lunedì 6 gennaio 2014

Rosy Canale e don Ciotti: fine dei miti dei paladini dell’antimafia di sinistra


roci Entrambi forse se la caveranno, dal punto di vista giudiziario: uno si è visto ritirare la denuncia a suo carico, l’altra è stata scarcerata dopo che il Tribunale del riesame ha accolto il ricorso del suo avvocato. Sono giorni difficili, però, per due paladini dell’antimafia nonché icone della sinistra. I destini di don Ciotti, fondatore dell’associazione Libera, e di Rosy Canale, pasionaria del movimento “Donne di san Luca” in lotta contro la ndrangheta, si sono spiacevolmente incrociati.
Nonostante la scarcerazione, dopo tre settimane di arresti domiciliari, a carico di Rosy Canale restano infatti le accuse di truffa e peculato, contestategli dalla Procura di Reggio Calabria. Una brutta storia di finanziamenti per allestire sedi e completare progetti che la paladina dell’antimafia Rosy Canale avrebbe invece utilizzato per scopi privati, acquistando una minicar, le hoogan per la figlia, borse Louis Vuitton, persino una Fiat 500. E di intercettazioni scottanti, che imbarazzano anche il Pd. Ne fa un buon riassunto Il Tempo, in un articolo pubblicato lo scorso 17 dicembre che ben illustra i rapporti tra Rosy Canale e la sua “guida politica” Luigi De Sena, ex senatore del Pd nonché vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia. Un De Sena che, secondo Il Tempo, avrebbe avuto un ruolo determinante nel proporre la candidatura della stessa Canale alle regionali del 2010. Non se ne farà nulla, ma la stessa Rosy Canale si candiderà poi, sempre con il Pd, alle elezioni comunali di Reggio Calabria oltre che alle primarie di coalizione del centrosinistra coi Socialisti uniti.
Nel mirino della magistratura anche l’apertura di una ludoteca, all’interno di un locale sequestrato alla famiglia Pelle, mai entrata in funzione. Secondo il gip Domenico Santoro: “La segreteria del senatore De Sena dispensa consigli e supporta la Canale in tutte le operazioni di organizzazione logistica della ludoteca”.
Ecco come Il Tempo ricostruisce la vicenda:
Poco tempo prima dell’inaugurazione della ludoteca, la Canale contatta politici locali e nazionali per dare risalto all’inaugurazione. Anche in questo caso «la valutazione dei soggetti a cui rivolgere l’invito – scrive il gip – viene gestita dalla segreteria di De Sena». I politici che non parteciperanno saranno bersagliati dalla Canale e dallo staff di De Sena. Fra questi l’allora ministro della Gioventù Giorgia Meloni, apostrofata così dalla Canale al telefono con lo staff di De Sena: «Quella grande puttanazza della Meloni mi ha mandato un’email per dirmi che non viene. Volevo parlare col senatore per dirgli come comportarmi…questa deficiente animale». La Damiano «accorda»: «Quelli fanno schifo tutti quanti». Nell’ordinanza si fa poi riferimento a una lettera che la Canale scrive alla Meloni. Missiva vergata dallo staff di De Sena ma, scrive il gip «rivista dal senatore». La Canale ce l’ha anche con Alessandra Mussolini, assente all’iniziativa, definita «brutta cessa». Quando i soldi sono pochi, sa come muoversi. Scrive ancora il gip: «Rosy Canale, dopo aver appreso della carenza dei fondi, dice che si rivolgerà al senatore De Sena». In un’altra conversazione telefonica l’eroina, non più tale, dirà che anche il partito di Di Pietro è interessato a lei. Il gip evidenzia ancora che parlando col padre la Canale afferma che «l’ha chiamata De Sena che la vuole incontrare perché lei avrebbe fatto un’ottima impressione alla senatrice Finocchiaro. Rosy si affida completamente ai consigli che le darà De Sena anche per la sua candidatura». E in effetti, scrive ancora il gip, «Rosy informa il padre di aver incontrato sia la Finocchiaro che De Sena e che entrambi puntano su di lei». La donna «valuta altre opportunità nelle file del Pd», ma intanto «aveva inviato a Maria Damiano il suo curriculum che De Sena avrebbe sottoposto alla Finocchiaro»
Certo, l’immagine dell’ex paladina di San Luca ne resta compromessa.
Stessa sorte per Don Ciotti, fondatore di Libera. Una vicenda risalente al 2011 è stata resa pubblica solo in questi giorni. Una brutta storia di assunzioni in nero e addirittura percosse ad un dipendente. Ecco come la racconta Libero Quotidiano in un articolo a firma Antonio Amorosi
Tra le scelte improprie e i comportamenti discutibili attribuiti ad esponenti dell’associazione «Libera» emerge in questi giorni un episodio sconcertante e rimasto finora sconosciuto.
È la storia raccontata a Libero da Filippo Lazzara, un lavoratore siciliano impegnato nell’associazionismo che ha presentato denuncia ai carabinieri (la quale, per la cronaca, è stata successivamente ritirata) proprio contro il fondatore di Libera, don Luigi Ciotti.
Lazzara aveva depositato l’esposto nel 2011, ma lo ha reso pubblico solo qualche giorno fa pubblicando la notizia sulla propria bacheca Facebook. I fatti: ancora nel 2010, Filippo lavorava con un contratto a tempo indeterminato in un supermercato a Partinico, in provincia di Palermo. È uno di quelli che non ama l’omertà mafiosa – caratteristica preziosa e rara da quelle parti – e si impegna nel sociale con dedizione. Conosce don Ciotti e dopo un confronto col prete si convince a denunciare per infiltrazioni mafiose l’impresa per cui lavora, pesantemente collusa con alcune cupole.
È un gesto di per sè coraggioso, addirittura incredibile se si pensa che un contratto di lavoro a tempo indeterminato, per di più in Sicilia e di questi tempi, è una fortuna della quale ben pochi sarebbero in grado di privarsi. Eppure Lazzara si espone, anche perché una promessa di don Ciotti lo ha convinto che può esserci anche per lui un altro tipo di futuro. La proposta è trasferirsi in Piemonte e lavorare per don Ciotti stesso.
L’uomo denuncia il malaffare e nel settembre 2010 si trasferisce al nord. «Don Ciotti mi fa lavorare per alcuni mesi presso la Certosa», scrive nella denuncia e «precisamente presso l’associazione 15-15». Di seguito viene trasferito all’associazione «Filo d’erba» del gruppo Abele, che fa sempre capo a don Ciotti. Non è in regola e tenta ripetutamente di incontrare il fondatore di Libera per avere un contratto ed essere finalmente a norma come promesso. Nel marzo del 2011, nella sede del gruppo Abele di Torino, dopo tanti tentativi riesce a ottenere un confronto diretto, ma lo scambio verbale presto degenera. Don Ciotti passa alle mani e – stando alla ricostruzione dello stesso Lazzara – lo colpisce con pugni e calci. Il ragazzo, rimasto basito, viene poi allontanato dalla scorta del prete.
Finisce però al pronto soccorso con una prognosi di 10 giorni. Lazzara, a dimostrazione di quanto è accaduto, posta in rete una lettera privata, firmata proprio da don Ciotti (e datata marzo 2011), nella quale il sacerdote fa riferimento a delle percosse: si scusa per le «sberle», le «pedate» e «i nervi saltati, un po’ per la stanchezza e un po’ per il tuo modo di fare». Scrive di pedate, il sacerdote, e tenta di fare ammenda: «Quelle pedate le merito io». Lazzara al telefono conferma la propria versione: «Oltre a essere stato picchiato, mi hanno fatto terreno bruciato intorno. Non avevo un lavoro e non sapevo dove sbattere la testa. Lui è un intoccabile». L’uomo cerca di spiegarsi: «Denunciare lui è come denunciare Nelson Mandela. Chi mi crede? Chi starà dalla mia parte? Per me tutte le porte si sono chiuse. Per il peso che ha, in certi ambienti, don Ciotti è come il Papa. Ma ricevere dei cazzotti dal Papa è una cosa che ti lascia scosso. Se questa è l’antimafia…».
Dopo Saviano condannato prima per plagio e poi per diffamazione e la Capacchione a processo per calunnia, altre due icone anti-mafia osannate dalla sinistra finiscono in guai mediatico-giudiziari.

http://www.qelsi.it/2014/rosy-canale-e-don-ciotti-fine-dei-miti-dei-paladini-dellantimafia-di-sinistra/

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