AINS seguendo l'indicazione della freccia, perchè STAMPE AINS è l'omaggio all' ammiranda invenzione umana di cui parla Galileo.
Chi scrive racconta esperienze
vissute sulla pelle, sa cosa vuole trasmettere, sa dove vuole arrivare, sa di
cosa sta parlando. Marvelli racconta molto di sé, e con sé dona al mondo
l’altro, la sua storia nascosta, la sua deriva, la sua carcassa. Conca ci accompagna
come una poetessa dubbiosa ai confini della vita dove morte, disperazione e
dignità sono questioni che formano tra loro una rima baciata. Littarru, con
il suo mondo popolato da sciamanici deliri, racconta due storie di disperata
follia. Meoli è l’espressione della rabbia lucida: due racconti che
trattano con delicatezza storie di violenza e di sopruso morale e che
vogliono combattere, ora e per sempre, l’oblio e la sua ineluttabile strada
verso la dimenticanza. Questo è Nove esistenze alla deriva. Un libro inutile
per chi non intende riflettere sullo stato delle cose e sul suo darsi in
questa epoca maledetta. EDITO DA IKONA - Distribuito da Stampe AINS. |
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…ho disarmato la
morte con un solo sguardo, mi sono sdraiata al suo fianco raccontandole
storie di vita per invocare un sogno impossibile, abbiamo giocato come
scolari: i miei cerchi vitali contro le sue croci. Ho sempre vinto anche
quando non lo credevo. Io illesa. Le ho detto addio dalla soglia della mia
esistenza: a quando io vorrò. Io, la vincente. La vidi allontanarsi come un
animale domestico che ha perso la sua casa.
(poesia tratta dal libro
Io nasco donna, e basta
di Mariana Yonusg Blanco (1951,Venezuela)
edito da
Fondazione Guido Piccini e La Piccola editrice)
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La cultura maya nei tessuti del
Guatemala
Le vesti maya nelle loro diverse forme e
disegni delle varie comunità linguistiche utilizzano gli stessi simboli
dell'antica cultura maya, tramandandone il significato tradizionale. Queste
figure si conservano ancora soprattutto nei guipiles delle donne e, in misura
minore, nelle vesti degli uomini.
Figure geometriche Tra queste possiamo trovare il quadrato, il cerchio, il rombo, che hanno un significato molto profondo nella cosmovisioneb maya poiché simbolizzano l'infinito, l'eternità, il macrocosmo e il microcosmo, cioé lo stesso essere umano. Figure fitomorfe Tra queste troviamo foglie di alberi e fiori, piante e tutto ciò che fa parte della flora maya, che simbolizza la natura come manifestazione del Cuore del Cielo, Cuoredella Terra (il creatore universale). Figure antropomorfe Tra queste possiamo trovare figure di personaggi principali secondo la teocrazia ancestrale maya; a volte di donna, figure di bambini, cioè uomo, donna e bambino prodotto delle tre energie dell'universo, manifestato nella famiglia. In alcune occasioni troviamo anche figure di animali, tipiche delle varie regioni: cervo, coniglio, gatto selvatico, coyote, pavoni selvatici, colombe ed altri animali che fanno parte della natura e, quindi, insieme all'uomo, sono presenti nel calendario cerimoniale come parte integrante del macrocosmo e microcosmo uomo. I colori Per i maya i colori sono molto importanti; si usano essenzialmente colori primari e, in alcuni casi, colori secondari e terziari. I colori che non mancano mai sono: rosso, giallo, bianco e nero, poiché simbolizzano i colori dei quattro punti cardinali. Colore rosso Colore dell'alba, è il colore del primo punto cardinale e significa vita, calore e salute; non simbolizza affatto il diavolo, come nel cristianesimo. Colore giallo Significa il seme, un nuovo giorno, il sole; è il colore assegnato al lato sud della terra e simbolizza anche abbondanza e positività. Colore bianco Significa il nord della terra; simbolizza la nube, la pace, la tranquillità, la luna, la perfezione ed anche la positività. Colore nero Questo colore simbolizza la notte, la morte, le tenebre, il principio della creazione (quando ancora non appariva il sole e tutto era oscuro). Però il significato più importante di questo colore è che simbolizza i misteri della morte che sono paralleli ai misteri della vita. Il dualismo del bianco e del nero nei misteri cerimoniali maya è rappresentato da mayu kutaj, poiché ognuno dei punti cardinali ha il suo personaggio. Figure astronomiche e filosofiche Tra queste troviamo il sole, le stelle del sistema planetario maya nei differenti guipiles. Tra le figure filosofiche troviamo il serpente piumato Qùqkumatz (comunemente chiamato attualmente "arco" e in caqchiquel "cumatzin" che vuol dire "vipera in movimento"); l'altra figura è quella del "calendario sacro". L'abbigliamento maya riunisce tutti gli aspetti dell'universo o cosmo in cui troviamo stelle, significati dell'infinito, o esseri umani, animali e piante. La cosmovisione rappresentata nelle vesti è straordinaria perché racchiude una filosofia altamente integrale, che comprende la vita umana e spirituale in forma armonica.
(tratto da www.fondazionegpiccini.org)
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Non perdere tempo: leggi.
Un popolo che legge progredisce
Pagina 145, capitolo dodicesimo, un destino ridicolo:
“Sei cresciuto in un mondo nel quale i
soldi sono considerati la divinità suprema che può trasformare d’incanto la
vita in un paradiso, la chiave per soddisfare tutti i desideri, per superare
ogni difficoltà. E’ quello che sei stato costretto a credere fin da bambino,
come tutti noi che stiamo attraversando questo secolo bugiardo. Pensa a
quanto denaro viene gettato ogni giorno nel gioco, nella lotteria, nel
totocalcio. Sai perché? Perché alla gente non piace vivere. Sogna il colpo
grosso come un’occasione per uscire dalla vita prima che finisca, con
l’illusione di tagliare in un colpo solo tutti gli inconvenienti, le
contrarietà e le fatiche.
Ma è un
inganno. Qualcuno a voluto che nella vita ci fossero bianco e nero, chiaro e
scuro, bene e male. Se non fuggiamo le avversità e accettiamo di affrontare
anche quello che ci fa paura, prima o poi il miracolo si manifesta e allora
scopriamo che la difficoltà può
trasformarsi in un’occasione, che i problemi sembravano insormontabili
perché venivano rimandati e si
accumulavano nella pigrizia e nell’avidità
”
Questo mese proponiamo:
Un
destino ridicolo
di Fabrizio De Andrè e Alessandro
Gennari.
Einaudi, 1996 I coralli
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ains onlus è una associazione di persone che da
sei anni ha in Guatemala dei progetti concreti da realizzare.
Per saperne di più visitate il sito www.ains.it
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