giovedì 23 gennaio 2014

La borghesia dei rifiuti: la DANECO, i fratelli Colucci, le loro mani sul Paese – PRIMA PARTE

Hanno vinto un appalto da 300 milioni, per l’inceneritore di Salerno. Ma sono indagati dalla Lombardia alla Sicilia per reati ambientali, subappalti sospetti, truffa, corruzione. Radiografia del gruppo Unendo-Daneco, di proprietà dei fratelli Colucci. Ecco la prima puntata

- di Manuele Bonaccorsi e Anna fava, Left n. 27 luglio 2011 -
Trecento milioni di euro di investimenti e circa mezzo miliardo di profitti sicuri per costruire e gestire, per vent’anni, un inceneritore nella città di Salerno. A vincere la gara d’appalto indetta dalla Provincia di Salerno è una delle aziende leader nel settore dei rifiuti: la Daneco, società dellaholding Unendo, un colosso da oltre 200 milioni di euro di fatturato e oltre 3mila clienti tra le maggiori industrie internazionali, riconducibile alla proprietà dei fratelli Colucci, Pietro e Francesco. Originari di Napoli, sui rifiuti hanno costruito un impero arrivando al punto di acquisire la filiale italiana della Waste management, la multinazionale statunitense dello smaltimento dei rifiuti. La sede della holding è a Milano, a due passi da Piazza Affari. Gli interessi spaziano dalla raccolta dei rifiuti al solare, passando per la gestione di impianti industriali di trattamento e discariche per scarti industriali. Gli “emigranti di successo” ne hanno fatta di carriera, entrando a pieno titolo in quel «ristretto giro di operatori» del ciclo dei rifiuti. Nel 2000 le società della famiglia Colucci vennero analizzate in un’inchiesta parlamentare condotta dalla Commissione Scalia, che giunse a conclusioni preoccupanti: «Se quello descritto non è ancora un cartello – si legge nella relazione finale – è certamente un sistema che presenta elementi rilevanti di distorsione del mercato, con ricadute negative sullo stesso funzionamento delle regole della libera concorrenza». La relazione terminava con l’annuncio di ulteriori approfondimenti, ma finora l’inchiesta non ha avuto seguito. Sono passati 10 anni, e i fratelli Colucci, giunti al culmine della loro ascesa, hanno recentemente deciso di dividere l’impero. A Pietro, fino a pochi mesi fa presidente diAssoambiente (Confindustria), la gestione di Kinexia (energie rinnovabili) e Waste (rifiuti speciali); a Francesco la capogruppo Unendo e la preziosa controllata Daneco.
Ma i Colucci sono in cima alle classifiche non solo dal punto di vista economico. Anche il versante giudiziario è degno di nota: amministratori e dirigenti delle imprese della holding sono sotto indagine a Milano, per corruzione e truffa ai danni dello Stato nella bonifica dell’area ex Sisasdi Pioltelloa Latina – dove il gruppo è socio di due aziende locali,Terracina Ambiente e Latina Ambiente – per frode nelle pubbliche forniture, con l’ombra di subappalti assegnati a prestanome dei Casalesi; a Benevento Daneco è indagata per disastro ambientale causato dallo sversamento nelle falde acquifere di migliaia di litri di percolato fuoriusciti dalla
discarica gestita a Sant’Arcangelo Trimontein Calabria, la società Eco Inerti, controllata da Daneco, è sotto processoper aver ottenuto le autorizzazioni per realizzare una discarica per rifiuti speciali in un’area di alto valore paesaggistico falsificando i documenti tecnici sulla conformazione del territorio; in Sicilia le indagini della procura di Palermo sull’affare dei quattro termovalorizzatori voluti dall’ex governatore Totò Cuffaro, condannato per mafia, riguardano anche la costruzione di un impianto a Paternò (Catania), affidato alla Sicil Power, una controllata della Daneco. Tra i soci del colosso dei rifiuti nell’avventura siciliana c’era l’Altecoen, impresa ennese legata al clan dei Santapaola. E non solo: tra consulenti e appaltatori si ritrovano numerosi indagati o condannati per reati ambientali e per mafia. Un curriculum di tutto rispetto per la società che si è aggiudicata l’ennesimo grande appalto dell’infinita emergenza rifiuti. D’altronde, in Italia è noto, quando c’è l’emergenza cominciano i grandi affari.
Incenerire, un business sicuro
Un investimento sicuro, quello del termovalorizzatore di Salerno, grazie a due cavilli contenuti nel bando di gara: da un lato la certezza di intascare per otto anni i contributi Cip6 per le energie rinnovabili, versati da tutti i cittadini in bolletta e cancellati nell’intero Paese fuorché per la Campania. Dall’altro la garanzia sottoscritta dalla Provincia di Salerno di poter bruciare, per 18 anni, 300mila tonnellate all’anno di rifiuti. Una stima sovradimensionata in una delle aree più virtuose: nella provincia si producono non più di 500mila tonnellate di monnezza, ma la città di Salerno raggiunge il 70 per cento di differenziata, e nella zona sono molti i Comuni “ricicloni”. A conti fatti, per costruire l’impianto Daneco spenderà circa 300 milioni di euro, ma potrà intascarne oltre il doppio tra conferimento dei rifiuti (la provincia pagherà circa 90 euro per tonnellata portata al forno) e vendita dell’energia (col Cip6 ogni Mw prodotto vale circa 220 euro, contro i 70 euro di un Mw normale). In associazione temporanea di impresa (Ati) con Daneco, che a Salerno gestisce già un impianto di compostaggio anaerobico da 30mila tonnellate, si è presentata la Rcm dei fratelli Rainone, grossa impresa edile salernitana, vicina al sindaco De Luca ma anche al consigliere regionale Pdl Alberico Gambino (condannato in secondo grado per peculato e cognato di Elio Rainone) che gestirà la costruzione dell’impianto. La vittoria è arrivata sulla base della valutazione del progetto tecnico: per quanto riguarda offerta economica e durata della concessione il concorrente del duo Daneco – Rcm, la De Vizia transfer, aveva presentato una proposta più vantaggiosa. Il sindaco De Luca, ex commissario straordinario per l’edificazione dello stesso termovalorizzatore – compito poi “rubatogli” da Cirielli – ora minaccia: «L’inceneritore è inutile, lo impediremo, porteremo le carte in Procura». Per la Daneco, capofila dell’appalto, sarebbe l’ottava inchiesta aperta per i suoi affari in giro per l’Italia.
Il nerofumo
L’ultima in ordine di tempo risale a poche settimane fa: i pm Paola Pirotta e Paolo Filipponi, della Procura di Milano, indagano su una presunta tangente da 700mila euro che sarebbe stata versata dall’amministratore delegato della Daneco impianti, Bernardino Filipponi, a uno degli uomini chiave del ministero dell’Ambiente, Luigi Pelaggi, capo della segreteria tecnica di Stefania Prestigiacomo e commissario straordinario per unabonifica milionaria, quella della Sisas di Pioltello. Ed è proprio la Daneco a vincere la gara “drogata”, indetta in deroga al codice degli appalti pubblici, per liberare quest’area del milanese, occupata per 50 anni da uno stabilimento chimico, da qualcosa come 280mila tonnellate di rifiuti, di cui almeno 30mila pericolosi. Dalle indagini, condotte dai Noe di Sergio De Caprio, il capitano «Ultimo», il denaro sarebbe servito a oliare alcuni provvedimenti emessi dal commissario in violazione delle norme ambientali, a tutto vantaggio dei profitti di Daneco. Una vicenda dai contorni oscuri, dove si intravedono carichi di rifiuti tossici che viaggiano nel Mediterraneo e container colmi di sostanze pericolose che spariscono nel nulla o cambiano codice. Ma conviene andare per ordine.
La Daneco subentra al lavoro di bonifica nel settembre 2010. Sostituisce la Tr2, azienda guidata da Giuseppe Grossi, imprenditore milanese, vicino a Cl, finito sotto inchiesta (ha recentemente patteggiato la pena) per la mancata bonifica della zona di Santa Giulia, dove un intero quartiere è nato sopra una montagna di amianto e sostanze chimiche pericolose. I tempi sono stretti: il governo ha dichiarato lo stato d’emergenza, nominando Pelaggi commissario straordinario, perché sulla bonifica della Sisas di Pioltello pende una procedura di infrazione dell’Ue: si rischia una multa milionaria. La gara, indetta sulla base di un «progetto di intervento» redatto da Claudio Tedesi, un quotato ingegnere ambientale indagato insieme a Grossi per la vicenda di Santa Giulia, viene assegnata alla Daneco per 35,8 milioni, contro i 49 segnalati nel documento tecnico. Il progetto prevede che l’azienda tratti in loco i rifiuti pericolosi, per spedirli in discariche a norma, all’estero. Tra i siti disponibili, oltre ad alcuni impianti tedeschi e italiani, viene scelta la discarica di Nerva, in Andalusia, gestita dalla società Befesa. Un impianto molto chiacchierato in Spagna: secondo un esposto presentato dal partito spagnolo Izquierda Unida (Iu), Befesa avrebbe falsificato i documenti dei rifiuti in modo da stoccare in discarica sostanze pericolose non trattate, alcune delle quali provenienti dalla Riccobono di Parma. La cattiva gestione dei rifiuti, secondo le interrogazioni parlamentari e gli esposti alla magistratura presentati da Pedro Jimenez, segretario di Iu della Huelva, avrebbero inquinato gravemente il fiume Rio Tinto.
Fuligine di Pioltello nella discarica di Nerva
La Daneco riceve il permesso dalla giunta dell’Andalusia di esportare in Spagna, alla discarica di Nerva, rifiuti provenienti da terre di bonifica di Pioltello: 60mila tonnellate di rifiuti non tossici (codice Cer 191302) e 25mila tonnellate di rifiuti tossici (Cer 191301*, dove l’asterisco, nella codificazione europea, segnala la pericolosità del rifiuto). Eppure la Daneco, in un documento ufficiale, dichiara di aver inviato a Nerva solo 2.222 tonnellate di rifiuti non pericolosi, e 24.965 di materiali pericolosi (codice 191301*). Fin qui nulla di strano, la Daneco sembrerebbe aver usufruito solo parzialmente del permesso concesso dall’Andalusia. Ma pare che i rifiuti dichiarati da Daneco non siano mai arrivati nel porto di Siviglia, dove erano attesi. Il 23 maggio 2011 l’autorità portuale della città spagnola elenca tutte le navi italiane attraccate al molo della città andalusa tra l’inizio del 2008 e l’aprile del 2011, quando le operazioni di bonifica risultano già concluse. Nel porto di Siviglia, provenienti da Genova, arrivano in 8 diverse navi 22.600 tonnellate di fuliggine pericolosa 061305*, e di nerofumo provenienti da Vado Ligure: di rifiuti provenienti da terre di bonifica, quelle citate nei documenti di Daneco, neanche l’ombra. Eppure la quantità di fuliggine pericolosa giunta a Nerva corrisponde perfettamente a quella che, secondo la relazione di Tedesi, era presente nella zona industriale di Pioltello: 23mila tonnellate di «rifiuti assimilabili a nerofumo pericoloso», codice 061305*.
Nella foto che pubblichiamo in questa pagina, scattate dai militanti di Greenpeace, si vede uno dei camion che trasportano il nerofumo proveniente da Pioltello scaricare del materiale senza trattamento, nella discarica di Nerva. Nulla di irregolare, secondo la Daneco, che in un documento del 6 maggio 2011 annuncia candidamente: «Non è stato effettuato alcun tipo di trattamento di inertizzazione presso il sito di Pioltello». Nonostante il Progetto d’intervento a base del bando di gare prevedesse l’uso di trituratori e miscelatori per rendere meno pericoloso il trasporto e lo stoccaggio dei materiali.
Per ora, sulla strana vicenda di Pioltello, ci sono solo ipotesi. Secondo le voci che circolano pare che una parte dei rifiuti tossici sia finita persino nella Campania, in piena emergenza “monnezza”(anche se tale viaggio non appare nei documenti ufficiali di Daneco). Molti dubbi, a sentire Greenpeace – che sulla vicenda ha preparato un documento dal titolo emblematico, “Una sporca storia” – provengono anche dalla caratterizzazione dei rifiuti, cioè dall’analisi dei materiali presenti in discarica. A portare in laboratorio i campioni di terreno inquinato, infatti, sono stati sempre tecnici della parte privata. Mentre l’Arpa, l’Agenzia regionale di protezione ambientale, avrebbe apposto il proprio sigillo solo nelle conferenze di servizio utili ad accelerare l’iter dei lavori. Senza realizzare nessuna indagine “indipendente” sul campo. Un’ipotesi smentita dal sindaco di Pioltello Antonio Concas (Pd): «L’Arpa ha piantato qui le tende. Secondo me è tutto in regola. Pelaggi l’ho incontrato da poco in Regione, dice che ha fiducia nella magistratura e tutto sarà chiarito». I risultati delle indagini del Noe chiariranno molte cose. Intanto l’emergenza Pioltello, la cui scadenza era inizialmente fissata ad aprile del 2011, è stata spostata al 31 ottobre del 2011. Manca la bonifica delle falde e dell’area industriale. A gestire gli ultimi lavori, sempre la Daneco: i tempi sono troppo stretti per indire una nuova gara. D’altronde la Daneco coi commissari straordinari è sempre andata d’accordo.
La spartizione
Nella Campania dell’emergenza rifiuti la Daneco ha solo l’imbarazzo della scelta: gli appalti si sprecano. Sono tanti e così ricchi che l’impresa dei Colucci può concedersi il lusso di rinunciare dalla sera alla mattina a un affare da oltre 70 milioni di euro per la realizzazione e le gestione della contrastata discarica di Chiaiano, nell’hinterland di Napoli. Il commissariato straordinario che gestisce la gara d’appalto, indetta nell’estate del 2008, il sottosegretario all’emergenza rifiuti Guido Bertolaso, riceve cinque offerte: la Pescatore di Avellino inizialmente si aggiudica la gara con un ribasso del 36 per cento. La Daneco arriva al secondo posto, seguita dalla napoletana Ibi Italimpianti e dall’emiliana Cmc. La Pescatore però viene estromessa ufficialmente per problemi economici. Anche se in quel periodo agli investigatori è noto che la società potrebbe da un momento all’altro ricevere un’interdittiva antimafia. Ad aggiudicarsi la commessa, alla fine, sembra essere proprio la Daneco. Che però alle 7 del mattino, all’ultimo momento utile, spedisce un fax di rinuncia al Commissariato, lasciando che a vincere l’appalto sia il gruppo Ibi Italimpianti-Edilcar, che ha già realizzato la discarica di Savignano Irpino, nell’avellinese. Le due società della cordata vengono però colpite nel marzo 2011 da un’interdittiva antimafia: la Ibi, infatti, è indagata dalla Procura di Palermo per traffico illecito di rifiuti e per aver svolto dei lavori a Palermo, nella discarica di Bellolampo, subappaltandoli a una società vicina alla mafia palermitana. Secondo il pentito di camorra Gaetano Vassallo, entrambe le società sono legate ai clan Mallardo e Zagaria. Ma per quale motivo Daneco rinuncia all’appalto? La motivazione ufficiale dell’azienda è a dir poco curiosa: Daneco non vuole associare il proprio nome al contesto di Chiaiano, dove migliaia di cittadini si oppongono all’apertura dell’invaso, per non rovinare le proprie quotazioni in Borsa. Ma l’ipotesi non convince il comandante del Noe di Napoli Giovanni Caturano, che durante un’audizione in Commissione parlamentare sui rifiuti riferisce la sua analisi sull’appalto anomalo di Chiaiano: «Apparentemente sembrava una sorta di divisione di interessi». Persa Chiaiano, la Daneco si aggiudica in seguito i bandi salernitani per la costruzione dell’impianto di compostaggio anaerobico e del mega inceneritore. E continua a gestire, in Campania, l’enorme discarica di Sant’Arcangelo Trimonte.
Fiumi di percolato

Sono indefinibili le quantità di percolato che – secondo la consulenza tecnica consegnate al pm della procura di Benevento Antonio Clemente dagli esperti Paolo Rabitti e Gian Paolo Sommaruga – si versa nelle falde acquifere che scorrono nel sottosuolo della discarica di Sant’Arcangelo Trimonte, in provincia di Benevento, gestita dalla Daneco. La discarica, attualmente messa parzialmente sotto sequestro dalla magistratura, si trova sulla cima di una collina, in una zona evidentemente franosa: le zolle di terra rovinano verso valle, le strade spaccate si sollevano e gli alberi, le case e i piloni sfidano il senso di gravità inventando nuove geometrie. Una discarica che sta franando a valle, fino al torrente Calore, insieme a tutto il contenuto velenoso. Tanto da costringere i gestori a urgenti opere di consolidamento, per evitare che la valle sia sommersa da una pioggia di monnezza. Il posto peggiore per edificare una discarica.
Eppure il 9 maggio 2007, durante un periodo di ciclica emergenza rifiuti in Campania, l’ex presidente della Provincia di Benevento, Carmine Nardone, indica proprio quest’area in località Nocecchie al Commissariato di governo, alla cui testa c’è allora Gianni De Gennaro, impegnato nella disperata ricerca di un sito per una discarica. «Da un primo studio effettuato – scrive Nardone – sembra che sussistano tutte le condizioni per l’idoneità del sito». Dopo due giorni Contrada Nocecchie è inserita nell’elenco dei siti destinati a discarica definiti da un decreto del governo (che verrà convertito nella legge 87 del 2007), ed è riconfermato a pieni voti nella legge speciale 123 del 2008. Guido Bertolaso la definirà: «una ddiscarica modello». Come prevedibile, coi lavori iniziano i primi dissesti: lunedì 11 agosto 2008, in piena estate, una vasca in costruzione inizia a franare a causa del peso dei rifiuti. Il 25 ottobre 2010 il collaudatore statico dell’impianto, l’ingegner Ciro Faella, si rifiuta di apporre la sua firma sul documento di collaudo del quarto lotto dell’invaso. Seguono altre frane e anche uno dei piloni dell’elettrodotto che attraversa pericolosamente la discarica, crolla. La Daneco è costretta ad alzare palificate di cemento armato piantate nel suolo per 40 metri nel tentativo di consolidare l’impianto: varianti in corso d’opera con nuovi “imprevedibili” costi aggiuntivi. I comitati presentano numerose denunce e, finalmente, il 18 marzo 2011, arriva il sequestro: la Procura di Benevento ferma l’impianto per «evitare nuovi e maggiori danni per l’ambiente», e sta svolgendo in queste settimane accertamenti sui subappalti assegnati per la costruzione della discarica. Sotto inchiesta finisce ancora una volta Bernardino Filipponi, il manager messo dai Colucci a capo dell’azienda, insieme a Marco Leone, responsabile tecnico della gestione della discarica. L’accusa, formulata dal pm Antonio Clemente, è di aver provocato «un pericolo di frana e di disastro ambientale»: dalla discarica franata fuoriescono migliaia di litri di percolato che finiscono nei terreni circostanti. Un percolato particolarmente tossico, data la presenza di rifiuti pericolosi – tra cui olii minerali e diossine superiori ai parametri – che secondo la Procura potrebbero aver raggiunto il fiume Calore. Intorno alla discarica, come si vede nelle foto pubblicate in queste pagine, si scorgono strane tubazioni fuoriuscire da una vasca in cemento: dai tubi si riversa un liquido dallo sgradevole odore, che si infiltra in una vasca scavata nel terreno in pendenza, attraversa la strada per finire in un’altra profonda vasca, per poi scomparire. Alcuni metri al di sotto, dal sottobosco fuoriesce un rivolo di percolato che s’incanala in un tubo di cemento che lo convoglia in un “laghetto” che declina verso valle. Verso il fiume Calore, che trasporterà il suo carico di veleni fino al mare.

http://www.informarexresistere.fr/2011/07/17/la-borghesia-dei-rifiuti-la-daneco-i-fratelli-colucci-le-loro-mani-sul-paese/

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