domenica 31 agosto 2014

Il mistero del metronotte rapito dagli UFO a Torriglia: “IL CASO ZANFRETTA”


zanfretta 

Il 16 aprile si è tenuto al Teatro Pasolini l’incontro intitolato “IL CASO ZANFRETTA”, promosso dall’associazione Forum Democratico, col patrocinio di comune e provincia. All’incontro sono intervenuti Pier Fortunato Zanfretta, Emilia Balbi coordinatrice ligure del Centro Ufologico Nazionale, Antonio Chiumento consulente scientifico dello stesso C.U.N. e il giornalista Dario Bortolin, in qualità di moderatore. Zanfretta è al centro del più famoso caso ufologico d’Italia. Infatti, il metronotte genovese negli anni ‘78- 80 sarebbe stato protagonista di «incontri ravvicinati del terzo tipo». Nato a Nova Milanese il 28/12/1952, all’epoca dei fatti aveva 26 anni, era sposato, aveva 2 figli piccoli ed era dipendente dell’istituto di Vigilanza “Val Bisagno” di Genova. Il 6/12/1978, verso le 23,30 si era recato a Marzano, un piccolo centro sull’Appennino ligure nei pressi della cittadina di Torriglia, per il solito giro notturno di ispezione. Arrivato nei pressi della villa “Casa Nostra”, si accorse che 4 piccole luci si stavano muovendo stranamente nel prato circostante alla villa. Accortosi che cancello e porta d’ingresso erano spalancati, si convinse che fossero dei ladri e decise di avvicinarsi con cautela, passando dal giardino della villa per sventare l’azione criminosa. Ma in quel momento esatto l’auto si fermò con l’impianto elettrico fuori uso e le luci dell’auto si spensero contemporaneamente a quelle della vallata. Prima, però, tentò di chiamare il centro operativo di Genova con la radio che aveva in macchina, ma non ci riuscì perché anche la radio si era misteriosamente ammutolita, anche se avrebbe dovuto funzionare comunque con la batteria interna dell’auto. A quel punto il metronotte decise di affrontare i presunti ladri e lentamente entrò in giardino con la torcia nella mano sinistra e la pistola nella destra.
Le 4 luci gli passarono velocemente davanti, da sinistra verso destra, scomparendo in un attimo dietro lo spigolo nord della casa. Avanzò circospetto fino all’angolo della villa, dove aveva visto sparire le luci e si fermò per cercare di sorprendere i ladri alle spalle. In quel momento, però, fu spinto violentemente da dietro. Cadendo, si voltò di scatto, alzò la torcia e ciò che vide fu un mostruoso corpo verdastro che stava dritto davanti a lui. A occhio valutò che quell’essere poteva essere alto oltre 3 metri. Per lo spavento, la torcia gli cadde e svenne. Quando si riprese, disse che vide un velivolo luminosissimo di forma triangolare, più grande della casa, che si alzava da dietro la villa con un sibilo. Riferì che la luce e il calore sprigionato dal velivolo erano tanto intensi da doversi riparare con il braccio. Allora raggiunse la macchina, chiamò l’operatore della centrale operativa e gridò via radio: “Non sono uomini, non sono uomini!”. Da un sopralluogo dei Carabinieri, al comando del brigadiere Antonio Nucchi, nell’area dove il presunto disco volante sarebbe atterrato, venne scoperta una profonda orma a ferro di cavallo ben visibile, di 2,5 metri per 3, e la vegetazione ghiacciata appariva fortemente schiacciata, come se qualcosa di molto pesante si fosse appoggiato sull’erba. Anche l’orto che si trovava dietro la villa, e cioè il punto in cui Z. aveva visto il disco volante la prima volta, era stato trovato sottosopra. In tutto ben 52 persone nell’inchiesta dei Carabinieri testimoniarono di aver visto in quelle ore e in quella zona un grosso disco volante luminoso volteggiare nel cielo. Tra le varie testimonianze c’è anche quella del brigadiere della finanza Salvatore Esposito che, intento ad alzar la saracinesca del suo garage, si vide illuminato a giorno, e credendo che l’amico seduto in macchina avesse acceso gli abbaglianti, lo invitò seccato a spegnerli. Ma quando si voltò vide i fari spenti, e l’amico con gli occhi sbarrati che guardava nel cielo un enorme disco volante, fermo, che proiettava un’intensissima luce bianca. Spaventatissimo, si riprese solo quando il disco con un guizzo si allontanò. Anche i metronotte Luna e Mascia, i colleghi che trovarono Z. verso le 1,15, riferirono che Z., subito dopo l’incredibile avvenimento, se ne stava buono buono in un angolo, con gli occhi fuori dalle orbite. Del resto dovettero disarmarlo con la forza, perché non li riconosceva, come se fosse rimasto sconvolto e intontito dalla paura. Furono sempre i 2 metronotte che notarono l’eccezionale calore del corpo e degli abiti di Z., nonostante il freddo pungente di quella notte di dicembre. La temperatura, infatti, era sotto lo zero termico.
In seguito a questo evento Z. accettò senza esitare di sottoporsi a una seduta di ipnosi regressiva, richiesta dal giornalista Rino Di Stefano a Gianfranco Tutti, direttore dell’Istituto di Vigilanza. L’idea era di farlo retrocedere nel tempo e fargli rivivere quei singolari momenti. L’ipnosi è infatti uno dei metodi più usati per far rivivere passate esperienze, metodologia efficace per far riaffiorare dall’inconscio ricordi rimossi, dissociando il lato cosciente dell’individuo. Ad effettuare la seduta fu il dott. Mauro Moretti, psicoterapeuta e medico ipnotista. Durante l’ipnosi Z. rivisse, con dovizia di particolari, i suoi movimenti prima dell’incontro, le luci viste presso la villa, che lui credeva fossero ladri, e anche lo spintone ricevuto. Ma rivelò inoltre che fu portato da 4 esseri mostruosi a bordo del disco volante dove faceva molto caldo, i quali gli misero sulla testa un fastidiosissimo elmetto, che gli procurava dolori alla testa. Gli descrisse come degli esseri alti più di 3 metri, una sorta di lucertoloni con la pelle verde, squamata, con occhi luminosi e con un simbolo sul petto. Inoltre lo sottoposero a tutta una serie di esami di carattere clinico, che egli descrisse dettagliatamente. Intanto i residenti della zona segnalarono all’ENEL quel misterioso blackout nella vallata, e venne accertato che l’incidente era avvenuto, anche se la causa restò misteriosa. La storia di Z. con gli Ufo inizia il 16/2/I977, quando vide nel cielo notturno un oggetto arancio a forma di sigaro con 3 finestrini quadrati e 2 sfere luminose sulla coda.“Presi la mia radio, chiamai la centrale operativa e segnalai l’oggetto che avevo avvistato – raccontò in seguito il metronotte – Tutti i miei colleghi ascoltarono la mia conversazione con la centrale, e mi dissero che avevo visto un Ufo. Il giorno dopo, un giornale locale uscì raccontando del mio avvistamento”. Tutto ciò accadde circa 4 mesi prima dell’evento di Marzano. Quasi a voler confermare l’episodio, il 9/12/1978 a Barletta nelle Puglie, una pattuglia di carabinieri e 4 ragazzi che viaggiavano su un’auto erano rimasti abbagliati da un grosso disco volante che girava su se stesso, sprigionando una luce accecante che li fece andare fuori strada, causando il ferimento di un passeggero. Il disco volante era anche atterrato, e sul luogo degli avvistamenti, scomparsi gli Ufo, fu rinvenuta un’orma a ferro di cavallo del diametro di oltre 2 metri. Per quanto fosse ormai controllato a vista dai suoi colleghi, venti giorni dopo Z. sparì nuovamente e avvenne un secondo traumatico incontro. Tutto accadde la notte tra il 27 e il 28/12/1978, nei pressi del Passo della Colla, vicino alla località Rossi. “Ero in macchina, in servizio. Stavo facendo la solita strada; imboccai una galleria. Vidi delle luci gialle, molto forti e, d’un tratto, una gran quantità di fumo bianco che mi investì – raccontò Z. -.
Il primo istinto fu quello di frenare e avvicinarmi al guardrail, ma i freni non funzionavano. Ricordo che la macchina fece un testa coda…poi più nulla. Rammento solo di essermi trovato in montagna, e che 2 esseri mi prelevarono e mi portarono via, nella loro casa volante”. Alle 23,46 Attilio Mazza, operatore radio di turno, aveva ricevuto una chiamata concitata di soccorso. Z. disse di essere avvolto da una fitta nebbia che non gli permetteva di vedere e che l’auto andava da sola: gli era impossibile controllarla. Alle 23,50 riferì che la macchina si era fermata e vide una gran luce. Secondo successive ricostruzioni dei fatti, nel momento in cui stava dando l’allarme, si trovava all’interno della galleria della Scoffera. Z. fu rintracciato in piena notte dai colleghi che avevano udito le sue ultime parole via radio. Fu ritrovato, per circostanze fortunose, appunto vicino a Rossi. Era aggrappato ad uno spuntone di roccia e rischiava di cadere in un burrone. Quando i colleghi lo raggiunsero, videro che Z. cercava di scappare arrampicandosi sulla collina, spaventato dai fari delle automobili. Stava piovendo copiosamente e anche in quel caso la temperatura era rigida, ma i vestiti di Z. erano asciutti.“Dal naso in su-spiegò il Brig. Emanuele Travenzoli – era caldissimo. Le orecchie erano rosso fuoco”. Anche il tetto della sua macchina di servizio era caldissimo e asciutto. L’avventura del metronotte non finì lì. Il direttore Tutti, che aveva partecipato alla spedizione di soccorso, raccontò che, sulla strada del ritorno, improvvisamente le luci, i tergicristalli e il motore delle auto dei metronotte si spensero. Cassiba e Claudio il figlio di Tutti, giurano di aver visto dietro di loro una luce rossa e di esser stati inseguiti per un certo tratto, e Z., sempre tremante, disse che “loro” erano ancora lì. Intorno all’auto di Z. erano state scoperte orme di grandezza spropositata (lunghe 50 centimetri e larghe 20), nonché un’ampia area a semicerchio di circa 3 metri di diametro, al cui interno la vegetazione era stata completamente sradicata. La situazione era tanto pericolosa che il tenente Cassiba, che si trovava al volante di uno dei veicoli, con prudenza scese a motore spento giù da quella impervia stradina di montagna, tenendo la testa fuori dal finestrino. C’era il rischio di finire giù dalla scarpata. La densa nebbia, infatti, impediva ogni visibilità. Fu solo dopo alcune centinaia di metri in discesa che il motore e le luci delle auto ripresero a funzionare.
Quattro sono gli aspetti particolari di questo secondo episodio. Furono sparati 6 colpi dalla pistola Smith&Wessons di Z.(disse che furono sparati dai presunti alieni), e il tetto della 127 sulla quale viaggiava, a dispetto del clima umido e tagliente, scottava, e il calore si mantenne sino a quando non fu riportata a Genova. Il metronotte Francesco Meligrana, che la ricondusse nel garage, disse che “sembrava essere in un forno, anche se il riscaldamento era spento”. Il giorno successivo a questo avvenimento, furono appunto rinvenute le grandi orme di piede (già segnalate da Raimondo Mascia il giorno precedente, malgrado la pioggia), proprio sul posto dell’incontro. Facendo una comparazione con la scarpa taglia 43 del brigadiere Nucchi, risultava che l’essere che aveva quel piede così grosso doveva essere eccezionalmente alto. Nella piazzola parzialmente asfaltata dove avvenne il fatto, ai bordi della strada, cresceva e tutt’ora cresce la vegetazione incolta. Vennero trovate le erbacce completamente sradicate, disegnanti un’area a semicerchio di circa 3 metri di diametro, e 2 segni di slittamento, non provocati da pneumatico, in quanto non vi era alcun segno di battistrada per tutta la lunghezza dei segni. Qualche giorno prima dell’incontro di Z. accadde un episodio assai particolare a Cicagna, un paese vicino Torriglia. Alle ore 4,25 del mattino del 26/12/1978, improvvisamente, Aldo Devoto venne svegliato di soprassalto.“Mi trovavo nella stanza da letto con mio figlio Mario di 7 anni – raccontò a un cronista del quotidiano “Il Lavoro” – quando all’improvviso ho avvertito un tonfo sulla ringhiera della mia abitazione sita al secondo piano ed un susseguente fruscio, a questo è seguito un bagliore fortissimo che traspariva della finestra. Affacciatomi sul terrazzo, a 5 o 6 metri sollevato sulla carreggiata, proprio sotto di me, ho visto un oggetto luminosissimo, delle dimensioni di una 127 con 4 piedistalli. L’oggetto non emetteva rumori, ma solo una luce intensa ad accecarmi. La cosa che più mi ha colpito è stata la completa impossibilità di staccarmi dalla ringhiera del terrazzo. Ero come paralizzato, avrei voluto scattare una foto o tranquillizzare i miei familiari, ma ogni movimento mi era stato impedito. Poi ho visto allontanarsi il mezzo volante e ho notato come 2 fiocchi di fuoco uscire dalla sua parte posteriore. Quindi tutto tornò normale”. La testimonianza fu confermata dalla suocera di Devoto. I Carabinieri trovarono poi diversi rami spezzati all’altezza dell’abitazione. Tornando a Z., un particolare non era molto chiaro. Secondo quanto risultava dalle
comunicazioni radio, tra le chiamate che il metronotte aveva fatto quando si trovava all’interno della galleria della Scoffera e quando raggiunse il Passo della Colla, erano passati solamente 4 minuti. Il giornalista Rino Di Stefano chiese quindi di ripetere quel percorso con la stessa auto che era stata guidata da Z. e il direttore Tutti lo affidò al metronotte Mascia, buon conoscitore della 127 e di quei posti. La prova venne effettuata in una giornata di sole. Mascia, con Di Stefano al fianco, partì a tutta velocità, facendo slittare le ruote e avviandosi verso la stradina che porta a Rossi. Rischiando di finire contro un terrapieno, impiegò in tutto 8 minuti. Un avvenimento davvero singolare, considerato che quella sera l’auto aveva percorso lo stesso tratto in una zona dove gravava un’imponente cappa nebbiosa, pioveva e la visibilità era 1/10 di quella normale. La successiva seduta di ipnosi regressiva venne ripresa dal canale televisivo genovese TVS. Per dimostrare che Z. era effettivamente caduto in ipnosi profonda, il dott. Moretti gli conficcò un ago nella mano destra e il metronotte non avvertì nessun dolore. In ipnosi Z. riferì dunque le parole che aveva pronunciato ai presunti interlocutori extraterrestri, e contrariamente a quanto aveva fatto al primo incontro, anche le parole che i suoi colleghi gli avevano rivolto 18 quando gli si erano avvicinati.
Quando la trasmissione andò in onda, non mancarono le polemiche. Si arrivò al punto che taluni “esperti”, confutando i risultati dell’ipnosi, proposero l’uso del Pentotal, il cosiddetto siero della verità. Z., affermando che non gli interessava la gloria, né tantomeno voleva esser preso per un pazzo, non esitò a sottoporsi a suo rischio e pericolo al farmaco, cercando così di dimostrare che si potesse credere alle sue affermazioni. La seduta si svolse a Milano presso lo studio del prof. Marco Marchesan, luminare della moderna scienza medica, in modo da analizzare la veridicità delle affermazioni circa gli incontri ravvicinati con esseri sconosciuti. Ciò che emerse dalla seduta confermò ancora una volta quanto era già emerso nelle precedenti ipnosi, ma con nuovi particolari. Secondo quelle dichiarazioni, quegli strani esseri abiterebbero su un pianeta chiamato “Titania, 4 volte più grande della Terra, che ha come punto di riferimento la terza galassia. Il loro popolo si chiama i Dargos e avrebbero la possibilità di spostarsi ad una velocità superiore a quella della luce. Il loro sarebbe un pianeta che sta per esplodere e quindi ora ne starebbero cercando un altro per venirci ad abitare. Vorrebbero quindi stabilirsi sulla Terra e costruire una loro città sotto una cupola di vetro, poiché essi soffrirebbero molto il freddo. Quando escono dall’astronave sarebbero coperti da una luce verde che dà loro calore. Si renderebbero visibili solo quando ci vogliono contattare. Generalmente non scenderebbero sulla Terra, ma starebbero sospesi in aria nelle loro astronavi che sarebbero numerosissime.
Starebbero infatti esplorando altri pianeti del sistema solare e studiando gli umani. Avrebbero capito che non siamo preparati per un incontro. Non vogliono che si giochi con le bombe atomiche in quanto ciò potrebbe compromettere il nostro e il loro sistema solare. Dissero che solo loro possono chiamare Z. con un suono, che lui sentirebbe nel cervello. E quando lo sente non può fare a meno di obbedire. Inoltre rivelarono di essersi già fatti fotografare da aerei, navicelle spaziali americane, russe e cinesi. Sostengono inoltre di aver provocato l’esplosione di un missile in partenza da Cape Canaveral. Inoltre ammisero di aver portato via uccelli imbalsamati dalla villa Casa Nostra di Marzano”.Da tutte queste cose si capisce che il condizionale è d’obbligo e che nessuna di queste informazioni possa essere verificata. Ad ogni modo l’ultimo particolare è molto rilevante, poiché qualche tempo prima nella villa “Casa Nostra” ignoti ladri avevano sfondato la porta d’ingresso rompendo il muro. A parte questa stranezza (“Sembrava che dalla porta fosse passato un carro armato”, dissero i Carabinieri), nonostante vi fossero molti oggetti di valore, tra cui un tv color, i ladri si impossessarono soltanto di 2 uccelli imbalsamati. Nessuno riuscì a spiegarsi il motivo di questo raro furto. Dopo quegli episodi, Z. fu assegnato nel levante cittadino, fornendogli la ditta una “Vespa” .Mentre si recava a controllare gli orologi di servizio di una villa, durante il percorso fu sollevato assieme alla Vespa da una soprastante astronave.
Quando dialogava, e si scontrava con gli extraterrestri, perdeva il contatto radio con i suoi colleghi, che lo cercavano in ogni dove. Soltanto dopo 2 ore la Vespa fu trovata sulla sommità del Monte Fasce a 20 km dal luogo di prelevamento, con gli stessi Km registrati. Z. correva sotto choc nel buio, 2 Km più in là, in direzione di Uscio. Il guardiano in servizio lungo via Apparizione (l’unica strada per raggiungere il monte) messo in allarme, dispostosi al centro della strada, testimoniò che Z. non passò mai da quel punto. La Vespa, che quella notte d’estate avrebbe dovuto ipoteticamente esser stata guidata per diversi Km lungo quella strada tutta in salita, fu ritrovata col motore freddo al tatto. Successivamente, in ipnosi, Z. raccontò di “essersi messo a correre nel corridoio dell’astronave sino ad arrivare ad una sala con tanti bottoni. Cercando una via di fuga, cominciò a schiacciarli, finché non si aprì uno sportello che lo fece cadere all’esterno”. A questo proposito c’è da rilevare che, come narrò lo stesso Z., “sapevo che mi aveva risucchiato qualcosa dallo sportello della Vespa”, infatti lì vi era contenuta anche una radio AF-FM portatile che dopo l’incontro non si trovò più. I suoi compagni non riuscivano a capacitarsi della violenza improvvisa che Z. scatenava quando veniva trovato. Egli stesso poi specificò che era frutto di una volontà esterna alla sua. Riferì che quegli esseri gli vorrebbero dare una prova della loro esistenza, ma per il momento noi terrestri non siamo ancora pronti, e che gli avrebbero consegnato un oggetto da consegnare all’astrofisico Joseph Allen Hynek. Quest’ultimo, che Z. non conosceva, era all’epoca il massimo esperto di Ufologia al mondo (fu il primo a catalogare in 6 classi i fenomeni Ufo e fece da supervisore al progetto“Blue Book”), ma morì di tumore nel 1986 e non vi fu il tempo per consegnargli l’oggetto. Nella notte tra il 2 ed il 3 dicembre 1979, Z. si trovava in corso Europa vicino Genova, fermo ad un self service per fare benzina alla “Mini”, (il giornalista Modestino Romagnolo testimonierà di averlo riconosciuto) quando improvvisamente una misteriosa nebbia lo avvolse insieme al veicolo, facendone perdere le tracce alla centrale operativa. Scattato il piano d’allarme e mobilitate per tutte le alture le varie radiomobili, la guardia giurata Andrea Pesce comunicò via radio di vedere un grosso disco luminoso nel cielo di Torriglia. Tutte le auto conversero dunque in zona e da lì, seguendo le indicazioni di Pesce, individuarono la macchina di Z. lasciata incustodita a circa 2 Km dal luogo ove era avvenuto il primo incontro (a svariate decine di Km da corso Europa).
Del metronotte però nessuna traccia. Proprio mentre 4 volanti, guardie giurate e alcune auto dei carabinieri si davano da fare per cercare di rintracciarlo ovunque, avveniva un fatto incredibile. Quattro metronotte, che viaggiavano su 2 auto, coinvolti nella spedizione di soccorso, mentre si trovavano sul Monte Fasce scorsero illuminarsi, da dentro una nuvola stagliatasi improvvisamente contro il cielo limpido di quella notte, 2 grossi fari che puntavano dritti su di loro. Cassiba, che si trovava su una delle auto, spaventato dal fenomeno, sparò alcuni colpi di pistola contro quelle luci nel cielo. Scaricata la sua arma, prese quella di un altro collega e continuò a sparare. Alla fine i 2 fari della nuvola si spensero. Una delle 4 guardie giurate rimase molto terrorizzata, e qualche tempo dopo si tolse la vita, sparandosi un colpo in testa mentre si trovava in camera da letto. Nemmeno la moglie seppe mai spiegarsene il motivo, e ancor oggi non si sa se quel gesto fosse imputabile a quell’episodio fra i monti. Z. venne ritrovato mezz’ora più tardi nei pressi del Passo della Colla, in stato di choc, a circa 500 metri dall’automobile, aggrappato ad un cespuglio vicino ad un precipizio. Con grande soddisfazione dei dirigenti dell’Istituto di Vigilanza, diversi testimoni oculari confermarono che quella sera avevano visto una gran luce muoversi nel cielo sopra le loro case e si erano chiusi in casa. Una donna disse che ormai erano fin troppo frequenti gli avvistamenti di “corpi luminosi” in quei cieli. Durante la successiva ipnosi (3/12/1979), egli dichiarò che gli esseri che lo avevano nuovamente rapito: erano appena tornati dalla Spagna dove, con il loro mezzo volante, avevano spaventato della gente in una strada. La mattina seguente, martedì 4 dicembre, il servizio internazionale dell’Ansa diramò a tutte le redazioni la notizia che a “Guadalayara (Spagna), a 50 km da Madrid, un veterinario spagnolo di nome Alfredo Sanchez Cuesta aveva dichiarato di esser stato seguito in piena notte da un oggetto volante non identificato, mentre si trovava, insieme alla famiglia, al volante della sua automobile che uscì poi di strada, a causa della forte luminosità emanata dall’Ufo”. Le parole di Z. sembravano incredibilmente assumere sempre più un contorno reale. Il dottor Moretti concluse l’ipnosi, dopo aver raccomandato a Z. di avvisare subito i superiori in caso di progressivo mal di testa, accompagnato da un sibilo sempre più intenso all’interno del suo cervello:
premonizione che Z. avvertiva prima di un incontro ravvicinato. A quel punto, per monitorare meglio Z., il direttore della “Val Bisagno” incaricò l’ing.Nino Tagliavia e il tecnico Giuliano Buonamici, all’insaputa del metronotte, di apportare alcuni accorgimenti tecnici nell’auto di servizio utilizzata da Z.. Qui venne nascosta una radio a batteria che emetteva un segnale in monofrequenza, che poteva esser captato solo da appositi ricevitori, in modo d’aver l’auto sempre sotto controllo. Fu poi sistemato un termometro a memoria che registrava la temperatura massima raggiunta. In più, considerato che asseriva che l’auto veniva letteralmente sollevata quando veniva attirato verso il disco volante, furono fissati tra la carrozzeria e gli assi dei mozzi-ruota dei cavetti d’acciaio a rottura prefissata. In questo modo, nel caso le ruote non fossero più posate a terra convergendo verso l’interno, avrebbero dovuto spezzarsi. Il 12/02/1980, nel pomeriggio, Z. avvertì il direttore Tutti del suo persistente mal di testa e di tenersi in allerta, perché qualcosa di lì a poco avrebbe potuto succedere. Infatti, verso la mezzanotte del 14/02/1980, perso il contatto radio, 3 radiomobili si misero alla ricerca dell’onda emanata dal segnalatore posto segretamente sull’auto del vigilante. Intrapresa pertanto la strada per Torriglia, trovarono di guardia Andrea Pesci che, con voce quasi piangente, disse loro: “E’ passato di qui, è passato di qui, non lasciatemi solo”.
Dopo qualche minuto, con l’onda che diveniva sempre più nitida, fu trovata su uno spiazzo la 127, senza Z. e con la porta aperta. La notte era freddissima e molto buia, e nella difficoltà di eseguire i soccorsi a causa del tratto insidioso, nel pericolo continuo di precipitare giù per una scarpata, infine lo videro. Disteso in bilico sulla scarpata, giaceva svenuto e ormai mezzo assiderato. Sorretto dai suoi colleghi e con la faccia stravolta, venne caricato di peso su un’auto. Alle 3 di notte si fecero i controlli sugli accorgimenti apportati alla 127. I fili d’acciaio collegati ai mozzi ruota erano tutti spezzati, e il termometro a memoria, nonostante il freddo intenso della notte precedente e la coibentazione dello strumento, segnava ben 43 gradi. In ipnosi, Z. sostenne di essersi messo alla guida dell’auto e d’aver cercato vanamente di rispondere alle radio chiamate, in quanto in balia di una volontà esterna. Inoltre, disse che la macchina procedeva per proprio conto e affermò di esser uscito dall’autostrada, nei pressi del cimitero di Staglieno e d’aver visto un essere vestito con giacca, pantaloni e cravatta, diverso dagli altri extraterrestri, con la testa calva a uovo e di statura normale, di cui non riusciva a scorgere nè le mani nè il volto; quest’essere salì dopo una galleria, e abbassò la testa quando vide Pesci.
Ricordò poi di averlo già incontrato quando aveva visto per la prima volta l’astronave a forma di sigaro e al distributore di benzina. Riferì che: “Loro sono già informati di tutte le persone che conosco, hanno un archivio fotografico, con nomi, date di nascita, e tutto quello che è accaduto nella loro vita. Vidi foto di 2 o 3 persone anziane molto temute in America, molte persone a me sconosciute e riconobbi tutti i suoi colleghi di lavoro o amici, ma c’era tanta gente che non avevo mai visto in vita mia”.Se tutto fosse vero, verrebbe da concludere che in quel periodo a Genova si fosse aggirato senza destare sospetti un agente di civiltà extraterrestri, che passava il suo tempo a ricavare informazioni d’ogni tipo che sarebbero potute servire ai misteriosi esseri. Riferì ciò che aveva già visto negli incontri nell’astronave, cioè che vide degli esseri chiusi in cilindri trasparenti immersi in un liquido celeste. Chiedendo loro spiegazioni, gli venne risposto che venivano conservati “un primitivo, un nemico di un altro pianeta e altri tipi di esseri”. Nelle successive sedute di ipnosi, il caso si fece sempre più particolare e inspiegabile, in quanto il soggetto sembrava non ubbidire più agli ordini dell’ipnotizzatore, come se rispondesse a una volontà esterna. Un caso simile, confermò Moretti, non era mai capitato. Intanto cominciava a farfugliare una lingua incomprensibile, a lui conosciuta, alterando in tali momenti il tono di voce, e non rispondendo più volte alle domande che gli venivano rivolte da Moretti. Il suo cervello, quasi fosse una rice-trasmittente, rispondeva come se dipendesse da una volontà altrui. Sembrava come se il suo corpo e la sua mente fossero in balia di un’altra volontà, e come sostiene chi lo ha assistito, “in preda a uno sbalorditivo ricevere ed eseguire di ordini impartiti”. Tale presunta persona “interposta” disse loro di “esser consapevole che volevano aiutare, ma di non insistere e di non rendere più difficili quegli incontri, ne va della sua incolumità”.
Durante una seduta questo “qualcuno” disse addirittura a uno dei presenti di non ridere e di prender sul serio le affermazioni di Z. In effetti il dottor Moretti si accorse che dietro di lui c’era uno dei testimoni alla seduta che accennava un sorriso (sedute di cui si conservano ancora i nastri). Il dottor Moretti, constatando che l’ipnosi non si rendeva più utile al fine della ricerca della verità, decise di sospendere formalmente le sedute. I colleghi ricordarono poi a Z. che negli ultimi giorni parlava ossessivamente di una sfera con la piramide interna, che gli extraterrestri dovevano dargli, e di esser arrivato al lavoro con le mani sporche di terra; disse poi di non poter rispondere, ma informò invece Moretti. Così, in un’ultima sconvolgente e imprevista ipnosi, Z. confermò d’aver ricevuto la sfera, che descrisse dettagliatamente, ma che non aveva idea di cosa potesse servire. Nel 1991 Z. e il giornalista Di Stefano vennero invitati al primo Congresso Mondiale di Ufologia che si tenne a Tucson, in Arizona, dal Colonnello Wendelle C. Stevens, ex ufficiale dei servizi segreti e ex pilota dell’Us Air Force, che aveva seguito con interesse le vicissitudini del metronotte. In quell’occasione vennero avvicinati da 2 persone che dissero di essere gli eredi di Hinek: Tina P.Choate e Brian P. Myers. La coppia era convinta che nel mondo si erano già verificati 2 casi simili a quello di Z. , con la consegna ai “rapiti”di sfere identiche alla sua. Entrambi erano disposti, finanziati da un facoltoso imprenditore – che gli aveva già permesso nel frattempo di comprare un archivio civile di oltre 15000 casi di segnalazioni di Ufo – a comprarla a qualunque prezzo. A questo proposito, offrirono un ricco vitalizio a Z. e un contratto a Di Stefano per gestire i diritti d’autore di un film che avrebbe dovuto essere ricavato dal suo libro di quest’ultimo. Ma non cedendo a tentazioni e refrattario a ogni iniziativa che tentava di abusare e a lucrare sulla sua storia, Z. rinunciò risoluto. Nel frattempo la magistratura aveva archiviato il caso con la formula di mancanza di estremi di reato, anche se rimaneva in quei cieli la violazione dello spazio aereo di uno stato sovrano. A parte la sporadica apparizione del 6/6/1983 di un Ufo a forma di sigaro luminoso, che solcò i cieli di mezza Italia e della Francia meridionale, facendosi notare da migliaia di persone – tanto da esser avvistato a vista dagli operatori della torre di controllo di Marsiglia, contribuendo a consolidare il principio che quel periodo fu certamente una di maggior avvistamento al mondo di Ufo – la cronaca nazionale non ha registrato nessun’altra segnalazione ufologica di rilievo, a parte qualche eccezione.
Qualche eccezione c’è stata, come quella del camionista Umberto Giomboloni che in prossimità di un tornante, nell’entroterra genovese, disse d’aver perso l’orientamento, d’aver lo sterzo bloccato e d’aver visto una luce intensissima che avvolgeva tutto il camion, bruciandosi la mano con 7 fiammelle comparse sulla parte interna della portiera nel posto di guida. Disse poi di trovarsi in stato di shock a 15 Km da dov’era e nell’opposto senso di marcia”. A Montoggio, invece, pochi minuti dopo la mezzanotte, Giovanni Gardella, uscito di casa per sedare il latrare furioso del cane – temendo la presenza di un ladro – imbracciò il fucile e scorse nel buio uno scimmione di circa 3 metri che , afferrato il cane, lo sollevò per aria scaraventandolo lontano. Preso da un indicibile terrore, buttò via l’arma e si rifugiò in casa sprangando l’uscio di casa. Persino il curato di S.Onorato e il sindaco di Torriglia, che d’altronde fu tra i testimoni del primo incontro, vollero chiedere alle autorità, visti altri avvistamenti che ebbero di persona, se si facessero strani esperimenti militari in quella zona, ma ebbero risposta negativa. In seguito il brig.Nucchi dichiarò solo nel 2007, per ovvie questioni deontologiche, al programma Il Bivio d’aver assistito anche lui, con la macchina bloccata, all’avvistamento di un grosso disco volante luminoso insieme ad altre 3 persone, e d’aver raccolto in tutto quasi 500 testimonianze. Z. oggi asserisce di aver avuto 11 incontri totali, e d’esser stato trattato bene negli ultimi incontri; afferma inoltre di recarsi tutt’oggi, a 30 anni di distanza, ad aprire per 2 volte al mese la sfera nascosta in quei monti, e di poterci andare solo lui. Tanto per citare qualche evento dopo che si erano esauriti gli“incontri”del metronotte, nel 1988 sul Monte Prela, nei pressi di Torriglia, per diversi mesi decine di persone hanno visto volteggiare un Ufo luminoso a qualunque ora del giorno e della notte, sino a quando, il 18/9/1988, qualcuno ha denunciato il fatto.
A questo seguirono moltissime testimonianze di gente che veniva inseguita o spaventata da questo oggetto, che cambiava forma e luminosità, e che compiva manovre molto particolari. Man mano che la notizia dell’Ufo di Monte Prela si radicava a Torriglia e dintorni, diminuiva la paura del ridicolo che da sempre contraddistingue gli eventuali testimoni di fenomeni Ufo, e con l’arrivo dei primi rigidi mesi invernali le segnalazioni cessarono. Anche se, come si evince dalla casistica stilata dal C.U.N ligure, che riporta segnalazioni dall’anno 1604 (http://web. tiscalinet.it/lareteufo/genova.htm), non c’è la sensazione che tali episodi siano finiti definitivamente. Z. nel fisico e nella psiche porta i segni indelebili delle sue misteriose avventure, come testimoniano dottori, amici, familiari e psicologi; anche se quella serietà, quell’autocontrollo e la lucidità di mente gli sono rimaste. Sottoposto per oltre 10 anni a esami di laboratorio, radiologici, specialistici e a perizie psichiatriche, risultò sano di mente, astemio e di non aver fatto uso di nessun tipo di droghe. Una tac ha segnalato la presenza di un piccolo oggetto estraneo impiantato nel suo cervello, introdotto senza incisioni, che prima degli incontri non aveva. Inoltre, durante gli incontri, gli capitava di orinare un liquido nerastro. Del resto anche altri testimoni dissero che anche a loro capitava la stessa cosa. A causa di tutta questa storia, Z. ha perso famiglia, lavoro, diversi amici e ha avuto un infarto. E forse, solo per questo merita rispetto. Il Caso Zanfretta, aldilà di ogni giudizio personale, è un incredibile fatto di cronaca. Non dimentichiamo che non sarebbe mai nato se non fosse stato un metronotte, e non avesse avuto un contatto radio con un centro operativo. Ci troviamo di fronte a un caso dove la realtà oggettiva si cela dietro a un paravento di indizi, circostanze e coincidenze, che in alcuni casi superano l’umana immaginazione. Solo analizzando questi dati senza pregiudizi si può sperare di eliminare quel paravento e d’affacciarsi alla verità. Forse è meglio che ognuno si risponda da solo.
di Giulio Cristante
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La prova scientifica dell’esistenza del campo energetico umano


valerie hunt

Esiste una prova scientifica del campo energetico umano. La professoressa Valerie Hunt dell’Università della California Los Angeles, è una fisiopatologia e insegnante di cinesiologia. Ha condotto, più o meno dagli anni settanta, una serie di esperimenti con un elettromiografo.
L’elettromiografo è un apparecchio che misura l’attività elettrica dei muscoli.
Utilizzando il suo strumento con una danzatrice, mentre ballava, e con dei guaritori (misurò le variazioni dell’attività elettrica dei muscoli dei loro pazienti durante i trattamenti) dottoressa Hunt notò che registrava un’attività elettrica insolita.
I campi elettrici conosciuti, onde cerebrali, frequenze emesse dai muscoli e dal cuore non superano i 250 cicli al secondo.
La Hunt scoprì, accanto alle frequenze legate all’attività elettrica dei muscoli, un altro campo energetico la cui frequenza andava, in media, da 100 a 1600 cicli al secondo e oltre.
Tale campo aveva una minore ampiezza dei campi energetici umani ed era più sottile.
Particolarmente eccitante fu la costatazione che l’intensità cresceva in corrispondenza dei chakra principali.
Ampliò le sue ricerche a persone in grado di vedere il campo energetico umano, con risultati sorprendenti.
Nel corso della lettura dell’aura, il colore che i sensitivi indicavano, corrispondeva a una precisa frequenza registrata dall’apparecchio.
Era possibile fare lo stesso, visualizzando l’onda di frequenza su di un oscilloscopio (strumento che trasforma le onde elettriche in una configurazione visibile su uno schermo).
Notò, inoltre, che la frequenza dell’aura, variava secondo certe regolarità.
Una frequenza intorno ai 250 cicli al secondo, simile a quella del corpo fisico, caratterizzava persone i cui principali interessi erano rivolti al mondo materiale.
400 – 800 cicli al secondo era la frequenza di sensitivi e guaritori.
Coloro che possono entrare in trance e sembrano costituire il canale di fonti d’informazioni “altre”, si trovavano in una ristretta banda di oscillazione, compresa tra gli 800 e i 900 cicli al secondo.
Al di sopra dei 900 cicli al secondo, era la banda di quelle che la Hunt chiama personalità mistiche.
La differenza tra queste personalità e i sensitivi e i medium sarebbe che, mentre questi ultimi sono una sorta di veicoli passivi dell’informazione, i primi sanno come valersene. Le personalità mistiche, pur restando in contatto con la realtà ordinaria, hanno spesso doti di sensitivi e riescono ad andare in trance.
Gli elettromiografi registrano al massimo frequenze di 20.000 cicli al secondo. Utilizzando un apparecchio modificato, la Hunt riscontrò che vi sono individui la cui frequenza supera i 200.000 cicli al secondo.
Queste misurazioni confermano l’antica convinzione che, a un maggiore grado di evoluzione spirituale, corrisponde una frequenza più elevata dell’aura.
Le ricerche della Hunt costituiscono un’ulteriore conferma del paradigma olografico, ma questo va oltre l’informazione di base che mi prefiggevo di fornire in questo scritto.
(Ho tratto queste informazioni da M. Talbot, Tutto è uno: l’ipotesi della scienza olografica, Cesena: Macro © 1997)
Per CoseNasocste, Seroquel 54


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Il ritorno dei morti viventi

Come e quanto gli zombie influenzano la cultura moderna, dal cinema all'economia fino alla geopolitica


La formula degli zombie è (bN)(S/N)Z = bSZ.  Secondo Robert J. Smith, docente all’Università di Ottawa che ha già elaborato di modelli matematici sulla diffusione di Aids, malaria e morbo del Nilo Occidentale, questa equazione rappresenterebbe la capacità di espansione di un eventuale virus, applicabile anche a una pandemia di zombie. N è la popolazione totale del pianeta, S i suscettibili di zombificazione, Z gli zombie, b la possibilità di trasmissione. La trasmissibilità nella popolazione per il rapporto tra suscettibili di zombificazione e popolazione per il numero degli zombie dà la proporzione di zombificabili e zombie. 
Insomma, arrivano gli zombie. Dopo anni in cui cinema e librerie sono stati invasi da orde di vampiri innamorati, adesso è il turno dei morti viventi.  Lo scrive anche il Wall Street Journal di oggi con un’intervista al professor Kyle Bishop, che spiega perché gli zombie hanno invaso non solo la cultura pop ma anche l’ambiente universitario.

Per esempio ci sono i morti viventi contro cui combatte Brad Pitt in “World War Z”, in questi giorni in programmazione su Sky Cinema, che secondo i critici ha il merito di aver rinnovato il genere [leggi la recensione di Mariarosa Mancuso].  Il film, girato nel 2013 dal regista Marc Forster, è tratto dal romanzo “World War Z. La guerra mondiale degli zombi”  di Max Brooks, dove gli zombie sono il pretesto per una puntuale e affascinante analisi geopolitica globale. E poi c’è  “The Walking dead”, serie tv di successo in programmazione sul canale Fox di Sky e basata sui fumetti di Robert Kirkman, che racconta la sopravvivenza in un mondo post apocalittico dove i nemici sono non solo i morti viventi, ma anche gli uomini.

Ma come fanno gli zombie a essere davvero pericolosi con quei movimenti legnosi e lenti?, era la domanda di alcune famose parodie del genere. Dall’italiano “Io zombo, tu zombi, lei zomba”, all’inglese “L’alba dei morti dementi”. Impossibile: e infatti il primo si rivelava essere un demenziale incubo del becchino Renzo Montagnani, mentre il secondo si concludeva con l’irresistibile apoteosi buonista degli zombie diversamente abili da applaudire alle paraolimpiadi. Quelli con cui ha a che fare Brad Pitt in “World War Z”, però, sono zombie che corrono e per di più capaci di coordinarsi tramite un’intelligenza collettiva, secondo quella “teoria dello sciame” che spiega i movimenti degli stormi di uccelli, pesci o insetti. Ma non c’è solo “World War Z”. Almeno otto film di zombie sono usciti nel 2013, ben 25 nel 2012, 31 nel 2011, 45 nel 2010: dal cubano “Juan de los muertos” al cinese “Z-108”  fino al giapponese “Hell Driver”, passando per ben due pellicole della serie di “Resident Evil”, l’italiano “Eaters”, l’inglese “Cockneys versus Zombies”, il film su Dylan Dog e un anche un film di George Romero, il cui “La notte dei morti viventi” lanciò il genere. Chiaramente gli zombie si erano visti anche prima dell’idea di Romero, al cinema e perfino in un fumetto del “Peperone” di Carl Barks, ma lì erano un prodotto di certi rituali magici caraibici o africani, non un’epidemia in grado di travolgere l’umanità intera. “Gli zombie sono le nostre paure”, ha spiegato una volta in un’intervista Brad Pitt. “Avevo voglia di far divertire i miei bambini con un personaggio di eroe che cerca di salvare il mondo. Gli zombi sono una metafora di alcune paure contemporanee, come l’incubo del contagio collettivo, e della disumanizzazione dei rapporti”.

E qui c’è una prima differenza con i vampiri, che mettono paura, ma tutto sommato sono invidiati: capirai, rimangono giovani e belli per l’eternità, non è colpa loro se sono costretti a uccidere altri uomini per sopravvivere, e poi non sono costretti tutti i viventi a uccidere per mangiare? Tutto sommato, basta immaginare un vampiro che succhia il sangue a un animale piuttosto che a un nostro simile, ed ecco qui la fortuna di Stephanie Meyer e della saga di “Twilight”. Anche con gli zombie si può, in teoria, tentare un esperimento del genere. E proprio gli stessi produttori di “Twilight” si sono inventati “Warm Bodies”, con R che si innamora della ragazza del cui fidanzato ha mangiato il cervello. Ma lo zombie che rimane bello o che mangia carne animale in realtà cessa di essere zombie, e piuttosto che al diabete sentimentale l’evoluzione si presta alla farsa: appunto, gli zombie che scoprono di poter sopravvivere anche a fettuccine in “Io zombo, tu zombi, lei zomba”.  E poi c’è un’altra differenza fondamentale tra i vampiri e gli zombie. Entrambi i mostri sono metafore, ma il vampiro lo è di tipo esistenziale, la voglia di sopravvivere per sempre, il timore di ciò che bisognerebbe affrontare per riuscirci. Lo zombie, invece, è una metafora politica. Fin da quando a Haiti gli schiavi fecero la rivoluzione contro i francesi, e negli Stati Uniti del Sud l’incubo che i neri si ribellassero divenne il terrore della religione sincretica vudu, che aveva fatto da ideologia alla rivolta. Cosa sono quei  morti che danno la caccia ai vivi, se non l’incubo del padrone che vede gli schiavi all’improvviso trasformarsi da mansuete bestie da soma in pericolose belve assediate di sangue?

In realtà, gli zombie esistono davvero. E fu il racconto del modo in cui era stata dimostrata la loro esistenza, il libro “Il Serpente e l’Arcobaleno” del 1985 dell’antropologo e etnobotanico canadese Wade Davis, a fornire la trama per l’omonimo film del 1988 di Wes Crafen, il regista di “Le colline hanno gli occhi” e di “Nightmare”. “Nelle leggende del vudu il Serpente è un simbolo della Terra”, spiega la didascalia di apertura del film, “l’Arcobaleno è un simbolo del Cielo. Tra i due, tutte le creature devono vivere e morire. Ma poiché ha un’anima, l’uomo può rimanere intrappolato in un luogo terribile dove la morte è solo il principio”. “Quel che segue è ispirato a una storia vera”, aggiunge la didascalia successiva. Vera, anche se  piuttosto romanzata. Vera perché Wade Davis era andato sul serio a indagare sui morti viventi di Haiti. E lì aveva scoperto che non si trattava di morti viventi, ma di vivi ridotti a uno stato di catalessi ipnotica da una pozione imperniata sul veleno allucinogeno del pesce palla, annullabile solo con l’assunzione di sale. “La polvere Zombie e il suo ingrediente attivo, la tetradossina, sono attualmente oggetto di studi negli stati Uniti e in Europa”, era la scritta finale sui titoli di coda del film. “Fino a oggi, la dinamica con cui la polvere agisce rimane un mistero”.  Gli stregoni vudu usavano il ritrovato per spargere il terrore, fare vendette e procurare infaticabili schiavi a buon mercato. Davis invece aveva pensato di trasformare il tutto in un nuovo, più efficace anestetico. Alcuni scienziati hanno accusato l’etnobiologo di aver esagerato nel valutare il potenziale della tetradossina, mentre conoscitori della cultura haitiana hanno detto che l’antropologo, non conoscendo la lingua creola, si era fatto prendere in giro dai suoi informatori. Però nella legge penale haitiana c’è davvero un articolo che prevede espressamente il reato dell’“impiego contro una persona di sostanze che, senza causare vera morte, producano coma letargico”, e lo equipara a un tentato omicidio. L’anno dopo l’uscita del libro di Wade Davis, nel 1986, c’era stata la rivolta che aveva costretto alla fuga il dittatore Jean-Claude Duvalier, figlio di François Duvalier, che proprio riutilizzando le ricerche antropologiche compiute da medico rurale aveva trasformato i miti vudu in strumenti del suo regime di terrore. E fu così che il regista Craven ebbe l’idea di buttare tutto sulla politica, ambientando la ricerca nel periodo dell’insurrezione haitiana, e dipingendo il cattivone ispirato a Luckner Cambronne, un ministro di Duvalier che era stato anche vicecomandante della truce milizia dei Tontom Macoutes, e che all’inizio degli anni Settanta era stato coinvolto in uno scandalo per aver trafficato con del sangue infetto. La morale? I veri mostri non sono gli zombie, ma i dittatori. Anzi, in una dittatura è il destino di tutti i sudditi di essere trasformati in zombie.

Alla fine i morti viventi di “Il Serpente e l’Arcobaleno” si ribellano, e il vudu prima di trasformarsi in strumento di oppressione del regime duvalierista era stato strumento di ribellione e resistenza degli schiavi. E’ un’ambivalenza in fondo tipica di tutte le ideologie e della politica in genere, che infatti la scuderia fumettistica della Bonelli aveva sondato nelle sue opposte polarità all’inizio degli anni Settanta, quando era ancora viva l’impressione per il primo film di Romero. Del gennaio 1971 è “La legione dei dannati”, la storia del Piccolo Ranger dove, dopo la Guerra di secessione, una padrona mantiene gli schiavi sotto il suo controllo trasformandoli in zombie. Al contrario in “Zombie!”, storia di Zagor del 1973, i morti viventi sono un estremo strumento di resistenza che i credenti nel vudu mettono in campo per sventare il folle progetto genocida di un fanatico razzista.  Ma zombie può anche essere un mero insulto. “Zombie con i baffi”, disse per esempio Francesco Cossiga nel 1992 di Achille Occhetto. Occhetto ci aveva riso sopra, e che comunque il presidente – una vola sbollita l’ira – lo aveva chiamato per scusarsi: “Guarda Achille, mia figlia mi ha rimproverato per averti definito uno zombie coi baffi. Perché ‘vedi papà se dicessero qualcosa di simile a te io ci resterei molto male ed anche Occhetto ha dei figli che potrebbero esser rimasti molto male per come hai chiamato il loro padre’". Finì in un cartone animato, dove Cossiga col suo picconcino colpiva tra gli altri anche un Occhetto dall’aspetto zombico, sull’aria di un brano house costruito mettendo in musica le sue esternazioni. Ganzer, il disegnatore satirico diventato famoso con la Primavera egiziana, disegnò l'Egitto intrappola (“preso tra uno zombie e un vampiro. Uno ti mangerà il cervello. L’altro ti succhierà il sangue”) rappresendolo come un’avvenente ragazza seminuda adornata con gioielli di epoca faraonica, tra il vampiro-esercito e lo zombie-Mohamed Morsi. E gli zombie fanno paura in Russia, dove un flashmob “parata degli zombie” che era in agenda a Jaroslav ad agosto scorso è stato vietato perché la parata avrebbe potuto violare "le leggi sulla tutela dei bambini a proposito di informazioni che non sono adatte a loro". La legge anti-gay, per intenderci.

Come si ammazza uno zombie? La vulgata qui è duplice: dargli il sale secondo il sistema filologico haitiano, o sparargli in testa, alla Romero. Anche lui  nella “Notte dei morti viventi" (film non a caso sessantottino), alludeva a tematiche politiche: i cadaveri riprendevano vita e si trasformavano in mostri cannibali per via di una contaminazione spaziale da parte di un’astronave ritornata da Venere. L’unico nero sopravvissuto all’assedio veniva scambiato per zombie e ucciso da una squadra di vigilantes. Lì però la metafora dominante era quella sul razzismo e il maccartismo. Lo zombie ecologico, prodotto del disastro ambientale, sarebbe dilagato in seguito. Inizia con “Virus - L'inferno dei morti viventi”, film italiano del 1980 che parte da un’installazione segreta in Nuova Guinea dove si svolgono esperimenti chimici e dove, a causa di un topo morto e poi resuscitato con istinti antropofagi, si sprigiona un vapore verdognolo che trasforma tutto il personale in servizio in morti viventi. Poi c’è la saga di “Resident Evil”, videogioco ispirato ai film e poi ridiventato film a sua volta, dove Milla Jovovich è un incrocio tra Rambo e Alice nel Paese delle Meraviglie che invece è finita in un Paese di Orrori per colpa degli esperimenti sconsiderati della perfida multinazionale Umbrella Corporation.  

Nel giugno del 2011 l’amministrazione laburista di Leicester, città delle East Midlands che con quasi 300.000 abitanti è il decimo centro urbano dell’Inghilterra e il tredicesimo del Regno Unito, in base alle disposizioni sulla trasparenza e la libertà di informazione si vide mandare questa lettera: “Caro consiglio della Città di Leicester, potreste farci sapere quali precauzioni avete predisposto per affrontare una eventuale invasione di zombie? Avendo visto vari film è chiaro che la preparazione per un tale evento è scarsa e coloro che sono stati eletti consiglieri del Regno dovrebbero prepararvisi. Per favore dateci informazioni se ne avete. Vostri sinceramente, un gruppo di cittadini preoccupati”. Il responsabile informazione del Consiglio, Lynn Wyeth, rispose con flemma britannica: “A qualcuno potrà sembrare frivolo e una perdita di tempo, ma per altri può effettivamente essere importante. Ognuno ha i propri interessi e le proprie motivazioni per sollevare questo genere di domande”. Però riconobbe che l’eventualità di una tale emergenza non era mai stata presa in considerazione dai consiglieri. Il 26enne James Dixon rispose dunque convocando via Facebook un’invasione di simil-zombie: 200 persone truccate da morti viventi e si aggirarono barcollando per le vie del centro – puntando più alla birra che alle carni umane. D’altronde un mese prima negli Stati Uniti era stato il Centers for Disease Control and Prevention, entità federale per la prevenzione delle catastrofi con sede ad Atlanta, a inserire sul loro sito web un completo prontuario su come comportarsi nel caso di un’“Apocalisse di Zombie”. “Cosa dovete fare prima che gli zombie vengano davvero? Prima di tutto, dovreste tenervi in casa un kit di emergenza. Questo dovrebbe includere cose come acqua, cibo e altri generi di prima necessità da tenere con voi per il paio di giorni che vi ci vorranno per individuare il primo campo libero da zombie”. Era in arrivo la stagione degli uragani, e i Centri avevano pensato di poter ravvivare l’attenzione dei cittadini sui possibili disastri naturali con una simpatica provocazione. La postilla era infatti: “Ricordate che quel che serve per fronteggiare un’Apocalisse di Zombie serve in linea di principio per ogni altro tipo di emergenza”. “Ci sono molti tipi di emergenza lì fuori cui ci possiamo preparare. Prendano l’Apocalisse Zombie come un esempio. Magari oggi ci riderete sopra, ma se avverrà davvero saranno felici di aver letto questo messaggio, e forse potranno anche apprendere una o due cose su come prepararsi per una emergenza reale”. Dai 1.000 ai 3.000 contatti abituali il blog è arrivato a 60.000, attirando l’attenzione di Twitter. E lanciando peraltro un genere letterario: anche Max Brooks, dopo “World War Z”, scrisse come seguito il fortunatissimo “The Zombie Survival Guide”. Tradotto anche in italiano come “Manuale per sopravvivere agli zombi”, si articola su sette capitoli: i non-morti realtà; armi e tecniche di combattimento; in difesa; in fuga; all'attacco; vivere nel mondo dei non-morti;  attacchi documentati. Consiglia di usare sempre armi da taglio, perché quelle da fuoco attirano altri zombi.

“Juan de los muertos” è il protagonista dell’irresistibile film indipendente cubano del 2010, che è stato addirittura letto come un segnale del dopo-Castro. “Cinquanta anni dopo la rivoluzione cubana una nuova rivoluzione sta per iniziare e solo un uomo può fermarla”, è l’incipit. Quarantenne senza arte né parte in un regime dove comunque avere arte o parte servirebbe solo a rodersi il fegato di più, Juan passa le sue giornate senza fare assolutamente  nulla. Tutto però cambia, quando incominciano ad apparire sull'isola degli zombie. Mentre i media di regime danno la colpa a dissidenti sovvenzionati dagli Stati Uniti, Juan prima trova il modo di far fuori i morti viventi. Poi decide di sfruttare la situazione, offrendo i suoi servizi a prezzi ragionevoli. Ma la situazione precipita, e a Juan non resterà altro che prendersi le sue responsabilità e indossare i panni dell'eroe per liberare Cuba. Come spiega il regista Alejandro Brugues, esattamente il modo in cui a Cuba si affrontano i problemi. “Prima cerchiamo di ignorarli; poi proviamo a fare soldi sfruttando il problema; e infine ci buttiamo in mare e cerchiamo di scappare dal paese. E’ proprio quello fanno i nostri eroi nel film”. Juan infatti prima crea una nuova società con lo slogan:  “Juan de los Muertos: ammazziamo i vostri cari”. Per una piccola tariffa, Juan e il suo partner eliminano parenti e amici  morti viventi, quelli che i parenti non hanno il coraggio di uccidere. Poi, quando gli zombie invadono l'intera capitale, Juan deve decidere se scappare a Miami e trasforma la sua macchina in una zattera: episodio che ricorda quanto realmente accaduto nel 2004, quando un gruppo di cubani raggiunse le coste della Florida su una vecchia Buick 1959 galleggiante. Nel frattempo, i media nazionali accusano gli americani di sostenere i dissidenti-zombie con l'obiettivo di destabilizzare Cuba.

C’è anche chi sostiene che, sia pure metaforicamente, gli zombie ci governino. Si intitola “Zombie Economics: How Dead Ideas Still Walk among Us” il libro che nel 2012 è valso all’economista John Quiggin la Gold Medal Book Award in Economics. Pubblicato in italiano da Egea col titolo “Zombie Economics, Le idee fantasma da cui liberarsi”, è un pamphlet che spiega come sia le idee liberiste che hanno dominato per decenni prima di essere screditate dalla crisi, sia le precedenti ortodossie keynesiane, siano “morti che camminano”. “Nella tomba dell’ideologia economica, idee morte ancora si aggirano per la terra”. Ma attorno agli zombie si può provare a verificare o falsificare l’efficacia della politica. E’ la provocazione di “Theories of International Politics and Zombies”, un libro uscito nel 2011 per la Princeton University Press e opera di Daniel W. Drezner, docente di politica internazionale alla Fletcher School of Law and Diplomacy della Tufts University ed editorialista di The National Interest e di Foreign Policy. Per spiegare le varie teorie sulla politica internazionale, immagina in un mondo invaso dagli zombie quali sarebbero le probabili risposte dei governi nazionali, dell’Onu, delle altre organizzazioni internazionali. Un ventaglio di ipotesi raggruppabile in sette approcci teorici: dalla realpolitik al liberalismo, e dal neo conservatorismo alla risposta burocratica. Con la conclusione che probabilmente sia la lotta delle ong per la difesa dei morti viventi che l’approccio militare dei neocons lascerebbero gli zombie “egualmente indifferenti”.

http://www.ilfoglio.it/articoli/v/91504/rubriche/il-ritorno-dei-morti-viventi.htm

Gli Zombie e Gli Orrori Della Contemporaneità

Scritto da Marco Vagnozzi

Non vi è creatura del cinema horror e dell’immaginario fantascientifico che abbia affascinato intere generazioni come lo zombie, il morto vivente.
Più dei loro illustri colleghi vampiri, gli zombie hanno attraversato gli ultimi trent’anni di cinema da autentici protagonisti, evolvendosi nelle fattezze anche grazie ai prodigiosi progressi degli effetti speciali. Se ai non morti dai lunghi denti, i vampiri appunto, la letteratura e lo spettacolo hanno riservato un posto di tutto rispetto, ora come celebrazione delle loro nobili origini (Dracula nelle sue differenti trasposizioni e riedizioni), ora come mito da teenager (la fortunata saga di Twilight), per gli zombie il percorso è stato ancora più complesso, tra i cult-movie di George Romero e gli innumerevoli tentativi di emulazione, non sempre riusciti. Nelle ultime stagionii abbiamo perfino assistito al tentativo di applicare alla figura dello zombie la riflessione accademica, sia da parte di chi individua nel morto vivente il prototipo dell’uomo privo di coscienza, assai utile come paradigma per la filosofia analitica contemporanea (si veda in tal senso la Philosophy of Mind di David J. Chalmers[1]), sia da parte di chi cerca di pervenire ad una vera e propria “filosofia zombie” (come nell’ambizioso lavoro dello spagnolo Jorge Fernandez Gonzalo[2]).
Se ai più critici tali approcci possono apparire come la sofisticata indagine di qualche intellettuale interessato a cogliere, in maniera anche un po’ forzosa, i messaggi ed i significati più reconditi di quello che per molti non è altro che un fenomeno di massa, di 
entertainment, nondimeno va ricordato che la lettura in senso sociologico della figura dello zombie è autorizzata ed esplicitamente incoraggiata da un vero guru del genere come lo stesso Romero..
Sin dai tempi dell’uscita nelle sale cinematografiche de 
La notte dei morti viventi, nel lontano e movimentato 1968, la critica intuì che dietro allo spettacolo e alla suspence di un comune horror si celava qualcosa di più profondo: un preciso messaggio sociale e politico. Nell’intera trilogia di Romero (poi divenuta tetralogia con la realizzazione, nel 2005, dell’avvincente quanto significativo Land of the Dead), che comprende il già ricordato film del ’68, oltre a Zombie del 1978 e Il giorno degli zombie del 1985, vi sono riferimenti tutt’altro che velati alle tante inquietudini e contraddizioni sociali esistenti. La minaccia dei morti viventi riflette così il clima di una società americana dominata dalla paura e dalla costante necessità di una difesa, ora contro il “nemico rosso” d’Oriente (la rivale Unione Sovietica con il suo elevato potenziale militare, oppure la guerriglia vietnamita), ora contro l’incubo terrorista, meno visibile ma proprio per questo ancora più spaventoso. L’umanità, asserragliata di volta in volta nelle case, per paura di una dilagante criminalità cittadina, o in qualche fortezza o bunker per la minaccia di una pioggia radioattiva o di una guerra nucleare, è l’immagine che si nasconde dietro ai protagonisti (quelli vivi e vegeti) dei film di Romero. Della stessa umanità fanno parte gli strenui difensori dell’ordine e della sicurezza, allegoria perfetta di un apparato militare messo in piedi per proteggere il cittadino comune, ma non di rado incline all’uso eccessivo della forza e delle armi. Lo spettatore attento ricorderà, del resto, che uno dei protagonisti de La notte dei morti viventi, il nero Ben, grazie alla sua astuzia riesce quasi miracolosamente a sopravvivere all’orda di zombie che finisce per mangiare tutti gli altri umani presenti nell’abitazione, salvo poi essere eliminato dalla polizia, addestrata a sparare a tutto ciò che si muove senza preoccuparsi se si tratti di vivi o di morti viventi. Qui il messaggio di Romero diventa radicale, e riporta alla mente le tante derive autoritarie di un’America che nel 1968 conosce l’assassinio di Martin Luther King e negli anni successivi la repressione dei movimenti antagonisti delle Black Panthers; tuttavia c’è di più: come non vedere nella minaccia zombie anche la rappresentazione dell’incubo del Vietnam, di una guerra in cui si perde ogni certezza e ogni punto di riferimento ed il nemico, sottovalutato, cresce nella propria forza e nel proprio numero? Ecco allora emergere l’insicurezza dello statunitense medio di quegli anni, preda della paura di un’imminente catastrofe planetaria, nell’eterna lotta tra le due superpotenze nucleari..
Nella saga romeriana il secondo capitolo, impropriamente tradotto in italiano col titolo 
Zombi, si chiama in realtà Dawn of the Dead, cioè “l’alba dei morti”, mentre il terzo film prende il nome de Il giorno degli zombie. La sensazione che vuole trasmettere il regista è quella di una minaccia crescente, di un aumento a macchia d’olio dell’epidemia che risveglia i morti e quindi di un’umanità sempre più chiusa a riccio, sempre più fatalmente ripiegata sulla difensiva. Il virus si diffonde, gli zombie sono ovunque, attaccano i tranquilli cittadini che vanno a fare acquisti al centro commerciale, simbolo tutt’altro che trascurabile dell’economia capitalistica occidentale. Nel quarto capitolo della saga, La terra dei morti viventi, sono loro a dominare il pianeta, l’incubo è completo e per vivere tranquilli gli uomini devono chiudersi in una vasta fortezza protetta da forze speciali, sorvegliata ventiquattr’ore su ventiquattro, cintata da alte mura e ragnatele di fili spinati elettrificati. L’ansia e l’insicurezza serpeggiano ovunque e quel che rimane di un ipotetico “governo mondiale” non ha altri strumenti che creare un’enclave più o meno felice dove gli esseri umani possano continuare a vivere relativamente indisturbati, a portare avanti la propria routine quotidiana, a consumare i loro prodotti. Qui, il messaggio politico e sociale di Romero si evolve nella rappresentazione nuda e cruda di un Occidente che ha gradualmente perso il proprio potere e la propria egemonia e che vive dunque nelle sue immense contraddizioni, le stesse che conducono gli Stati Uniti a portare avanti la propria instancabile “guerra al terrore”, mentre la loro popolazione conosce una crisi economica e sociale senza precedenti (a dire il vero il film esce alcuni anni prima dello scoppio della crisi in cui tuttora ci troviamo, eppure in questo senso George Romero è autore di un’analisi se non proprio profetica, quanto meno estremamente lucida). Land of the Dead, per questo, rappresenta secondo molti l’America di Bush, quella che intraprende la guerra in Iraq e che limita fortemente le libertà dei propri cittadini con il Patriot Act, nel nome della minaccia terroristica..
Meno chiaro è invece, in tutto questo, il ruolo dello zombie, che a tratti sembra incarnare la resistenza irachena, a cui le forze militari rispondono con una ferocia ancora più brutale degli stessi mostri, fintanto da indurre lo spettatore a simpatizzare, per quasi tutta la pellicola, per quei morti sempre meno stupidi, lenti e prevedibili, contro uomini per lo più ottusi. Se tali riferimenti sembrano quasi ovvi (così come il ricco governatore Kaufman non si discosta molto, nelle battute e nelle scelte, da George Bush), non va però trascurata una seconda possibile interpretazione allegorica degli zombie. La pellicola del 2005 di Romero, a differenza di molti altri film di genere divenuti 
action movie sparatutto, od horror di serie B, con un’insistenza morbosa sui particolari splatter (si pensi alla riedizione del 2004 de L’alba dei morti viventi, ben più scadente dell’originale romeriano), diviene qui un horror autenticamente politico. Lo zombie può stare infatti a rappresentare l’azione collettiva rivoluzionaria delle classi subalterne, la rivincita dei diseredati e dei dannati della terra descritti da F. Fanon[3], quando non addirittura la presa di coscienza di un “soggetto storico” di marxiana memoria, nella versione terzomondista degli underpriviledged di Herbert Marcuse[4]. Tale interpretazione è giustificata da almeno un particolare del film, cioè la graduale trasformazione degli zombie, che dapprima sono facilmente suggestionabili e controllabili dal potere umano con il ricorso ai fuochi artificiali e ad altre presunte meraviglie tecnologiche (l’equivalente del progresso e delle libertà di consumare nella società capitalistica attuale), ma poi imparano a resistere, sviluppano abilità quasi umane, affinano i propri movimenti e soprattutto divengono capaci di comunicare. Da qui scattano l’assedio ed il tentativo di rovesciamento dell’ordine costituito, simbolicamente rappresentato dall’orrido pasto che i morti viventi compiono all’interno del centro commerciale, luogo quanto mai evocativo e autentico cliché del cinema di Romero..
Esiste quindi, nella trasposizione cinematografica della saga degli zombies, un’infinità di significati appunto sociali e politici, che a tratti paiono emergere non solo nell’
opus magnum di George Romero, ma anche in altri buoni episodi per il grande schermo come il remake de La notte dei morti viventi del 1990, diretto da Tom Savini (che nei film di Romero fu truccatore e curatore degli effetti speciali, nonché in qualche caso attore). In questa seconda e più spaventosa versione, arricchita da particolari truculenti frutto di una tecnologia nel frattempo evoluta, si ripresentano quasi tutti i personaggi del primo capitolo della tetralogia di Romero, ma con un finale differente: il protagonista di colore infatti muore, mentre a salvarsi è la bionda fanciulla Barbara, che conserva per sempre l’orribile ricordo dell’assedio e della strage perpetrata dai morti viventi. Il destino umano, in questo caso, è affidato ad una donna, e al suo ruolo sempre più autonomo nella società..
Donne indifese o coraggiose, afroamericani, bianchi della 
middle-class, ricchi, poveri e sottoprivilegiati, sub-culture e contro-culture: a osservare bene, nell’immaginario del cinema zombie sembra esserci spazio per le più svariate categorie sociali e per un’infinità di temi. E’ quanto meno curioso che sino a poco tempo fa ne fosse esclusa la categoria probabilmente più interessante e complessa, l’adolescenza. Il cinema più recente ha colmato anche questo gap con lo spiritoso ed apprezzabile Warm Bodies, film allegorico e ricco di citazioni, prodotto dai creatori di Twilight ma decisamente più riuscito e profondo del suo parente “vampiresco”. In questo caso si racconta quella che a prima vista può apparire come l’ennesima storiella di innamoramenti adolescenziali, stravolta soltanto dal fatto che il protagonista è un morto vivente, noto semplicemente come R, e la ragazza che torna a far battere il suo cuore è un’umana, Julie (sin troppo facile, a questo punto, riconoscere dai nomi dei protagonisti la storia tragica dei celeberrimi amanti shakespeariani). Al contrario, Warm Bodies è un ritratto assai riuscito dell’adolescenza e delle sue contraddizioni, una storia di grande umanità in cui compaiono temi quali il superamento dei pregiudizi, la diffidenza e l’odio verso l’Altro, le difficoltà insite nella comunicazione, il confronto tra le generazioni e, naturalmente, i riferimenti all’attualità politica..
Lungi dal rappresentare una mera fonte di paura o intrattenimento, lo zombie viene dunque ad incarnare una figura complessa, multiforme, capace di veicolare innumerevoli messaggi sociali, psicologici e filosofici. Ed in questo 
monstrum riconosciamo in parte noi stessi, le nostre società, le contraddizioni che abbiamo creato e di cui diventiamo sovente preda o, per dirla con Zygmunt Bauman, il terrore supremo del consumatore di essere a sua volta consumato e divorato.

[1] D. CHALMERS, The Conscious Mind: In Search of a Fundamental Theory, Oxford University Press, 1996.
[2] J. F. GONZALO, Filosofìa zombi, Anagrama, Barcelona 2011.
[3] F. FANON, I dannati della terra, Einaudi, Torino 2000.
[4] H. MARCUSE, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1967


http://www.kultural.eu/component/content/article/691-gli-zombie-e-gli-orrori-della-contemporaneita
ALLA RICERCA DI ATLANTIDE

atlantide sulla dorsale atlantica

E’ difficile quando si parla di Atlantide esimersi dal partire dalla fonte originaria cioè dal Timeo e dal Crizia, scritti da Platone in cui si narra del legislatore Solone che, durante un viaggio in Egitto, viene a conoscenza dell’esistenza (oltre le colonne d’Ercole) di Atlantide e della sua magnificenza, fino al suo inabissamento avvenuto quasi diecimila anni prima della nascita di Cristo. Per chi volesse in un capitolo a parte lascio uno stralcio dell’opera per gustarla nella sua originalità.
 A differenza di quanto si crede nel periodo post platonico altri scrissero direttamente ed indirettamente di questa isola: dal viaggio del cartaginese Annone, allo pseudo Aristotele che narra di un isola oltre le colonne d’Ercole, a Diodoro Siculo che racconta di un’isola simile a quella descritta da Platone, Plutarco cita due isole atlantiche, Plinio il vecchio (naturalista) sa di Atlantide, quindi diciamo che la notizia è stata “nell’aria” per parecchio tempo.
Il primo studio serio lo dobbiamo ad un gesuita appassionato di archeologia, Kircher, che nel XVII secolo ci propone una carta geografica (disegnata nell’antico Egitto e arrivata in Europa in periodo di Roma antica) in cui è rappresentata l’Atlantide.

kircher

Come si vede lui la completò con le conoscenze della sua epoca, cioè inserendo i nomi delle terre circostanti, il fatto che la carta fosse “rovesciata” (cioè il nord verso il basso) fu creduto poco importante, in quanto gli Egiziani credevano che il sud, non il nord, fosse in cima al mondo. Per loro questo aveva senso poiché era la direzione da cui scorreva il Nilo. E poiché il Nilo era così importante per loro, la sua sorgente doveva trovarsi in cima al mondo.
Ora abbandoniamo questa carta e procediamo cronologicamente con i vari studiosi che si sono appassionati ad Atlantide.
Donnelly nel 1870 identifica nella dorsale atlantica la posizione in cui si trovava Atlantide prima dello sprofondamento, purtroppo i suoi studi furono in parte inficiati da ricerche portate avanti da esoterici che allontanarono il panorama scientifico dalle sue giuste osservazioni.
Gli assertori dell’esistenza di questo continente puntavano il dito sulla presenza in più popolazioni distanti tra loro di inequivocabili analogie: una su tutte il mito del diluvio e il modo con cui veniva spiegato ciò che accadeva in quei momenti, il sole che tremola, il cielo che cade, più o meno ciò che avrebbe visto un ipotetico abitante di Atlantide mente la terra cedeva sotto i suoi piedi. Queste leggende si trovano in razze particolarmente diverse tra loro, perfino tra gli indiani d’America, in cui si narra di un’isola nell’emisfero australe, in antiche culture indiane e medio orientali è presente un’isola paradisiaca ora ghiacciata, in Messico abbiamo Aztlan isola bianca scomparsa, gli Olmechi parlavano di Atlaintika, i Vichinghi di Atli, i Fenici e i Cartaginesi, di Antilla; i Berberi di Atarantes e gli Irlandesi di Atalland..
Veniamo ora a studi più recenti, ad Istambul nel 1929 fu ritrovata una carta geografica fatta nel 1513 ma fu solo dopo vent’anni che scoprì una inaspettata notorietà: il docente americano di storia della scienza, dottor Hapgood, ad un attento esame notò una parte di costa sotto al Sud America che identificò con l’Antartide. Il particolare è che questa terra venne scoperta solo nel 1818 e mappata grazie ad apparecchi tecnologicamente sofisticati solo nel 1949! Al di là dei ragionevoli dubbi sulle affermazioni di questo docente (le più convincenti identificano questo lembo di terra con la Terra del Fuoco) è però singolare il ragionamento che lo ha condotto a questo ragionamento: innanzitutto l’ammiraglio turco (Piri Re’is) che ha disegnato la carta scrisse che non era frutto di suoi rilievi ma eseguita grazie a carte antichissime, ciò è confermato anche dalle mancanze e da alcuni tratti di costa disegnati due volte, il tutto accompagnato dagli studi del dott. Hapgood che ipotizzava uno scorrimento della crosta terrestre, tesi che in quegli anni ebbe un avallo illustre in Albert Einstein, nel suo scambio epistolare con il docente.
piri re'is
Se viene accettata la loro teoria sui repentini cambi climatici e lo slittamento dei continenti si potrebbe meglio accettare ad esempio la presenza accertata di mammut in Siberia, un esemplare è morto e si è conservato grazie alla bassissima temperatura e nel suo stomaco è ancora stato trovato dei resti di vegetali di cui si stava cibando! Questo cambio di clima, le leggende che parlano di “sole tremolante” potrebbero anche essere il frutto di tre eventi contemporanei che interessarono la Terra nel periodo in cui Platone indica lo sprofondamento di Atlantide: la precessione degli equinozi che avviene ogni 26.000 anni (La ragione di ciò risiede nella forma della Terra, che non è esattamente sferica ma risulta rigonfia nella zona equatoriale e leggermente schiacciata ai poli. L'attrazione che il Sole, la Luna, ed in misura minore i pianeti esercitano su questo rigonfiamento fanno sì che l' asse di rotazione descriva un cono in circa 26000 anni. Ora l’eclittica punta la stella polare, allora leone), la forma dell’orbita terrestre che nell’arco di 100.000 anni passa da circolare a ovale e l’inclinazione dell’asse terrestre (determina la luce) da 21,8° a 24,4°, ogni 41.000 anni i ghiacci non si sciolgono in estate sommandosi coi successivi.
 Hapgood non volle “tirare” delle conclusioni, ma lo fecero parecchi saggisti sulla fine del XX secolo, identificando Atlantide con l’Antartide, forti anche del parere dei paleobotanici che indicarono con un periodo approssimativo dal 13000 a.C. al 4000 a. C. l’ultimo periodo scoperto dai ghiacci dell’Antartide, questo poteva voler dire che la carta geografica in questione sia stata copiata da carte eseguite in quel periodo, mentre non vi erano ghiacci sulle coste…
ANTARTIDE
Anche in questo caso il fato ci mise del suo, il discredito su queste già dubbie affermazioni avvenne grazie ad un romanziere, che ipotizzò che la carta di Piri Re’is fosse stata fatta dagli Ufo…
Proviamo però a seguire gli ultimi studi, ritornando sulla carta del kircher:

KIRCHER

se ora immaginiamo di trovarci di fronte ad un Antartide spostato verso nord proviamo a confrontarlo con le carte odierne:

il mondo visto dall'Antartide

Ecco, si ipotizza che ciò che Kircher immaginò come Spagna e Africa fossero invece sud Africa e Madagascar da una parte, e l’America fosse invece quella del sud.
Di queste carte ve ne sono altre: quella del Finneus in cui l’Antartide è disegnato in modo più preciso ma più grande, 1559, quella del Buache, del 1737, in cui l’Antartide è divisa in 2, come si è scoperto solo nel 1958. Ho ovviamente citato solo le carte che presentavano stranezze relative all’Antartide, rimandando ad altri studi le numerose carte antiche che presentavano posti non ancora scoperti come il nord America.
A parziale conferma della possibilità che Antartide e Atlantide fossero la stessa isola vi è un passo di Platone, in cui indica che la regione era ben al di sopra del livello del mare e che vi erano numerose montagne, infatti l’Antartide ha una altezza media oltre i 2000 metri.
 Tutto questo inaspettato interesse scientifico e pseudoscientifico generò non pochi tentativi di portarsi “a casa propria” Atlantide, per ovvi motivi anche turistici.
Così questo continente è stato “ritrovato” in Grecia a Santorini (distrutta da una eruzione vulcanica nel 1550 a. C.) ovviamente il fatto che Platone indicasse un luogo oltre le colonne d’Ercole e 8000 anni prima non risultò un motivo sufficiente per farli desistere…
Poi venne la volta della Spagna con una statua (Dama di Elche, del IV o III secolo a.C.) ospitata nel museo nazionale di archeologia di Madrid, che dovrebbe raffigurare la regina di Tartesso, popolazione che commercializzava con Atlantide.

dama di elche

Infine fu ritrovata anche in America, studiando antiche popolazioni con terminologia simile a quella conosciuta nel nostro continente su Atlantide, tra cui gli Olmechi fino ad arrivare a Bimini.
Diciamo che il problema maggiore resta il fatto che non vi siano reperti. Ipotizzando l’esistenza di Atlantide e il successivo abbandono di parte della popolazione per l’impossibilità di restare su quest’isola dobbiamo ricercare qualcosa che ci abbiano lasciato. Innanzitutto niente di scritto, non abbiamo nulla che attesti la loro esistenza, però abbiamo delle carte geografiche particolarmente accurate e delle opere architettoniche che sembrano essere state costruite in periodi diversi da quelli dichiarati dagli storici.
L’esempio più discusso è quello della Sfinge, composta da pietra calcarea, il ricercatore West coadiuvato da Schoch (Stratigrafo, studia gli strati delle rocce sedimentarie), da un architetto, un geologo, un oceanografo e un geofisico arrivarono alla conclusione che la Sfinge non potesse essere stata edificata nel 2500 a. C., perché su di essa compaiono erosioni dovute all’acqua ed il periodo piovoso risale approssimativamente al 5000-7000 a. C. Infatti a non più di quindici chilometri vi sono delle tombe costruite con lo stesso materiale che non presentano tracce di erosione. E non vi è nemmeno la possibilità che si tratti di vento o Sole, infatti ripulendola dalla sabbia resta scoperta per non più di un quarto di secolo, per poi ricoprirsi.
Purtroppo in mancanza di dati certi (in questo caso mancano reperti di popolazioni vissute in quella zona in quel periodo) l’ultima parola spetta agli storici, e quindi la data di costruzione della Sfinge resta nel 2500 a. C.

sfinge

Fu il lavoro di un saggista americano, Colin Wilson, ad aprire una strada inaspettata. Egli ipotizzò che esistesse un’intera “biblioteca” Atlantidea sulla Terra, solo che le nostre capacità non ci permettevano di vederla. Egli come esempio utilizza i cristalli, che trattengono memoria (i computer a questo scopo utilizzano il silicio) e la casualità per cui da sempre i sensitivi guardano nelle sfere di cristallo per “vedere” passato e futuro. Qui si apriva un campo vastissimo: abbiamo occultisti che con la meditazione si mettono in contatto con l’universo e/o con Dio, Rudolf Steiner e Scott Eliott che ci parlano degli archivi Akashic (una conoscenza a cui ognuno può attingere e che esiste solo nell’etere), la Blavatsky e l’etere psichico, Buchanan e Denton che parlano di psicometria (la capacità di alcune persone di “sentire” la storia degli oggetti tenuti in mano)… ma non vi sono solo personaggi del paranormale: Jung, in una conferenza del 1936 illustra la sua idea di inconscio collettivo, cioè la possibilità di una comune presenza di simboli tra tutti gli uomini.
Gli studi dovevano quindi passare per le funzionalità del cervello, in particola modo quelle sopite.
Tutti noi conosciamo le due parti che risiedono nella nostra testa, un lato sinistro del cervello che funziona in modo matematico e l’altro in modo artistico. Alcuni grandi artisti arrivavano addirittura ad entrare in contatto in modo distaccato con la parte artistica, che sonnecchia risvegliata il più delle volte solo dall’alcool o durante i sogni (io ci aggiungo anche col pendolino, se la domanda che poniamo è seria, tipo “cosa provo realmente per quella persona?” il subconscio potrà rispondere, trovo inutile chiedere cosa provi qualcun altro o cosa accadrà domani).
Un egittolo di confine, De Lubicz, immaginò infatti che gli stessi geroglifici andassero letti con entrambi le parti del cervello, e per questo erano un disegno. In modo di darne una visione a 360°, cioè una idea oggettiva (la parola) ed una soggettiva (disegno).
Quando lessi per la prima volta questi esperimenti non sorrisi perché da poco avevo letto una E-mail scherzosa che mi fece riflettere, cioè su come poco noi conosciamo il nostro cervello e che esso tenta di riconoscere ogni parola come insieme di lettere e non leggendole singolarmente, i più avranno capito di cosa parlo, per chi non se lo ricorda o non lo ha mai visto lo ripropongo:

SNEOCDO UNO SDTIUO DLEL'UNTISVERIÀ DI CADMBRIGE, NON IRMPTOA CMOE SNOO SCTRITE LE PLAROE, TUTTE LE LETETRE POSNSOO ESESRE AL PSTOO SBGALAITO, È IPMTORTANE SLOO CHE LA PRMIA E L'UMLTIA LETRTEA SAINO AL PTOSO GTSIUO, IL RTESO NON CTONA. IL CERLVELO È COMQUUNE SEMRPE IN GDRAO DI DECRAIFRE TTTUO QTUESO COAS, PCHERÉ NON LGEGE ONGI SILNGOA LTETREA, MA LGEGE LA PALROA NEL SUO INSMIEE.

Provate per un attimo ad immaginare le potenzialità che si avrebbero utilizzando nella sua interezza il nostro cervello e, di contro, la meschinità dell’abbandono graduale del lato destro a cui la nostra civiltà ci ha obbligato. Il lato sinistro letteralmente ci “mangia” il presente, rappresentandolo come futile, si parla solo di futuro o di passato, quando abbiamo un problema sogniamo come sarebbe bello non averlo, poi una volta risolto non riusciamo a godere di questo fatto se non per poco tempo. Non riusciamo ad essere contenti per le difficoltà che non abbiamo. Un ultimo esempio, quanto è più bello il desiderare un oggetto che non il possederlo? Quando non lo abbiamo ancora lo “immaginiamo”, in un certo qual modo lo portiamo dentro di noi e ci inebriamo del pensiero di averlo. Una volta ottenuto lo trattiamo col lato sinistro, è un oggetto e basta.
Da questa chiacchierata ci restano tre concetti: la possibilità dell’esistenza di Atlantide, che c’entri con un modo diverso di utilizzare le nostre capacità, che esista in noi una risposta ai quesiti.
Colin Wilson identifica due personaggi che hanno ottenuto informazioni su Atlantide:
il primo è Lovecraft scrittore horror che cita nei suoi racconti il Necronomicon, in cui si racconta di queste Antichi (sono Dei) imprigionati dopo che la loro stesse malvagità avevano messo fine alla loro civiltà (praticamente le stesse parole utilizzate dagli occultisti quando si riferiscono agli abitanti di Atlantide). Migliaia di appassionati si gettarono a capofitto alla ricerca di questo testo, di cui Lovecraft scrisse anche una breve cronologia dei tomi esistenti. Alla domanda diretta sulla sua esistenza egli però disse sempre che questo libro non esiste, ma per chi aveva conoscenze atlantidee non poteva essere vero, conteneva troppi indizi (narra ad esempio di un Antartide ricco di testimonianze di epoche antichissime e sede di civiltà scomparse, questo nel 1931, molto prima delle supposizioni nate dallo studio del dottor Hapgood). Wilson decise invece di credergli e di dare maggior valenza ad altre sue parole: egli dice di raccontare semplicemente i suoi incubi che per lui erano la punizione inflitta all’anima per peccati commessi nelle precedenti incarnazioni.
Lovecraft
Il secondo è Aleister Crowley, un occultista. Egli afferma di aver scritto alcuni testi ascoltando una voce dentro di lui e ci insegna passo passo le tecniche meditative yoga per entrare in contatto col nostro subconscio, da dove si potrebbe attingere ad una conoscenza che abbiamo represso, nel suo caso specifico attingerebbe a entità molto simili a quelle lovecraftiane, quindi Atlantidee.

Crowley

Ad oggi gli studi continuano, sto conducendo due studi separati, il primo è legato al sistema utilizzato per la manipolazione dei sogni, studiata dal settore delle SS Ahenerbe che si occupava della ricerca di Atlantide per riuscire ad incontrare i Superiori Sconosciuti. Potrebbe essere una utile variante al sistema di Crowley.
L’altro sullo studio del numero delle dimensioni e sull’interrelazioni tra di esse, sto ipotizzando, come già si crede in fisica da anni, che esista un numero di dimensioni oltre a quelle che conosciamo e che, partendo dal principio che ognuno vede esclusivamente un numero di dimensioni inferiore a quelle in cui vive, potremmo arrivare a scoprire dati inimmaginabili se riuscissimo a trovare il sistema di effettuare il salto dimensionale.


Resto ovviamente aperto ad ogni confronto e/o rettifica nel caso riscontriate inesattezze e a collaborazioni se qualcuno di voi conduce esperimenti su alcune parti inerenti a ciò che ho scritto. Potete inoltrare le vostre E-mail all’indirizzo necronomiconet67@yahoo.it

di Walter Brussolo

www.emule.it