lunedì 20 maggio 2013

Un ordine che porta disordine

foglio notizie
di Dante Liano, Scrittore guatemalteco
Un ordine che porta disordine
Siamo ad Antigua Guatemala, vicini al mercato. I pullman che portano la gente verso la capitale stanno per partire, e gli aiutanti dell’autista procacciano passeggeri. “Guatemala!”, gridano. “Guate, Guate, Guate! Andiamo a Guatemala!”. E’ buffo. L’unico paese al mondo dove sei in Guatemala e, nonostante ciò, c’è qualcuno che ti porta in Guatemala. Questo modo di trovare passeggeri non è strano. Fra gli autobus c’è una concorrenza feroce: sono tutti privati. Spesso trovi, per strada, due autobus che lottano fino all’ultimo per avere la precedenza. Non è spirito sportivo. È’ libero mercato. Spesso fanno paurosi incidenti. Ma chi se ne frega dei contadini che si spiaccicano in un autobus?
Il Guatemala è un paese surreale, ho detto, e un amico è parso offendersi. Gli stavo raccontando che la criminalità  è arrivata a tal punto da assalire persino i ciechi venditori dei biglietti della lotteria. Una nota, alla fine dell’elenco dei numeri premiati, avvisa infatti: “Si prega i signori compratori di difendere i venditori ciechi se per caso sono assaliti da un delinquente”. Il mio amico, allora si è infuriato: “ il Guatemala non è surreale! E’ un paese osceno!”.
Forse. Stavamo al cimitero. Avevamo portato dei fiori ai nostri defunti, e nonostante ci avessero avvertito che persino il campo santo era diventato un luogo pericoloso, siamo andati lo stesso. Anche perché sapevamo che qualcuno aveva rubato le lapidi in rame, per fonderle e rivenderle. Mentre depositavamo i fiori, apparve, puntuale come gli avvoltoi, un tipo dall’aspetto preoccupante. Si presentò come un addetto alla custodia delle tombe. Voleva una mancia. Rispondemmo che la mancia non se l’era guadagnata, visto che avevano rubato le lapidi. Allora il tipo cambiò immediatamente atteggiamento. Cominciò a bestemmiare contro gli ingrati che non ricompensano il lavoro altrui, insomma diventò aggressivo, capimmo al volo che stava per attaccarci e fuggimmo verso l’automobile. Il tipo ci inseguì, lanciandoci maledizioni.
Il clima è questo. Ci sono assalti dappertutto. Numerose persone vengono regolarmente assassinate dentro gli autobus urbani, nel corso di una rapina. I trasportatori lamentano dalle 40 alle 60 rapine al giorno. Non tutte sono denunciate perché ormai è un’abitudine. Non c’è persona da me conosciuta che non abbia subito un assalto. La maggior parte delle volte l’aggressione è avvenuta armi in pugno, per cose futili, come un telefonino o un orologio. La ragione di tutto questo sta nella spaventosa disuguaglianza sociale del paese. La povertà non è un dato statistico, ma una realtà di fatto. Ovunque si vedono i poveri, anzi i miserabili, e accanto a loro, i pochi che circolano in macchine di lusso. Città del Guatemala è circondata da quartieri senza i servizi minimi, e da gente che esce di casa e sciama verso la città per procurarsi , chissà come, la sopravvivenza quotidiana. Se uno gira a piedi, può essere assalito a qualunque ora del giorno. Della notte no, perché nessuno si avventura a uscire di casa dopo le otto di sera.
Attraversare la città deserta verso le dieci è una esperienza singolare. Sembra un territorio abbandonato o una città in stato di assedio.
Hanno fatto scalpore le ultime statistiche della Banca mondiale. Secondo quello studio, il 68% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Il sociologo Edelberto Torres Rivas paragona la società guatemalteca a un palazzo di cinque piani. Nel sottoscala vive il 19% della popolazione, circa due milioni di persone, delle quali il 71% sono indigeni. Sono quelli che a malapena guadagnano 50 centesimi di dollaro al giorno, che non gli basta nemmeno per mangiare.
Due milioni di persone che ogni giorno si svegliano con la consapevolezza che non riusciranno a mangiare, se non chiederanno l’elemosina, se non andranno nelle discariche a raccattare qualcosa (se sono in città), o se non andranno nei campi a raccogliere erbacce (se vivono in campagna). Oppure, escono e rapinano qualcuno. La maggior parte sono contadini senza terra, incapaci di queste violenze. Cosi sono condannati alla fame, alla miseria, all’analfabetismo. Sono gli esclusi più esclusi.
Perché sopra di loro c’è un altro livello, formato dal 49% della popolazione, cioè, 5 milioni di persone. Guadagnano 1 dollaro al giorno, e sono abbondantemente al di sotto del livello internazionale di povertà (2 dollari al giorno). La maggior parte non ha un lavoro  fisso, ma s’ingegna per sopravvivere. È questo il campo di coltura della criminalità. Non votano, non leggono i giornali, non conoscono la politica nazionale. Sono troppo occupati, infatti, a sbarcare il lunario. Due terzi di loro abita in campagna e molti sono indigeni. L’unica traccia di coscienza politica è il loro odio per i ricchi. Alcuni, in una recente ricerca dell’Istituto d’ispirazione cattolica AVANSCO, hanno dichiarato senza mezzi termini che portano via ai ricchi ciò che avanza loro, e se lo accaparrano con la maggior violenza possibile.
Formalmente, il Guatemala è una nazione democratica, e una delle poche istituzioni democratiche che funzionano sono le elezioni. Con l’avvento al potere di Oscar Berger, un imprenditore di destra che ha sconfitto il generale genocidi Efrain Rios Montt, molti si aspettavano un cambiamento nella politica del paese.



Anno I Numero 1 - gennaio 2005
bimestrale di informazione dell’Associazione Italiana Nursing Sociale Ains onlus

Responsabile: Gruppo Ains onlus
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le fotografie sono tratte da
www.prensalibre.com, settimanale di cultura e attualità del quotidiano Prensa Libre


E il cambiamento c’è stato. La nuova classe dirigente non è più costituita da personaggi di dubbia moralità, troppo vicini alle cupole mafiose che controllano i più loschi traffici clandestini e illegali. La nuova classe dirigente è formata dagli imprenditori di sempre, contraddistinti da un’adesione quasi fideistica all’economia di mercato e alla sua cieca applicazione, anche in un paese che avrebbe bisogno di urgenti riforme sociali.


Invece la linea del nuovo governo è: più privatizzazioni e meno stato. Il risultato è l’espandersi dell’abisso esistente tra quel 68% di cittadini indigeni e il resto della società. Una guerra sociale non dichiarata: da una parte, frange di popolazione miserabile che si procacciano con le armi ciò che non possono avere altrimenti; dall’altra, quelli che hanno i beni, e li difendono con le unghie. Le strade pullulano di poliziotti privati, alcuni improvvisati, con fucili a pompa e pistole facili. Un vigile urbano che ebbe la pessima idea di fare una multa a due membri di una gang giovanile fu fatto secco, crivellato di proiettili. E questo anche se i vigili, in Guatemala, girano disarmati.
Al primo piano dell’edificio metaforico descritto da Torres Rivas c’è poi il primo livello della classe media, formato dal 22,5% della popolazione. Sono due milioni e mezzo di persone, dei quali un terzo indigeni. Ma la maggior parte formano parte dell’etnia ladina, i discendenti degli spagnoli. Vivono più male che bene (3 dollari al giorno), e sono impiegati nel commercio e nell’industria. Hanno studiato, ma questo non gli è servito a niente: la maggior parte sono a un passo dalla povertà, e pochissimi hanno una macchina scassata che curano come se fosse l’ultimo modello di Rolls Royce. Sono quelli più presenti nelle città e che sembrano poveri, ma in realtà sono i meno poveri fra i poveri.
Al secondo piano dell’edificio sociale che spiega il Guatemala c’è la tipica classe media urbana (l’8 per cento della popolazione). Sono meno di un milione e vivono abbastanza bene. Si sono comprati la casetta col mutuo che dura una vita, hanno una macchina decente, mandano i figli all’Università nella vana speranza di vederli salire nella scala sociale, leggono almeno i giornali, votano e rappresentano la cosiddetta “opinione pubblica” del paese. In genere i membri di questa classe sociale sono molto razzisti  verso gli indios, adorano gli Stati Uniti e hanno un’ideologia molto conservatrice. Vivono di un benessere a credito [ho visto pagare una torta di 6 dollari con la carta di credito, e sembra sia usanza abbastanza comune]. Sono quelli che si possono permettere il cinema, i beni di consumo e il ristorante la domenica. Credono di essere i veri guatemaltechi e s’illudono di appartenere alla classe dirigente.
Quella crema che, invece, occupa il penthouse del palazzo immaginato dal sociologo Rivas. Lì vive l’1,4% della popolazione, cioè le 167 mila persone che hanno in mano il paese. Stanno in quartieri lontani dal centro della città,  nei quali si entra solo superando il controllo di un posto di blocco, con poliziotti armati fino ai denti. Molti di loro hanno persino le guardie del corpo, e le loro case sono circondate da alti muri col filo spinato. Questo non è un privilegio dei ricchi guatemaltechi. Anche in altre capitali latinoamericane, i ricchi sono ostaggio del proprio benessere. Escono di casa solo per andare al lavoro, e poi si barricano.
La politica neoliberista di Berger ha il difetto, in un panorama simile, di occuparsi troppo poco di quel 68% di cittadini di terza categoria che anelano ad avere uno straccio di vita. Dal momento che quelli che votano, quelli che formano l’opinione pubblica stanno ai piani alti, il presidente concede loro opere di infrastruttura, segni eterni di una modernità che il paese non ha.
Ci vorrebbe una realistica politica sociale, che distribuisse ragionevolmente la ricchezza prodotta nella nazione. Ci vorrebbe più intelligenza e meno egoismo. Se le classi dirigenti si rendessero conto che migliorando le condizioni dei più poveri il paese potrebbe decollare verso una vita più decente, gran parte dei problemi del Guatemala si potrebbero risolvere. Durante tutto il XX secolo i governi del paese hanno perso il treno del riformismo [parlare qui di riforme più radicali è impossibile]. Così, la grande delusione rappresentata da Berger è proprio la sua ostinazione a perpetuare uno stato di cose  che ha già portato all’insicurezza dei cittadini. Un ordine che porta disordine. Una politica obbligata a basarsi sulla repressione, e non sul consenso, quando l’essenza della democrazia è proprio il contrario.

( tratto da LATINOAMERICA e tutti i sud del mondo, n.88/3.2004)

Conversazione che non so se ho ascoltato o immaginato, in quei giorni:
“ una rivoluzione da un mare all’altro. Tutto il paese in rivolta. E penso di vederlo con questi miei occhi…”
“ E si cambierà tutto, tutto? “
“ Fino alle radici. “
“ E non si dovranno più vendere le braccia per niente? “
“ Neanche per sogno. “
“ E neppure sopportare che si venga trattati come bestie? “
“ Nessuno sarà padrone di nessuno. “
“ E i ricchi? “
“ Non ci saranno più ricchi. “
“ E chi pagherà, allora, a noi poveri il raccolto? “
“ Ma non ci saranno neppure poveri. Non vedi? “
“ Né ricchi, né poveri. “
“ Né poveri, né ricchi. “
“ Ma allora il Guatemala rimarrà senza persone. Perché qui, sai, chi non è ricco è povero. “

Eduardo Galeano, Giorni e notti d’amore e di guerra. (Sperling & Kupfer editori, 1998)

Foto de portada

"Ma sopra tutte le invenzioni stupende, quale eminenza di mente fu quella di colui che si immaginò di trovare modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benchè distante per lunghissimo intervallo di luogo e tempo? [...] Sia questo il sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane". (Galileo Galilei)
Entrare in libreria o in biblioteca, scorrere con gli occhi lo scaffale, tendere la mano a toccare la carta, saggiarne le consistenza, sentirne l'odore, sillabare nella mente i titoli andando a zonzo nel tempo e nei luoghi, con i sensi incantati nel corpo immobile... Questo ci accomunava.
Ci accomunava l'idea che leggere fosse come abbeverarsi in un giorno caldo e arso: al contempo una necessità ed una fonte di piacere. Piacere che diventa sublime, quando a dissetarci sono pagine scritte per raccontare storie piccole, dense come ghiaccio, che si sciolgono in gola e si dilatano o cose sognate e poi viste o ancora i frutti di pazienti studi... Libri difficili da trovare.

Ci accomunava il desiderio di poter dare spazio e voce agli autori che lo sono loro malgrado, a chi non ha velleità di scrittore ma scrive in omaggio alla condivisione del sapere e del sentire.
I viaggi sono sempre stati raccontati ma cosa sappiamo dei marinai di quelle caravelle che cambiarono la storia dei popoli? E dei maya che costruirono le piramidi? Cosa delle loro vite? Percorriamo le segrete di un castello e sentiamo che dalle mura, con l'odore di muffa, trasudano echi di voci: la storia delle vite trascorse lì dentro intride l'aria ma ne conosciamo solo l'inchiostro che siglò accordi di potenti. Il gusto di sapere o di voler sapere anche "l'altra parte" delle storie ci accomunava.
Abbiamo accarezzato a lungo il sogno di "concretare i sogni", di poter "toccare le parole":
STAMPE AINS è il frutto del desiderio. Stampare libri, libricini, libroni e libracci, purché si racconti e purché le parole siano ristoro del lettore. E' intenzione di AINS  pubblicare scritti che rispettino lo spirito fondante dell'Associazione, fuori da schemi che la leghino ad un preciso indirizzo editoriale, purché si diffonda piacere.
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   Chi scrive racconta esperienze vissute sulla pelle, sa cosa vuole trasmettere, sa dove vuole arrivare, sa di cosa sta parlando. Marvelli racconta molto di sé, e con sé dona al mondo l’altro, la sua storia nascosta, la sua deriva, la sua carcassa. Conca ci accompagna come una poetessa dubbiosa ai confini della vita dove morte, disperazione e dignità sono questioni che formano tra loro una rima baciata. Littarru, con il suo mondo popolato da sciamanici deliri, racconta due storie di disperata follia. Meoli è l’espressione della rabbia lucida: due racconti che trattano con delicatezza storie di violenza e di sopruso morale e che vogliono combattere, ora e per sempre, l’oblio e la sua ineluttabile strada verso la dimenticanza. Questo è Nove esistenze alla deriva. Un libro inutile per chi non intende riflettere sullo stato delle cose e sul suo darsi in questa epoca maledetta. EDITO DA IKONA - Distribuito da Stampe AINS.
Guatemala Photobook
-AA.VV-
Un libretto composto dalle fotografie scattate nell'ultimo viaggio dei volontari di AINS in Guatemala e dalle parole di pensatori illustri e di gente qualunque raccolte e posate a corollario delle immagini. Formato tascabile.
Cronache dal Guatemala
-AA.VV-
Ottant'otto pagine di racconti dal Guatemala di tutti i volontari di AINS che hanno deciso di partire per vedere, capire e lavorare per chi non ha voce, costretto a vivere al limite dei diritti umani. Il volume illustra anche i progetti dell'associazione.


"Piccolo manifesto dei corpi" è un libro di parole e foto, dove si intende raccontare il ruolo del corpo nella società contemporanea, corpo che se non è del tutto soggiogato è quanto meno invaso dalla necessità del potere di renderlo omologato, quindi innocuo e facilmente controllabile. In questo piccolo manifesto si vuole suggerire una strada di liberazione possibile, corporea e quindi complessiva per l’essere umano. La simbologia diventa così sguardo lucido e realistico, il corpo diventa strumento di possibile liberazione ma anche luogo della guerra, luogo dell’invasione o, ancora, numero da contenere all’interno di un modello predeterminato. 
...Pubblicare questi racconti (...) significa, alla fine, dare luce ad una speranza: quella di creare la percezione di un’antinomia, una contraddizione, una inconciliabilità tra ciò che sono i bisogni indotti dal sistema – Impero e i bisogni veri, reali, pulsanti, desiderati.(...)Questo viaggio passa attraverso gli innumerevoli volti che la guerra conosce: le guerre guerreggiate (e fintamente pacificate) in Afghanistan e in Iraq, le guerre camuffate come quella mossa contro la moltitudine nei giorni di Genova, le guerre nascoste e silenziose delle istituzioni carcerarie e psichiatriche raccontate da chi, queste guerre, le ha vissute in prima persona e ne porta ancora oggi i segni sulla pelle...


fondazione Guido Piccini la persona umana diritti valori solidarietà

…ho disarmato la morte con un solo sguardo, mi sono sdraiata al suo fianco raccontandole storie di vita per invocare un sogno impossibile, abbiamo giocato come scolari: i miei cerchi vitali contro le sue croci. Ho sempre vinto anche quando non lo credevo. Io illesa. Le ho detto addio dalla soglia della mia esistenza: a quando io vorrò. Io, la vincente. La vidi allontanarsi come un animale domestico che ha perso la sua casa.

(poesia tratta dal libro
 Io nasco donna, e basta
di Mariana Yonusg Blanco (1951,Venezuela)
edito da
Fondazione Guido Piccini e La Piccola editrice)

La cultura maya nei tessuti del Guatemala

Le vesti maya nelle loro diverse forme e disegni delle varie comunità linguistiche utilizzano gli stessi simboli dell'antica cultura maya, tramandandone il significato tradizionale. Queste figure si conservano ancora soprattutto nei guipiles delle donne e, in misura minore, nelle vesti degli uomini.
Figure geometriche
Tra queste possiamo trovare il quadrato, il cerchio, il rombo, che hanno un significato molto profondo nella cosmovisioneb maya poiché simbolizzano l'infinito, l'eternità, il macrocosmo e il microcosmo, cioé lo stesso essere umano.
Figure fitomorfe
Tra queste troviamo foglie di alberi e fiori, piante e tutto ciò che fa parte della flora maya, che simbolizza la natura come manifestazione del Cuore del Cielo, Cuoredella Terra (il creatore universale).
Figure antropomorfe
Tra queste possiamo trovare figure di personaggi principali secondo la teocrazia ancestrale maya; a volte di donna, figure di bambini, cioè uomo, donna e bambino prodotto delle tre energie dell'universo, manifestato nella famiglia. In alcune occasioni troviamo anche figure di animali, tipiche delle varie regioni: cervo, coniglio, gatto selvatico, coyote, pavoni selvatici, colombe ed altri animali che fanno parte della natura e, quindi, insieme all'uomo, sono presenti nel calendario cerimoniale come parte integrante del macrocosmo e microcosmo uomo.
I colori
Per i maya i colori sono molto importanti; si usano essenzialmente colori primari e, in alcuni casi, colori secondari e terziari. I colori che non mancano mai sono: rosso, giallo, bianco e nero, poiché simbolizzano i colori dei quattro punti cardinali.
Colore rosso
Colore dell'alba, è il colore del primo punto cardinale e significa vita, calore e salute; non simbolizza affatto il diavolo, come nel cristianesimo.
Colore giallo
Significa il seme, un nuovo giorno, il sole; è il colore assegnato al lato sud della terra e simbolizza anche abbondanza e positività.
Colore bianco
Significa il nord della terra; simbolizza la nube, la pace, la tranquillità, la luna, la perfezione ed anche la positività.
Colore nero
Questo colore simbolizza la notte, la morte, le tenebre, il principio della creazione (quando ancora non appariva il sole e tutto era oscuro). Però il significato più importante di questo colore è che simbolizza i misteri della morte che sono paralleli ai misteri della vita.
Il dualismo del bianco e del nero nei misteri cerimoniali maya è rappresentato da mayu kutaj, poiché ognuno dei punti cardinali ha il suo personaggio.
Figure astronomiche e filosofiche
Tra queste troviamo il sole, le stelle del sistema planetario maya nei differenti guipiles.
Tra le figure filosofiche troviamo il serpente piumato Qùqkumatz (comunemente chiamato attualmente "arco" e in caqchiquel "cumatzin" che vuol dire "vipera in movimento"); l'altra figura è quella del "calendario sacro".
L'abbigliamento maya riunisce tutti gli aspetti dell'universo o cosmo in cui troviamo stelle, significati dell'infinito, o esseri umani, animali e piante. La cosmovisione rappresentata nelle vesti è straordinaria perché racchiude una filosofia altamente integrale, che comprende la vita umana e spirituale in forma armonica.                                                                                           
                                                                                                       (tratto da  www.fondazionegpiccini.org)

Non perdere tempo: leggi.

Un popolo che legge progredisce


Pagina 145, capitolo dodicesimo, un destino ridicolo:
 “Sei cresciuto in un mondo nel quale i soldi sono considerati la divinità suprema che può trasformare d’incanto la vita in un paradiso, la chiave per soddisfare tutti i desideri, per superare ogni difficoltà. E’ quello che sei stato costretto a credere fin da bambino, come tutti noi che stiamo attraversando questo secolo bugiardo. Pensa a quanto denaro viene gettato ogni giorno nel gioco, nella lotteria, nel totocalcio. Sai perché? Perché alla gente non piace vivere. Sogna il colpo grosso come un’occasione per uscire dalla vita prima che finisca, con l’illusione di tagliare in un colpo solo tutti gli inconvenienti, le contrarietà e le fatiche.
Ma è un inganno. Qualcuno a voluto che nella vita ci fossero bianco e nero, chiaro e scuro, bene e male. Se non fuggiamo le avversità e accettiamo di affrontare anche quello che ci fa paura, prima o poi il miracolo si manifesta e allora scopriamo che la difficoltà può  trasformarsi in un’occasione, che i problemi sembravano insormontabili perché venivano rimandati e  si accumulavano nella pigrizia e nell’avidità 
Questo mese proponiamo:
Un destino ridicolo
di Fabrizio De Andrè e Alessandro Gennari.
Einaudi, 1996 I coralli

ains onlus è una associazione di persone che da sei anni ha in Guatemala dei progetti concreti da realizzare.
Per saperne di più visitate il sito www.ains.it



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