Un Comitato di Liberazione Nazionale contro i colpi di coda autoritari del neoliberismo...
I
recenti convulsi sussulti della scena politica italiana mostrano la
necessità sempre più stringente di mettere in campo una grande alleanza
contro-egemonica, con forte competenza di governo e tuttavia capace di
sovvertire radicalmente il pensiero unico per portare finalmente al
cuore dell’agenda politica, in modo non minoritario né tattico, il
rifiuto del neoliberismo di Napolitano, Monti e Bersani.
La partita è
particolarmente delicata e sconsiglia scorciatoie perché bisogna
assolutamente evitare il ritorno di Berlusconi e della sua corte dei
miracoli senza tuttavia rinunciare per questo all'intransigenza sulla
legalità costituzionale, cosa di cui si mostra incapace chiunque faccia
sconti alla retorica emergenziale del governo Monti e alla sua politica
economica anti-costituzionale di recente bocciata dalla sentenza 199
della Corte Costituzionale.
In campo c’è un rischio,
non remoto, che Berlusconi cavalchi una facile piattaforma
antieuropeista, ricostruisca su queste basi l’alleanza con la Lega e
lasci il Pd con il cerino in mano a pagare da solo il giusto malcontento
popolare per la feroce politica reazionaria che ci viene importa dai
dispositivi di governance globali (inclusa la Bce). Se così fosse per
lui ricuperare una decina di punti nei confronti dello sbiadito Bersani e
della sua alleanza con Casini (e Dio non voglia che davvero ci stia
anche Nichi, reduce dal grande successo di difesa costituzionale del
referendum del 2011) sarebbe un gioco da ragazzi.
Di Pietro con il
consueto istinto furbesco si è accorto di questa possibilità ed è corso a
contendere al Movimento cinque stelle l’opposizione di pancia alle
politiche suicide dei nostri tecnici proprio per occupare
preventivamente un territorio politico che fa gola a Berlusconi. La sua
operazione lo sta portando a cercare di mettere il cappello
sull’importante iniziativa di Landini volta a creare un’alleanza
laburista, ripetendo oggi in materia di lavoro, lo scippo già tentato a
proposito dell’acqua.
Ma al di là di un certo
dividendo politico che nella società dello spettacolo queste operazioni
men che dignitose in qualche modo comunque portano, la sua operazione
non può convincere proprio perché, a differenza di Grillo, l’Idv si
dimostra culturalmente incapace di far proprio il paradigma della
riconversione ecologica (Di Pietro continua a straparlare di crescita e
appartiene al partito delle grandi opere) cosa che invece, grazie agli
importanti contatti con il movimento per la decrescita felice riesce,
seppure a costo di notevoli semplificazioni, a Grillo.
Di fronte a tutto ciò,
chi nei movimenti decida di rassegnarsi alla necessità di sporcarsi le
mani con la politica elettorale non può certo permettersi di essere
troppo schizzinoso. Bisogna saper riconoscere i sommovimenti
potenzialmente sovversivi dello stato di cose presenti ovunque essi si
trovino, lavorando per condizionarne gli esiti intorno a pochissime
discriminanti: l’antifascismo, l’anti-neoliberismo, e l’antirazzismo che sono poi aspetti dello stesso fenomeno.
Se uno vuole mettersi
sulla strada della rappresentanza, dopo aver sperimentato con successo
la democrazia diretta ex art. 75, deve essere ben conscio che di qui al
2013 non c’è tempo per produrre a fondo nella società italiana quel
cambiamento politico-culturale che ad esempio quanti hanno lavorato al
manifesto di Alba si augurano.
Bisogna quindi essere
pronti a sporcarsi le mani anche di fronte a livelli di comunicazione
grossolani, che certo a noi non piacciono, ma che sembrano essere i soli
efficaci per produrre qualche effetto su un popolo «sovrano» in gran
parte abbrutito dalla società dei consumi. Bisogna riconoscere senza
ipocrisia che questi livelli di comunicazione esprimono il nostro stesso
disagio nei confronti dello status quo e condividono molte linee
essenziali del nostro programma.
Grillo era con me
sull’acqua e in Val di Susa. Di fronte alle ruvidità e alla fisicità
della politica vera, qualunque atteggiamento che si accontenti di un
linguaggio di mitezza e di buone intenzioni per circoscrivere il
perimetro delle proprie alleanze sarebbe suicida. Non è soltanto
l’Arcobaleno che andrebbe evitato, anche se in questo momento forse
perfino una sua riedizione sarebbe meglio del nulla che ci circonda.
Bisogna anche guardarci da esperienze ultra-minoritarie, come quella
lista radical-professorale di Massimo Severo Giannini che, pur
presentandosi in tutta Italia con nomi di grande prestigio
intellettuale, non andò neppure vicina al quorum, pur assai basso, del
1992 un momento politico in qualche modo simile a quello attuale.
Quattro sono state le
esperienze di grandi città italiane in cui il pensiero unico è risultato
sconfitto: Milano, Napoli, Palermo e Genova. In due di queste le
primarie di coalizione hanno visto il candidato del Pd battuto da un
personaggio della cosiddetta società civile, vicino o iscritto a Sel. In
altre due, a essere sconfitto è stato il meccanismo delle primarie,
spesso truccate e comunque assai poco garantite allo stato attuale. Solo
Milano e Napoli sono per ora valutabili come esperienze amministrative.
Posso testimoniare
direttamente, avendo vissuto da vicino l’esperienza di Macao, che a
Milano il Pd, seppur sconfitto, è riuscito a mantenere il controllo su
tutti i più importanti gangli del potere. Altrettanto direttamente posso
testimoniare, nelle ultime convulse battute della
battaglia sull'acqua per la trasformazione di Arin in Abc, culminata con
l’atto di trasformazione notarile redatto il 31 luglio scorso, che lo
stesso fenomeno non è avvenuto a Napoli e che nel capoluogo partenopeo
il vecchio assetto di potere trova ben altre resistenze al suo tentativo
di riorganizzarsi per ristabilire lo status quo.
Napoli e Palermo
mostrano che è possibile vincere senza l’ipocrita presenza della falsa
sinistra (o se si preferisce dell’altra destra) con un messaggio che
parli forte e chiaro (magari anche in modo un po’ sguaiato) di
un’alternativa vera, di persone e di idee. Non ho paura di affrontare la
responsabilità politica che mi viene dal dire che preferisco chi
afferma, ancorché grossolanamente, di non essere né di destra né di
sinistra a chi dice di essere di sinistra ma poi a tutti gli effetti
pone in essere politiche di destra. Ai troppi italiani che non votano
perché arcistufi dell’ipocrisia dei Napolitano, dei Monti, dei Bersani,
non importa nulla delle etichette: a noi importa di acqua, di Tav, di
esiti delle occupazioni per i beni comuni culturali, e di una nuova,
indispensabile ecologia politica capace di creare un modello di società
più giusto ed egualitario.
Qualsiasi movimento
genuinamente contrario allo status quo, se interno alla discriminante
antifascista, non può che essere il nostro alleato naturale nel
difendere il rispetto della nostra Costituzione economica.
In questa fase occorre
mettere in campo un Comitato di Liberazione Nazionale contro i colpi di
coda autoritari del neoliberismo e dei suoi servitori affaristici e
partitocratici che sappia far vincere un discorso di radicale inversione
di rotta. Poi chi ha studiato troverà il modo di dare il proprio
contributo. Cercare di farlo prima, escludendo per ragioni estetizzanti
pulsioni potenzialmente rivoluzionarie, sarebbe a un tempo velleitario e
suicida.
Fonte: MegaChip
Autore: Ugo Mattei - il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento