Io candidato? È una bufala.
Certo che Saviano è ossessionato dalle bufale, dopo
l’elogio della mozzarella collocata tra i beni più preziosi e
irrinunciabili, vi ricorre anche stavolta per smentire confermando, per
rinnegare avvalorando, nel più collaudato “politichese” d’antan: Ovviamente è un falso, dice: (…)
Il mio mestiere e’ quello di scrivere, ma non rinuncio alla
possibilita’ di costruire un nuovo percorso in questo paese. (…) Ridare
dignita’ alle parole della politica e’ invece la premessa alla
rinascita. Ripartire dalle parole significa costruire prassi diverse.
Perche’ le parole sono azione.
Pare uno spot della trasmissione della Sette, a sua
volta un trailer - magari a loro insaputa – della fuffa volonterosa e
vanesia dell’antipolitica di chi a un imprenditore padrone ne vorrebbe
sostituire un altro, meno maleducato e ridicolo ma altrettanto
pericoloso, e rimpiazzare dei tecnici antipaticamente spocchiosi e
furiosamente pasticcioni, con degli specialisti dell’onestà, magari
altrettanto incompetenti anche se più graditi.
Bastasse un ceto dirigente che non ruba saremmo al
sicuro, bastasse una classe politica di austeri saremmo usciti dalla
crisi, bastassero appalti trasparenti non avremmo il problema di inutili
opere faraoniche, bastasse mettere una o più donne al governo
garantiremmo la doverosa attenzione ai segmenti di cittadini più
vulnerabili e esposti – e non sarebbe stata votata ieri al Senato nel
giubilo di tutti quell’infame edificio di nequizie impropriamente e
oltraggiosamente chiamato riforma del lavoro. Bastasse l’ autore di un
fortunato e lodevole libro denuncia sulla camorra per garantire la
legalità, vivremmo in un paese libero e felice.
E bastasse un partito di leader pericolanti, di
disillusi non del tutto arresi, di giornalisti pimpanti malgrado certi
eloquenti insuccessi, di professionisti della critica e della critica
alla critica, di bocconiani riflessivi e di liberisti pensosi, di
testimoni del territorio in perenne ammirazione del susseguirsi di tutti
i fenomeni presenti nel circo mediatico, a rifar su il centro sinistra,
allora, che dietro ci fosse il partito di repubblica o quello della
Fiat potremmo forse persuaderci di uscire dalla crisi, che è economica,
ma soprattutto creativa, morale, sociale.
E che è soprattutto una crisi della democrazia. Che non è
ferita, non è vilipesa, non è minacciata. Ormai è proprio morta
ammazzata non solo dal totale annientamento della sovranità del popolo e
dello Stato, sancito dal pareggio in bilancio in costituzione. Ma
soprattutto democrazia dalla delegittimazione dei partiti e dell´intera
sfera politica. Certo il detonatore sono la vergognosa caduta della
Lega nel familismo amorale in salsa padana, o la famiglia allargata
della Margherita, o le spensierate vacanze del governatore che ha dato
fuoco alla polveriera, quella della corruzione che si intreccia con la
controversa materia del finanziamento pubblico dei partiti. Che di
questo in verità si tratta, dell’imbroglio sfrontato che sotto le
mentite spoglie del rimborso delle spese elettorali – un travestimento
reso necessario dall´esigenza di annichilire la volontà espressa dal
popolo sovrano in un referendum – ha portato nelle casse dei partiti,
in diciotto anni, 2,3 miliardi di euro. L´effetto dirompente e
delegittimante di queste prassi dovrebbe essere percepito da tutti,
soprattutto dai politici. Nessuno escluso. Perché sarà anche vero che
non tutti i partiti hanno distratto il pubblico denaro per le private
finalità di qualche dirigente; sarà anche vero che la trasparenza dei
bilanci è diversa (su base volontaria) da partito a partito; sarà anche
vero che alcuni partiti cercano fonti di finanziamento nelle
contribuzioni volontarie di militanti e di simpatizzanti … Ma è vero
che tutti i partiti hanno percepito quel pubblico denaro in quantità
smodata. E che tutti i partiti definiscono “antipolitica” quello che è
invece legittimo sdegno dei cittadini davanti all´evidenza che i
sacrifici, in questo Paese, si fanno a senso unico. È vero che il
sistema politico largheggia verso se stesso, mentre è severo fino
alla spietatezza con i cittadini. E’ vero che questo sistema politico è
non solo costoso e inquinato ma anche inefficiente e incompetente: ne
ha dato prova nel subire la crisi, senza nemmeno ammetterla, nel
consegnarsi a un gruppo di sedicenti tecnici delegando loro misure
impopolari quanto dubbiose per salvare l’Italia dal baratro in cui
l’aveva condotta la cattiva politica, il sistema di corruzione,
l’incapacità e l’inazione, insieme alle oscure collusioni con poteri
economici rapaci.
Ma per convertire l’antipolitica nell’altra politica,
quella che ci serve, non basta la banda degli onesti. Per quello – fatto
salvo qualche bel conflitto di interessi, negato con sussiegosa
arroganza, qualche bel familismo, spacciato per virtù domestica, qualche
conteggio sbagliato, eh mica si può badare a tutto, qualche
sconcertante omissione nella dichiarazione dei redditi, ma non vorrete
mica che con tutto il daffare che hanno possano occuparsi di queste
piccolezze – si, per quello potremmo accontentarci dell’onestà dei
ragionieri, che è probabile non facciano la cresta. Ma l’onestà in
politica dovrebbe essere un’altra cosa: dovrebbe essere tutela
dell’interesse generale che deve sempre avere il sopravvento su quello
privato; dovrebbe essere scrupoloso rispetto dei diritti di tutti;
dovrebbe essere apertura e inclusione dei cittadini e dei loro
rappresentanti nei processi decisionali; dovrebbe essere salvaguardia
della sovranità dello Stato e delle sue istituzioni; dovrebbe essere
amore e doverosa attenzione nei confronti delle generazioni future, per
assicurare loro almeno quanto hanno avuto quelle passate, senza
scatenare conflitti e alimentare guerre tra le generazioni. E dovrebbe
significare anche passione, passione per la democrazia e la libertà che
possono essere nutrite solo con l’equità, con il superamento delle più
mostruose disuguaglianze, con una efficiente gestione dei servizi
sociali, con politiche del lavoro e dello sviluppo che restituiscano
forza e credibilità all’attesa del domani.
Onestà dovrebbe significare guardare alla possibilità di
costruire una alternativa all’ideologia e alla pratica oscena e avida
del profitto, al primato del mercato, alla corsa senza limiti a una
crescita ossessiva e suicida ai consumi di risorse, di ambiente e di
territorio, alla riduzione in merce del lavoro, dei lavoratori, delle
loro vite, della bellezza, della cultura, del sapere. Il partito dell’alternativa e della felicità sembra impossibile, ma non è chiedere troppo.ilsimplicissimus2.wordpress.com
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