MILANO - Errare è umano, persino nel DNA. Rimediare agli errori, invece, può essere una questione di proteine. E una equipe coordinata dai ricercatori della Fondazione Istituto FIRC di Oncologia Molecolare (IFOM) e dell' Università di Milano ha scoperto come fa una di queste proteine 'meccanico' a riparare i guasti che si verificano nel DNA. In un solo giorno, infatti, in ogni cellula del nostro corpo si accumulano, per errore, da mille a un milione di lesioni molecolari. E se uno solo di questi sbagli avvenisse in un gene coinvolto nello sviluppo del cancro, provocherebbe conseguenze serie. Per fortuna nell'organismo esistono diverse proteine che 'pattugliano' il DNA alla ricerca di errori, e li riparano. Una di queste, che ci protegge dalle alterazioni dei cromosomi, si chiama SUMO (Small Ubiquitin-like Modifier) e con l'aiuto di una serie di enzimi è in grado di impedire che le cellule con un DNA danneggiato continuino a duplicarsi dando origine a gravi malattie come tumori e metastasi. I ricercatori milanesi hanno proprio scoperto il meccanismo con cui la proteina SUMO ripara il DNA, chiamato 'sumolazione'. I risultati delle loro ricerche sono stati appena pubblicati sulla rivista scientifica Cell e, a detta degli autori, promettono "potenziali applicazioni in ambito terapeutico, grazie all'identificazione di un nuovo bersaglio terapeutico che potrà in futuro essere utilizzato nella lotta al cancro". "Nelle cellule tumorali - spiega il co-direttore dell'IFOM Marco Foiani, che insieme a Dana Branzei ha guidato l'equipe di ricercatori - avviene in misura eccessiva un fenomeno noto come 'ricombinazione' del DNA. In pratica, nel momento in cui una cellula si divide per dare origine a due cellule figlie, i geni si rimescolano e vanno a formare, sul DNA delle nuove cellule, combinazioni genetiche differenti da quelle della cellula genitore". La ricombinazione, continua Foiani, è di per sé un fenomeno normale; ma se le cellule ricombinano troppo "il risultato può essere un DNA 'pasticciato', con conseguenze talvolta gravissime". Non è un caso infatti, spiegano gli esperti, che "una ricombinazione eccessiva, stando alle osservazioni sperimentali, sarebbe associata a tutti i tipi di tumori". Con una serie di esperimenti condotti sul comune lievito della birra (Saccharomyces cerevisiae), gli scienziati hanno scoperto che mutazioni nei geni legati alla proteina SUMO e negli enzimi coinvolti nella 'sumolazione' portano all'accumulo di "strutture cromosomali aberranti", ovvero di strutture anomale che bloccano il normale processo di replicazione del DNA. "Il meccanismo molecolare è complesso - spiega Branzei - ma il concetto è semplice: pensiamo a una strada bloccata da un'auto ferma. Se il traffico non riprende a scorrere rapidamente, le altre auto continuano ad arrivare, si ammassano e alla fine si crea un ingorgo che manda in tilt tutta la circolazione. E' proprio quello che accade alle cellule quando la sumolazione non funziona: il traffico non riparte e i danni si accumulano e si propagano". "In molti tumori - aggiunge la ricercatrice - gli enzimi della sumolazione sono presenti a livelli anomali. Ma, fino a questo momento, nessuno aveva cercato mutazioni nei geni della sumolazione negli stessi tipi di tumore. Sono certa che nei prossimi anni ne verranno evidenziate parecchie". E, concludono i ricercatori, queste mutazioni saranno altrettanti bersagli terapeutici, contro cui indirizzare farmaci specifici nelle terapie anti-cancro del futuro. CELLULE STAMINALI PER LA CURA DI MUSCOLI MALATI ROMA - Contro malattie muscolari degenerative arriva la promessa tutta italiana di una terapia cellulare senza rischi di rigetto con cellule staminali adulte prelevate dal paziente, rieducate per trasformarsi in cellule muscolari sane, e infine reiniettate nel paziente per via intra-arteriosa. E' quanto reso noto sulla rivista Proceedings of the National Accademy of Sciences (PNAS) da Roberta Morosetti e Massimiliano Mirabella del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università Cattolica diretto da Pietro Attilio Tonali in collaborazione col San Raffaele di Milano, grazie al direttore dello Stem Cells Research Institute del San Raffaele Giulio Cossu. In topi con distrofia muscolare le cellule, i mesoangioblasti, staminali multipotenti estratte da biopsie muscolari umane, hanno dimostrato la spiccata capacità di riparare la struttura e la funzionalità del muscolo, raggiungendo, una volta iniettate per via intra-arteriosa, i muscoli malati attraverso il sangue. Le malattie degenerative dei muscoli, familiari o acquisite, sono devastanti patologie che progressivamente costringono all'immobilità. Tra queste vi è la miosite a corpi inclusi (IBM), la forma più frequente di miopatia acquisita dopo i 50 anni, spesso resistente alle terapie immunosoppressive e con decorso progressivo ed invalidante. I ricercatori della Cattolica hanno dimostrato in un primo momento che nei pazienti che soffrono di forme farmaco-resistenti di IBM i mesoangioblasti sono presenti in numero normale, ma difettano nella capacità di dare origine a cellule del muscolo scheletrico. Di qui l'idea di estrarli dal paziente, moltiplicarli e rieducarli a svolgere correttamente il loro compito riparatore, per poi infine iniettarli di nuovo nel paziente come terapia. E l'idea sembra funzionare, infatti utilizzando frammenti di biopsie muscolari di pazienti con miopatie infiammatorie i ricercatori della Cattolica hanno dimostrato che è possibile isolare i mesoangioblasti, moltiplicarli fino ad ottenerne quantità necessarie per possibili terapie cellulari nell'uomo, correggere in vitro il blocco maturativo, inducendo così le cellule a differenziarsi efficientemente in muscolo. Infine gli scienziati hanno dimostrato che i mesoangioblasti di pazienti con IBM, 'rieducati' (o in gergo tecnico 'ricondizionati') a differenziare, quando trapiantati in topini malati, hanno dato vita a nuove fibre muscolari. Lo studio apre nuove prospettive per la terapia delle miositi a corpi inclusi, una cura che incrementi la scarsa capacità di rigenerazione del muscolo utilizzando cellule ottenute dalle stesse biopsie muscolari dei pazienti che, dopo adeguata stimolazione per favorirne la differenziazione, potrebbero essere re-infuse mediante cateterismo intra-arterioso per riparare i muscoli affetti. L'uso di questa particolare popolazione di cellule staminali adulte eliminerebbe, vista la loro origine autologa, la necessità di farmaci immunosoppressori anti-rigetto delle cellule trapiantate. Ma ulteriori studi preliminari ed esperimenti su pazienti sono indispensabili per dimostrare la reale efficacia terapeutica di questa terapia contro la miosite a corpi inclusi ed altre malattie muscolari degenerative. (ANSA9 |
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