martedì 29 maggio 2012

Il rapporto Barilla 2010 oltre alla svolta "green", rivela che più della metà del grano duro (di qualità) è importata

Barilla punta sulle produzioni sostenibili per attirare l’attenzione dei consumatori. È quanto emerge dal rapporto di sostenibilità 2010 presentato poche settimane fa dall’azienda di Parma che evidenzia l’impegno a favore dell’ambiente e della qualità nutrizionale dei prodotti.
Gli spaghetti
Ogni anno in Italia si macinano 5,5 -6 milioni di tonnellate di grano duro, ma solo 3,5-4 milioni vengono utilizzate per produrre pasta di qualità. Per sopperire alla mancanza di materia prima Barilla, importa dall’estero il 36% del grano duro (dati non definitivi 2011).
Le semole acquistate sul mercato nazionale rappresentano il 64% del totale e sono composte dal 50% di grano italiano, miscelato con grano francese, americano o canadese ad alto contenuto proteico. Una piccola parte del grano nazionale usato da Barilla deriva da contratti stipulati direttamente con le aziende agricole, che favoriscono la sostenibilità ambientale e garantiscono modalità di coltivazione, stoccaggio e un contenuto di proteine medio pari al 13,5%. Questa politica ha permesso di sostituire una parte del grano di alta qualità importato dagli Stati Uniti con l’Aureo, una varietà italiana con un valore di proteine del 14,5-15% in grado di competere con i migliori grani del mondo. Questa scelta locale permette una riduzione di circa 1.000 metri cubi di acqua per tonnellata di grano duro. Oltre a questi impegni bisogna ricordare le decisioni relative alla coltivazione sostenibile di grano tenero, segale e pomodoro.
La quantità di grano italiano è però destinata ad aumentare, grazie al progressivo miglioramento della qualità media e all’adozione da parte di altre aziende della “best practice” nei contratti integrati. Facendo bene i conti si arriva alla conclusione che l’Italia esporta il 50% circa della pasta prodotta, per cui il bilancio dell’import-export segna un +10% a favore del nostro paese.
Altri prodotti
Lo sforzo per diminuire il contenuto di sale, zuccheri e grassi è un’iniziativa meritoria, ma a volte risulta “debole”. Nel 2010, si legge nel rapporto, in 24 prodotti è stata ridotta la quantità di sale in «percentuale significativa», senza però fornire dati precisi, mentre in altri è stata aumentata la quantità di fibre o sono stati eliminati alcuni additivi.
Tutte queste iniziative per sostenere  un’immagine più sostenibile non sfuggono a qualche incidente di percorso, come la conferma della sentenza di pubblicità ingannevole per i prodotti Alixir.
Ci sono altri aspetti interessanti nel rapporto come la decisione, pur apprezzabile, di  utilizzare solo olio di palma proveniente da coltivazioni sostenibili. Questo elemento però conferma l’uso massiccio nei prodotti da forno di un olio con un profilo nutrizionale non proprio eccellente a svantaggio di grassi di qualità  come il burro o l’olio di oliva. Molto valide ci sembrano le altre iniziative a tutela dell'ambiente, come la riduzione del 15%  del consumo di acqua e un risparmio energetico del 3,7%. È stata ridotta anche la carbon footprint dei prodotti, abbassando del 15% le emissioni di CO2.  Si è lavorato molto sugli imballaggi, riducendo la quantità di carta cartone e pellicole plastiche e ottimizzando i sistemi di produzione e trasporto. La quota degli imballaggi riciclabili è salita al 94%, di cui un  40% derivato a sua volta da materiale riciclato.
Infine Barilla propone il progetto Home cooking pasta, un sistema per il risparmio energetico casalingo. La società leader degli spaghetti nel mondo dice che è possibile cuocere correttamente la pasta usando 0,8 litri di acqua per ogni etto, anziché 1 litro, con  una riduzione delle emissioni di CO2 del 5 %.

Paola Emilia Cicerone

www.ilfattoalimentare.it 

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