Sbaglia chi pensa che in Russia il problema della dissidenza si leghi unicamente all'esperienza del socialismo reale. Certamente negli ottanta anni che seguono il 1917 le condizioni di vita degli autori indipendenti sono state determinate in senso negativo dal potere, con tutti i mezzi a disposizione (dal boicottaggio, al carcere fino al gulag), ma la persecuzione degli intellettuali ha avuto in realtà il suo battesimo già ai tempi degli zar.
Per esempio Radishchev, autore settecentesco del volume Viaggio da Pietroburgo a Mosca (nel quale era descritta la pietosa situazione delle campagne e delle condizioni di vita dei loro abitanti) venne condannato all'esilio in Siberia nientemeno che dall'intellettuale e "illuminata" Caterina II.
Dopo di lui Chadaaev, filosofo considerato il primo occidentalista della storia russa, autore delle Lettere filosofiche, riuscì a scampare persecuzioni notevoli fingendosi pazzo.
Anche Pushkin, assolutamente allergico alle pressioni del potere e di fatto profondamente anticonformista, venne "mobbizzato" dal potere e, oltre ad essere costretto alla residenza coatta in varie parti molto periferiche dell'Impero, ottenne, in età per l'epoca già matura, il quasi offensivo titolo di Kamerjunker (titolo di norma attribuito a giovani) solo perché sua moglie Natalia (una delle donne più belle di Pietroburgo) potesse partecipare alle feste che la Corona organizzava.
Tutto l'Ottocento è costellato da una lunga lista di intellettuali perseguitati. I più noti sono Herzen e Dostoevskij (questi sul patibolo, a pochi minuti dall'esecuzione, venne infine graziato dallo zar- la tragica esperienza è descritta nel romanzo L'idiota).
Con la radicalizzazione dello scontro politico anche a inizio Novecento in molti lasciano il paese per emigrare soprattutto in Francia, Germania e Inghilterra. Tra quelli arrivati da noi dopo la rivoluzione del 1905 ricordo Gor'kij.
Come sappiamo, la Rivoluzione bolscevica non portò affatto a un cambiamento in questo trend. Se Lenin e Trockij (che nel suo volume Letteratura e rivoluzione aveva preso atto della necessità, per la cultura russa di allora, del dialogo anche con gli intellettuali "borghesi" ) si mostrarono totalmente favorevoli al confronto, dopo la morte del capo della rivoluzione e con la persecuzione dei suoi migliori collaboratori (appunto Trockij, Bukharin, ecc) e l'avvento dello stalinismo la condizione degli intellettuali divenne insostenibile. Un libro scritto a questo proposito si intitola Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Sappiamo infatti che buona parte degli scrittori della vecchia guardia morirono perché deportati in gulag o semplicemente si suicidarono (anche la questione dell'attendibilità del termine "suicidio" resta aperta). Tra i suicidi noti troviamo: Majakovskij, Esenin e la Cvetaeva (il suicidio di quest'ultima risale però agli anni della seconda guerra mondiale e all'invasione nazista).
Poi ci sono i casi della cosiddetta "resistenza passiva": Anna Achmatova e Iosif Brodskij sono i più noti. All'Achmatova, perseguitata col boicottaggio, colpirono il figlio Lev, nato dall' unione col poeta Nikolaj Gumilev (considerato "fascista"). Dal calvario di questa esperienza sono nate alcune delle sue liriche più belle tra cui il ciclo Requiem di cui riporto la sua "Prefazione" nella traduzione di Michele Colucci, pubblicata da Einaudi:
"Nei terribili anni dellla "ezhovshchina" ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi "riconobbe". Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore proprio a noi tutti e mi domandò all'orecchio (là tutti parlavano sussurrando):
- Ma Lei può scrivere questo?
E io dissi:
- Posso.
Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto.
I aprile 1957. Leningrado"
Per questo ancora oggi in Russia tra gli intellettuali i poeti sono considerati i dententori della vera coscienza collettiva, e non è certamente casuale il fatto che Josif Brodskij, emigrato poi in Occidente, abbia dichiarato ricevendo il premio Nobel per la letteratura che "l'estetica è la madre dell'etica".
Potenza della letteratura!
Per esempio Radishchev, autore settecentesco del volume Viaggio da Pietroburgo a Mosca (nel quale era descritta la pietosa situazione delle campagne e delle condizioni di vita dei loro abitanti) venne condannato all'esilio in Siberia nientemeno che dall'intellettuale e "illuminata" Caterina II.
Dopo di lui Chadaaev, filosofo considerato il primo occidentalista della storia russa, autore delle Lettere filosofiche, riuscì a scampare persecuzioni notevoli fingendosi pazzo.
Anche Pushkin, assolutamente allergico alle pressioni del potere e di fatto profondamente anticonformista, venne "mobbizzato" dal potere e, oltre ad essere costretto alla residenza coatta in varie parti molto periferiche dell'Impero, ottenne, in età per l'epoca già matura, il quasi offensivo titolo di Kamerjunker (titolo di norma attribuito a giovani) solo perché sua moglie Natalia (una delle donne più belle di Pietroburgo) potesse partecipare alle feste che la Corona organizzava.
Tutto l'Ottocento è costellato da una lunga lista di intellettuali perseguitati. I più noti sono Herzen e Dostoevskij (questi sul patibolo, a pochi minuti dall'esecuzione, venne infine graziato dallo zar- la tragica esperienza è descritta nel romanzo L'idiota).
Con la radicalizzazione dello scontro politico anche a inizio Novecento in molti lasciano il paese per emigrare soprattutto in Francia, Germania e Inghilterra. Tra quelli arrivati da noi dopo la rivoluzione del 1905 ricordo Gor'kij.
Come sappiamo, la Rivoluzione bolscevica non portò affatto a un cambiamento in questo trend. Se Lenin e Trockij (che nel suo volume Letteratura e rivoluzione aveva preso atto della necessità, per la cultura russa di allora, del dialogo anche con gli intellettuali "borghesi" ) si mostrarono totalmente favorevoli al confronto, dopo la morte del capo della rivoluzione e con la persecuzione dei suoi migliori collaboratori (appunto Trockij, Bukharin, ecc) e l'avvento dello stalinismo la condizione degli intellettuali divenne insostenibile. Un libro scritto a questo proposito si intitola Una generazione che ha dissipato i suoi poeti. Sappiamo infatti che buona parte degli scrittori della vecchia guardia morirono perché deportati in gulag o semplicemente si suicidarono (anche la questione dell'attendibilità del termine "suicidio" resta aperta). Tra i suicidi noti troviamo: Majakovskij, Esenin e la Cvetaeva (il suicidio di quest'ultima risale però agli anni della seconda guerra mondiale e all'invasione nazista).
Poi ci sono i casi della cosiddetta "resistenza passiva": Anna Achmatova e Iosif Brodskij sono i più noti. All'Achmatova, perseguitata col boicottaggio, colpirono il figlio Lev, nato dall' unione col poeta Nikolaj Gumilev (considerato "fascista"). Dal calvario di questa esperienza sono nate alcune delle sue liriche più belle tra cui il ciclo Requiem di cui riporto la sua "Prefazione" nella traduzione di Michele Colucci, pubblicata da Einaudi:
"Nei terribili anni dellla "ezhovshchina" ho trascorso diciassette mesi a fare la coda presso le carceri di Leningrado. Una volta un tale mi "riconobbe". Allora una donna dalle labbra bluastre che stava dietro di me, e che, certamente, non aveva mai udito il mio nome, si ridestò dal torpore proprio a noi tutti e mi domandò all'orecchio (là tutti parlavano sussurrando):
- Ma Lei può scrivere questo?
E io dissi:
- Posso.
Allora una specie di sorriso scivolò per quello che una volta era stato il suo volto.
I aprile 1957. Leningrado"
Per questo ancora oggi in Russia tra gli intellettuali i poeti sono considerati i dententori della vera coscienza collettiva, e non è certamente casuale il fatto che Josif Brodskij, emigrato poi in Occidente, abbia dichiarato ricevendo il premio Nobel per la letteratura che "l'estetica è la madre dell'etica".
Potenza della letteratura!
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