martedì 21 gennaio 2014

Una domanda scomoda sul nuovo caso Kyenge

La ministro dell'Integrazione è finita al centro di un nuovo caso che richiama al razzismo, ha suscitato l'interesse di molta stampa internazionale.

È stata una notizia molto discussa nel nostro Paese, quella della pubblicazione dei prossimi appuntamenti istituzionali della ministro Cécile Kyenge da parte del quotidiano della Lega, La Padania. Il giornale, sostenuto dal partito, si è difeso insistendo che quelle segnalate erano informazioni di pubblico dominio, riportate anche sul sito del Ministero - dell'Integrazione - e che in fin dei conti, era diritto di tutti criticare l'operato di un ministro. 
La questione ha aperto ampie discussioni, con accuse di razzismo nei confronti dei leghisti e delle rubriche da circo del suo organo di informazione - inutile poi girarci intorno con ipocrisia, il contesto di fondo era quello che tutti conosciamo, giustificando ampiamente il processo alle intenzioni di quella che vorrebbero farci passare come una semplice "rubrica" di un'agenda pubblica. 
 
Il mondo ci guarda: abbastanza incuriosito. E credo che la questione che sollevi di più la curiosità degli altri paesi, riguarda l'assenza nel nostro sentimento nazionale del benché minimo spirito di multiculturalismo. Ancora, nel 2014. 
 
Tanto che il Washington Post, per scriverne, ha dovuto raccontare un po' la storia, spiegando che la Ministro: «si è guadagnata l'ira della Lega promettendo di cambiare le politiche di immigrazione e cittadinanza restrittive in Italia e sostenendo che gli immigrati sono una risorsa di cui l'Italia ha bisogno e non un peso o una minaccia per la sicurezza».
 
Chi ha probabilmente centrato di più il punto, è stato il quotidiano spagnolo El Pais: scrivendo che gli attacchi della Lega a Kyenge «hanno a che fare con il colore della sua pelle, ma rappresentano anche una chiara strategia del partito nazionalista per le elezioni europee del prossimo maggio» - non a caso il neo segretario Salvini giorni fa ha incontrato Marine Le Pen, estrema destra francese, per individuare un percorso comune per le prossime europee.

Il tedesco Die Wielt ha calcato la mano, parlando addirittura di «stalking».
 
Invece da riportare per ampliare il ragionamento, laddove si ferma l'aspetto più epidermico della vicenda, c'è un'interessante considerazioni che arriva dall'Italia. Filippo Facci su Libero (qui via il Post)(*) si è chiesto una cosa d'altra parte importante e basilare, soprattutto in un paese come il nostro, in cui ci si è abituati a razionalizzare il tutto con un "pro" o un "contro", tipo il tifo allo stadio, perdendo tutte le innumerevoli sfumature di grigio che separano i poli delle questioni. Non è mio interesse usare l'argomentazione di Facci per difendere la Lega - di cui poco me ne frega, e con cui non sono mai stato dolce. Il problema che si chiede Facci, però si crea: «Come si può criticare il ministro Cécile Kyenge ritenendosi legittimati a farlo?». E ancora, meglio: «Com’è possibile farlo da destra o su giornali di centrodestra?». 
 
Domande che vanno affrontate: perché io da sinistra, voglio "arrogarmi" il diritto di criticare un prossimo possibile futuro politico di colore, rappresentante delle destra, senza correre il rischio di passare da razzista. O di prendermela con quel fenomeno di Pogba, usando quella "sana" invidia da tifoso milanista verso un campione juventino che sta permettendo alla sua squadra di fare tanto bene, senza il rischio di vedermi dare due giornate di squalifica al divano di casa.
 
Nota: la questione non salva i coglioni che continuano a pensarla in un certo modo, a pubblicare nei propri profili social network immagini la cui cretineria non merita nemmeno la descrizione (tanto ci siamo capiti), e via dicendo. Anzi, si parla proprio dell'opposto.


Autore

Emanuele Rossi

Emanuele Rossi



http://www.agoravox.it/Una-domanda-scomoda-sul-nuovo-caso.html

(*)Criticare Kyenge


La domanda è: come si può criticare il ministro Cécile Kyenge ritenendosi legittimati a farlo? Meglio: com’è possibile farlo da destra o su giornali di centrodestra? Meglio ancora: è possibile che il sospetto di un processo alle intenzioni ogni volta debba oscurare le inerzie del ministro?
Questo non è più un dibattito da terze pagine o un evergreen per talkshow in crisi, è un problema concreto e politico che investe il governo e nondimeno una sinistra che molti imbarazzi li condivide in silenzio. Il ministro dell’Integrazione è competente anche sulle adozioni e soprattutto sulle politiche giovanili di questo paese, ma in tema di bilanci il discorso vira sempre sul razzismo o semplicemente si parla d’altro, magari di un altro ministro al quale fare le pulci di continuo – talvolta per autentiche sciocchezze – sottoponendolo a uno screening ossessivo ma, beninteso: democraticamente previsto. Il discorso non vale per la Kyenge. L’assioma l’ha ben espresso lei stessa in un’intervista su Repubblica di mercoledì: dimissioni? «Sarebbe la vittoria di chi mi ha sempre attaccato. E questa è una battaglia che riguarda tutti, non solo la mia persona». Ergo le sue dimissioni sarebbero una vittoria dei razzisti – parlava di loro, perché nell’intervista non parla d’altro – e se dovesse dimettersi sarebbe una sconfitta nostra, più che sua: la possibilità che lei possa lasciare per inadeguatezza tecnica e pratica non è contemplata, del resto non è, la sua, l’azione di un ministro in tempo di crisi: è «una battaglia».
Forse avrebbe anche ragione se lei fosse, anziché il ministro di un governo d’emergenza, soltanto la testimonial antirazzista che si sta indubbiamente dimostrando: è ciò di cui, più o meno esclusivamente, abbiamo notizia. Convegni, presentazioni di libri, cittadinanze onorarie raccolte in tutta Italia, interviste a mio dire imbarazzanti in cui spiegare che la democrazia sta morendo e che occorre promuovere appelli alle Nazioni Unite. Gad Lerner, poco tempo fa – e lo cito per paracularmi essendo lui di sinistra, ma sbaglio – ha ammesso che l’azione legislativa e amministrativa per migliorare la condizione degli immigrati è «completamente paralizzata»: ed è solo un esempio delle molteplici accuse di immobilismo mosse al ministro da qualche mese, anche se mosse perlopiù da destra. Bene: a parecchi mesi dal suo mandato, ieri, la risposta del ministro è stata questa: «Stiamo andando verso l’uccisione della democrazia. Nessuna forza politica può più tollerare questo razzismo strisciante… Mi rivolgo alle istituzioni italiane, ma anche europee e delle Nazioni Unite: bisogna rafforzare urgentemente tutti i programmi contro il razzismo».
Le questioni di merito che non attengono al razzismo – questioni di cui si occupava il suo predecessore Andrea Riccardi, per dire – sono liquidate in poche righe in fondo all’intervista: la Kyenge ha detto che quello sulla clandestinità «è un reato inutile» e che, per quanto riguarda i centinaia di profughi accampati in un palazzo romano, «il governo ha recepito le direttive europee in materia e si arriverà a un testo unico sull’asilo». Scusi se gliel’abbiamo chiesto.
Ora: sappiamo benissimo che l’intervista era a strascico della polemica – rovente – sorta dopo la pubblicazione sulla Padania dell’agenda coi prossimi appuntamenti pubblici del ministro, agenda che pure è stata meramente copiata dal sito ministeriale. Non m’interessa la polemica: è chiaro che La Padania l’ha riportata a titolo provocatorio (anche se, formalmente, ha solo riportato un’agenda pubblica) ed è chiaro che il processo alle intenzioni nel caso appare giustificato: l’hanno già scritto tutti e non lo ripeto. Ma vogliamo parlare della reazione di Repubblica?
Mercoledì il siciliano Francesco Merlo ha scritto un editoriale lunghissimo contro la Lega nordista («L’ossessione dei nuovi barbari») e l’ha condita di un odio personale e politico che sinceramente non mi scandalizza, ma che non c’è dubbio: c’è. Merlo ha scritto di «punto di non ritorno della barbarie‚ «gagliofferia ridotta ormai a una minoranza di violenti», «nocciolo duro della xenofobia», «gang di bulli squinternati» coi loro «deliri alcolici» (parlava di quattro esponenti leghisti compresi una donna e dei parlamentari) e ancora «spasmo bilioso» e «sacca di marciume». Francesco Merlo, poi, ha individuato un parallelo tra la pubblicazione dell’agenda ministeriale sul quotidiano leghista e il blog di Grillo, che «è stato attrezzato come plotone d’esecuzione con il giornalista Travaglio nel ruolo qui interpretato dalla direttrice della Padania». Non solo. A suo dire c’è anche un nesso con «le minacce orribili dei No Tav e il senatore del Pd Stefano Esposito e al cronista della Stampa Stefano Numa… le minacce degli animalisti ai ricercatori scientifici, sino agli insulti a Caterina Simonsen affetta da una malattia genetica». Tutto questo, o meglio la rubrica della Padania sulla Kyenge, «simula e surroga il temibile passo cadenzato». Il nazismo, o giù di lì. Poche righe addietro, Merlo aveva parlato di «giornalismo usato come manganello».
Ne derivano due cortesi domande, mie. La prima è se il suo articolo, e il linguaggio che adotta, debbano essere ritenuti estranei a tutto questo; se lui, cioè, pensi di giocare in un altro campionato. Tutto può essere. In caso affermativo, dunque, gli chiedo se pensa che tutto dipenda soltanto dal soggetto che muova la critica o il manganello: chi, da dove, contro chi. Di difendere i leghisti non me ne frega niente: al diavolo anche loro e le loro rubriche e i loro circenses. Ma gli altri? La domanda resta: come si può criticare il ministro Cécile Kyenge ritenendosi legittimati a farlo? Meglio: com’è possibile farlo da destra o su giornali di centrodestra? Il problema esiste anche e soprattutto per un dettaglio: a Repubblica e altrove, tutto questo, non lo fanno. La Kyenge, su Repubblica, non si può criticare anche se è un ministro talvolta imbarazzante: piuttosto le dedicano un’intervista e un lungo editoriale come quello di Merlo, che in centinaia di righe non ha neppure il fegato – e l’autorizzazione – di ipotizzare una banalissima verità: che Cécile Kyenge sarà pure un buon testimonial contro il razzismo, ma è un ministro della Repubblica che è stata nominata perché è nera e che non si può rimuovere perché è nera. Lo penso io e lo pensano tanti colleghi e politici – addirittura ministri – che evidentemente non hanno capito che è in gioco la democrazia, il ruolo delle Nazioni Unite e tutte le sciocchezze evocate per colpa di una rubrica sulla Padania.
(Pubblicato su Libero)
Filippo Facci
FILIPPO FACCI
Giornalista e scrittore, lavora a Libero, ha collaborato con il Foglio, il Riformista e Grazia. È autore di Di Pietro, La storia vera


http://www.ilpost.it/filippofacci/2014/01/17/criticare-kyenge/

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