ROMA - Curare le cellule staminali portatrici del gene difettoso che causa l'anemia mediterranea grazie all'azione di una sorta di 'cavallo di Troia', per poi reimpiantarle, una volta 'sanate', nel paziente talassemico garantendogli così la guarigione. Si basa su questo meccanismo il nuovo e promettente metodo che potrebbe portare alla cura definitiva della talassemia attraverso, appunto, la terapia genica applicata alle cellule staminali. La terapia - già sperimentata con successo sui topi, i primati ed ora anche su cellule staminali umane - è frutto della collaborazione tra la Divisione di Ematologia dell'Ospedale 'Cervello' di Palermo, diretta dal prof. Aurelio Maggio, e l'equipe del prof. Michael Sadelain del Dipartimento di Genetica Umana del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. I risultati degli esperimenti, presentati oggi a Roma in occasione della Giornata mondiale della lotta alla talassemia, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Biotechnology e condotti con il supporto della Fondazione Italiana per la Talassemia 'Leonardo Giambrone', della Fondazione 'Piera Cutino' e della Società per lo Studio delle Talassemie ed Emoglobinopatie (S.O.S.T.E.). I ricercatori stanno ora mettendo a punto un protocollo per l'avvio, entro pochi mesi, delle sperimentazioni sull'uomo. Chiave del nuovo metodo terapeutico è appunto l'azione del 'cavallo di troia': un particolare vettore virale ideato dall'equipe italo-americana e chiamato G9. Il metodo ideato dai ricercatori si basa, infatti, sulla modificazione genetica delle cellule staminali adulte emopoietiche, ovvero di quelle cellule che si trovano nel midollo osseo e sono deputate alla produzione di emoglobina: a causa di un gene difettoso, nei pazienti affetti da anemia mediterranea esse non riescono a produrre un'emoglobina normale. Di conseguenza i globuli rossi sono piccoli, deboli e incapaci di trasportare sufficiente ossigeno ai tessuti. I ricercatori hanno perciò pensato di risolvere il problema 'alla radice' e sostituire il gene difettoso, eliminando le sequenze 'malate' e sostituendole con quelle 'terapeutiche' per poi procedere a una sorta di autotrapianto. Per farlo hanno dunque messo a punto un vettore virale, chiamato G9, derivato dal lentivirus HIV-1. Ed è qui il 'trucco': Il virus, una volta inattivato, agisce come una sorta di cavallo di Troia. E' cioé in grado di entrare nelle cellule, ma i geni che lo renderebbero pericoloso vengono rimpiazzati con due sequenze progettate per risolvere l'anemia mediterranea. La prima è la sequenza del gene per l'emoglobina fetale gamma, che di solito si trova in forma attiva solo allo stadio fetale: nei pazienti falcemici è però molto utile, perché basta riattivarne una produzione del 20% per ridurre frequenza e gravità delle crisi dolorose dovute alla malattia. La seconda sequenza inserita nel vettore virale è invece in grado di produrre molecole di 'RNA interferenti', ovvero molecole che vanno a 'disturbare' la produzione dell'emoglobina anormale, l'emoglobina beta S. Nuove, concrete speranze, quindi per i tanti pazienti affetti da questa patologia: In tutto il mondo i portatori sani di anemia mediterranea sono oltre 300 milioni. Di questi, 93 milioni sono bambini che vivono soprattutto nei Paesi del Mediterraneo, del Medio Oriente e del Sud Est Asiatico. Secondo stime recenti, le persone invece affette da talassemia nel mondo sono circa 3 milioni, 50.000 i nuovi casi ogni anno; in Italia i talassemici sono circa 8.000, mentre ben 2.500.000 sono i portatori sani. Finora i malati, costretti a sottoporsi a continue trasfusioni e pesanti terapie, hanno avuto ben poche prospettive concrete di guarigione: il trapianto di midollo osseo sarebbe infatti una soluzione, ma per la maggior parte dei pazienti non si riesce a trovare un donatore compatibile. (ANSA) |
Nessun commento:
Posta un commento