lunedì 3 giugno 2024

Il professor Arcangeli da una memorabile lezione di storia a quel piccolo generale!

 29 ottobre 1944. A pochi chilometri da Castelletto sopra Ticino (Novara) un gruppo di partigiani fa prigioniero e passa per le armi un sottotenente di vascello della Xa Flottiglia MAS.  La “decima”, nata ufficialmente come 1a Flottiglia MAS a La Spezia (23 aprile 1939), denominata quindi pro tempore Flottiglia MAS Speciale e infine ribattezzata (14 marzo 1941) 10a Flottiglia MAS (poi, semplicemente, Xa) dallo Stato Maggiore della Regia Marina, in ricordo della decima legione di Giulio Cesare (la sua preferita), era una delle flottiglie della marina militare italiana composte di motoscafi armati siluranti. Di qui l’acronimo MAS, che in origine stava per motobarca armata S.V.A.N. dal nome di un’azienda produttrice delle imbarcazioni munite di siluri, la Società Veneziana Automobili Navali; le lanciasiluri, ordinate per la prima volta alla S.V.A.N. dallo Stato italiano poco più di un mese prima dell'entrata in guerra del nostro paese (24 maggio 1915), e rese disponibili nel 1916, si sarebbero trasformate prima in motobarche armate siluranti e soltanto più tardi in motoscafi armati siluranti. Gabriele d'Annunzio, fra i partecipanti all'incursione notturna dei tre MAS contro quattro piroscafi austriaci, la notte fra il 10 e l'11 febbraio 1918, che sarebbe passata alla storia come “beffa di Buccari”, avrebbe sciolto MAS, in quell’impresa, Memento Audere Semper (‘ricordati di osare sempre’). Il timoniere del suo scafo, il volontario Angelo Procaccini, aveva scritto a matita su una tavoletta, poi inchiodata davanti alla ruota del timone, un altro motto latino, Motum Animat Spes (‘la speranza anima il movimento’). D'Annunzio, giudicando la soluzione imbelle, gliel’aveva fatta sostituire con quella inventata da lui.


Torno alla vicenda di Castelletto sopra Ticino. I militi della “decima”, per rappresaglia, rastrellano il paese e arrestano sedici castellettesi, condotti nella sede del GNR di Sesto Calende. La decima tornerà a Castelletto il primo novembre. Il tenente di vascello Ongarillo Ungarelli, che ha annunciato “la più spietata, la più feroce delle vendette”, costringe la popolazione a radunarsi nel piazzale antistante il piccolo porto del paese, dove sono stati messi in fila i sedici ostaggi. Vengono quindi tradotti lì anche sei partigiani, con le mani legate dietro la schiena, portati nel porticciolo a bordo di un motoscafo. Prelevati dall'albergo Milano di Arona, meglio noto come Alcazar, dov'e ubicato il comando delle forze fasciste, sono stati fatti prigionieri in un altro rastrellamento (nel Basso Vergante, ai margini dell'Ossola). Fatti sedere davanti al plotone d’esecuzione, schiena rivolta al plotone, coi castellettesi che cercano intanto vanamente di forzare il cordone formato dai soldati della Xa MAS, cantano “Che importa se ci chiamano banditi, il popolo conosce i suoi figli”. Alla lettura della sentenza (“Io, capitano Ungarelli della X Mas, condanno a morte mediante fucilazione alla schiena questi 6 banditi, volgari delinquenti comuni”) i castellettesi gridano tutta la loro rabbia e tutto il loro disprezzo contro Ungarelli, che a quel punto, incalzato dalla folla, si vede costretto a graziare Alfonso Boca, 17 anni, il più giovane dei sei. Gli altri sono Ernesto Colombo (18 anni), Sergio Gamarra (19 anni), Luciano Lagno (23 anni), Teresio Clari (30 anni), Luigi Barbieri (44 anni). Ora al loro canto si aggiunge quello dei castellettesi, mentre una donna che è riuscita a superare il cordone militare e a buttarsi verso i condannati, e li esorta a non smettere di cantare, viene agguantata e portata via su un furgone. I sei partigiani non vengono uccisi tutti insieme, ma uno dopo l’altro, perché chi doveva essere ancora fucilato potesse assistere all’esecuzione di chi era già stato giustiziato. Barbieri aveva chiesto che le raffiche di mitra lo colpissero al cuore per consentire il riconoscimento del suo cadavere. Ungarelli gli si avvicina e, per finirlo, gli spara sul viso. A Castelletto sopra Ticino un momento realizzato sul progetto di uno scultore locale, Enrico Barberi, che ha assistito all’esecuzione, ricorda i cinque partigiani assassinati dall’anima nera della Xa MAS, la divisione costituita da criminali di guerra della peggior specie,  i miliziani rimasti fedeli a Mussolini col loro logo composto di un teschio con una rosa in bocca e, sotto, la dicitura Xa Flottiglia MAS. Gli stessi, responsabili di aver assassinato diverse centinaia di persone, fra civili e combattenti partigiani, anche in azioni condivise con le SS, che incidevano sui corpi delle loro vittime la dicitura “È passata la decima” o infilavano al collo dei morti un cartello, dopo averli appesi a un albero, su cui quella scritta era stata riprodotta. Gli stessi che, prima della fucilazione di Castelletto, avevano fatto riportare in piazza i cadaveri dei dodici civili fucilati a Borgo Ticino (13 agosto 1944), rimossi dai loro familiari (che però se l'erano ripresi, inumandoli in una bara singola), per seppellirli indegnamente tutti insieme, senza  cassa mortuaria, dopo averli caricati su un carro. Dodici civili scelti a caso fra i borghigiani.


Roberto Vannacci la racconti a se stesso la favola di una “gloriosa” Xa MAS anteriore alla squadriglia tristemente nota che dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, sotto il comando del principe Junio Valerio Borghese – l’autore del tentato golpe del 1970 –, si schierò coi repubblichini e coi nazisti. L'appello al voto del generale, che ha invitato a “fare una decima” sul simbolo della Lega in accompagnamento all’indicazione  del suo nome, e cioè proprio la X inconfondibilmente associata ai militari repubblichini criminali di guerra, sulla scheda elettorale delle prossime elezioni europee, non è solo apologia del fascismo, perché parliamo in ogni caso di una divisione fascista, ma è apologia dei crimini commessi dalla Repubblica di Salò, alleata della Germania hitleriana. Un appello diffuso per giunta all'indomani di quel 30 maggio in cui il socialista Giacomo Matteotti, fiero avversario del regime fascista, pronunciò alla Camera dei deputati (1924) il suo storico discorso di contestazione allo svolgimento delle elezioni del 6 aprile precedente. Quel discorso che, undici giorni dopo, gli sarebbe costato la vita. 


I cinque partigiani di Castelletto sopra Ticino, prima di morire, hanno gridato “Viva l'Italia, viva i partigiani”. Io dico: “VIVA L’ITALIA ANTIFASCISTA Scritto così, tutto in maiuscolo, per equipararlo a un grido. A futura memoria. E chi contro quest’ormai acclarata e rumorosa ondata neofascista senza precedenti non si è ancora espresso, prima che sia troppo tardi, esca dall’anonimato e lo faccia ora. Perché personaggi come Vannacci siano rispediti ai loro mittenti: l’istigazione all’odio, la barbarie,  l’offesa alla memoria delle vittime del fascismo e del nazismo.

Massimo Arcangeli

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