I funerali di Simonetta Cesaroni nell'agosto del 1990. Al centro, con la camicia a righe, l'ex fidanzato Raniero Busco
Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, con la moglie durante un'udienza del processo a febbraio scorso
Busco durante un'udienza del processo il 16 febbraio scorso con la moglie e l'avvocato difensore Paolo Loria
L'avvocato Molinaro a sinistra e il pm Ilaria Calo' all'interno del tribunale di Rebbibia
Busco esce dalla sua abitazione in una foto di archivio
La pm Ilaria Calo' durante un'udienza del processo in una foto d'archivio
Il palazzo di via Poma a Roma dove fu uccisa Simonetta Cesaroni
Simonetta Cesaroni al mare in una foto di archivio
La foto, archiviata tra i rielievi della scientifica, del mazzo di chiavi della porta dello studio di via Poma
Le operazioni di recupero del cadavere di Pietrino Vanacore il 9 marzo 2010. L'ex portiere dello stabile di via Poma, inzialmente sospettato, e' morto suicida
Busco al suo arrivo nell'aula bunker del carcere di Rebibbia in una foto d'archivio
La targa di via Carlo Poma nel quartiere Prati a Roma dove fu uccisa Simonetta Cesaroni
Un'immagine della dentatura di Brusco proiettata nell'udienza del processo Cesaroni a luglio scorso
di Luca Laviola
Pietrino il portiere, il nipote dell'architetto, il supertestimone austriaco, il fidanzato, il datore di lavoro e tanti altri ancora. Sono i personaggi di un giallo che dura da quasi 22 anni. Via Poma, nel centrale quartiere Prati di Roma, una giornata di agosto del 1990, una ragazza di 21 anni uccisa in modo orribile, con 29 coltellate. Simonetta Cesaroni, fissata per sempre in quella foto al mare con un costume intero bianco e in poche altre immagini. Con l'assoluzione in appello di Raniero Busco, che all'epoca aveva una relazione con lei, il mistero torna ad essere insoluto. Busco è tornata alla ribalta come protagonista assoluto negli ultimi anni, da quando le nuove indagini hanno puntato su di lui e le analisi sui reperti svolte con metodi impensabili nel '90 sembravano averlo inchiodato fino alla condanna in primo grado. Ma il volto piu' noto del giallo di via Poma è stato a lungo Pietro Vanacore, detto Pietrino, il portiere dell'elegante palazzo del delitto. Tre giorni dopo la scoperta del cadavere di Simonetta viene fermato: su un suo pantalone ci sono delle macchie di sangue, ma non è della vittima. Vanacore è scarcerato dal tribunale del Riesame il 30 agosto. Il 26 aprile del 1991 il Gip archivia gli atti che lo riguardano, ma la sua vicenda giudiziaria non è affatto conclusa.
Tra l'altro, in seguito le due figlie lo accusano di molestie sessuali, ma anche questo procedimento alla fine sarà archiviato. Di poche parole, riservato fino a sembrare sfuggente, Vanacore è inseguito dal destino fino in Puglia, dove si è trasferito da molti anni: il 9 marzo 2010 si uccide affogandosi in pochi centimetri d'acqua a Torre Ovo, in provincia di Taranto. Lascia due bigliettini con scritto "Venti anni di sofferenza e sospetti portano al suicidio". Pochi giorni dopo avrebbe dovuto testimoniare al nuovo processo che vede imputato Busco. Nell'ottobre del 2008 la sua casa in Puglia era stata perquisita nell'ambito di una nuova inchiesta a suo carico, anch'essa poi archiviata. L'indagine sul suicidio non porta a nulla, nonostante alcuni aspetti dubbi. Un altro protagonista, soprattutto nelle prime fasi dell'inchiesta, è Federico Valle, giovane nipote di un noto architetto che abita nel palazzo di via Poma e che la notte dell'omicidio ha ospitato Vanacore. Il 3 aprile del '92 Federico Valle riceve un avviso di garanzia: un amico della madre, l'austriaco Roland Voller, ha riferito che secondo la donna il figlio tornò sporco di sangue da via Poma. Il giovane presenta in effetti delle ferite sulle braccia, ma il 16 giugno 1993 il Gip proscioglie Valle per non aver commesso il fatto e Vanacore perché il fatto non sussiste. Uscirà definitivamente dall'inchiesta nel '95.
Le prime indagini toccano anche Raniero Busco, giovane con cui Simonetta aveva una relazione. Si scava prima di tutto nella cerchia personale della ragazza e quel giovane con il ciuffo biondo viene sentito piu' volte dagli investigatori. Emergono i suoi dissidi con la vittima, che gli rimproverava di non essere abbastanza coinvolto sentimentalmente. In seguito alcuni brani del diario della ragazza confermeranno la sua sofferenza. Solo 16 anni dopo, però, nel 2006, Busco, ormai quarantenne, diventa l'indiziato numero uno del delitto. Le analisi del Ris carabinieri sugli indumenti di Simonetta portano a isolare il suo Dna. Inoltre non ha un alibi riscontrabile per le ore decisive e le due cose messe assieme lo portano fino al rinvio a giudizio e alla condanna a 24 anni in primo grado per omicidio, il 26 gennaio 2011. "Non ho ucciso Simonetta, le volevo bene", continua a dire Busco, che nel frattempo si è sposato. La moglie crede senza tentennamenti alla sua innocenza. Che oggi ha trovato sanzione nell'assoluzione in appello, dopo nuove perizie sul Dna capaci di smontare i risultati delle precedenti. Un personaggio minore del giallo, ma a lungo ritenuto importante, è Salvatore Volponi, datore di lavoro di Simonetta. Titolare di uno studio commerciale che aveva tra i suoi clienti l'Associazione degli alberghi della gioventù (Aig) nei cui uffici la ragazza è stata uccisa. Volponi è tra coloro che scoprono il corpo della giovane e alcuni suoi comportamenti immediatamente successivi destano sospetti. Le indagini coinvolgono anche lui. La sua posizione viene però archiviata il 26 aprile 1991.
(ANSA)
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