sabato 11 gennaio 2014

In autobus in Portogallo: da Sintra a Cabo da Roca

Pubblicato in Frammenti
di FEDERICO PACE
Da qualche parte deve pure iniziare il mondo. Deve esserci un punto da cui prende avvio ogni città, valle e comunità. Forse per questo sei arrivato a Lisbona. Fino alla Torre di Belem. Da quel punto dove si dice che siano partiti quelli che vollero chiamarsi conquistatori. Si convinsero di avere scoperto un Nuovo Mondo. Pure se lì, la civiltà c’era già. Aveva solo un’altra forma e gli uomini, che vennero chiamati erroneamente “selvaggi”, avevano trovato altre soluzioni agli stessi problemi.
Prendi così un treno e arrivi a Sintra. Ci vuole poco più di mezz’ora e paghi meno di due euro. Da qui, da questo piccolo centro dell’Estremadura, chiedi del bus 403 della compagnia Scott Urb. Spieghi che vuoi andare a Cabo da Roca. Sono poco meno di venti chilometri. Ti indicano un punto dove aspettare.
Il Portogallo sembra avere a che fare con il ricordo più di ogni altro paese d’Europa. E’ difficile comprendere perché, forse tutte quelle conquiste di un tempo, relegate al passato, hanno lasciato nell’animo di ciascuno una sorta di struggimento per quel che non si può più avere. Così, mentre aspetti, ti torna in mente che a Cabo da Roca ci sei andato già. Più di dieci anni fa. Ricordi i suoi capelli neri. L’abito estivo viola e la pelle bianca.
Poi l’autobus arriva. Questo piccolo viaggio verso l’Oceano di poco più di quaranta minuti ha segnato a fondo più di un portoghese. Tanto da riemergere anche nelle pagine della migliore letteratura. Lo scrittore lusitano Antonio Lobo Antunes in Che cosa farò quando tutto bruciarievoca i viaggi d’adolescente con il bus da Sintra fino a Cabo da Roca. La strada è tortuosa. Quando arrivi alla punta che si protende sulla vastità di mare ti ritrovi in una sorta di precipizio assoluto.
Gli antichi lo chiamavano il Promontorio Magno. C’è una strana vegetazione. Sembrano piccole piante grasse. L’Atlantico e il Mediterraneo che si incontrano. Lo strapiombo sull’Oceano. Si dice che siano 140 metri dalla rocca fino a giù, fino a dove il mare s’attorciglia intorno alle rocce. Poi, il vento. Soprattutto il vento. Il vento che aggredisce ogni cosa. In questo spazio dove terra e mare si contendono ogni millimetro, il Portogallo perde la sua veste confortevole da cartolina e assume un aspetto aspro, estremo, aggressivo.
Antonio Lobo Antunes, che tra i lusitani è l’autore più crudo e impervio, scrive «quando la domenica mio padre ci portava a Cabo da Roca annunciava sempre è qui che il mondo comincia, questo è il principio del mondo, io mi guardavo intorno e soltanto la desolazione del vento, rocce, arbusti che si piegavano e il mare in basso, il vento più forte del mare perciò solamente il rumore del vento, non il rumore delle onde, l’Europa dietro di noi, l’Uruguay e il Canada da inventare». Ora qui non c’è nessuno. Non ancora. Forse gli altri arriveranno più tardi. Quando il sole svanirà in un rossore.
http://senzavolo.it/in-autobus-in-portogallo-da-sintra-a-cabo-da-roca

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