giovedì 9 gennaio 2014

E Beppe Fiorello risponde a Saviano

Le fiction italiane al centro della discussione



Dopo l’articolo di Roberto Saviano (“Quanto buonismo nelle nostre fiction“) l’attore Beppe Fiorello ha replicato inviando a L’Espresso questo messaggio su Twitter.

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Quanto buonismo nelle nostre fiction

Alcune serie tv americane, così come i drammi storici inglesi di Shakespeare, celebrano il potere. Ma almeno sono fatte bene e vengono ricordate. Da noi, invece, si vedono acritiche agiografie di santi e padri della patria


Roberto SavianoRoberto Saviano

L'antitaliano





La propaganda filogovernativa è sempre esistita e ha sempre utilizzato i mezzi più popolari, quelli più seguiti dal pubblico, quelli che spesso la critica di settore per snobismo o per acritico entusiasmo non ha saputo interpretare, se non a distanza di anni, talvolta decenni, altre addirittura a distanza di secoli.

Questa riflessione parte da un articolo molto interessante pubblicato su Jacobin (un magazine “of the American left”) tradotto in Italia da Internazionale. “La fiction al potere” è l’argomento della riflessione e davvero credo valga la pena provare a comprendere come tutto ciò che sia di massa diventi immediatamente strumento utile per i governi, soprattutto nei momenti di transizione, di momentanea crisi o quando c’è necessità di giustificare azioni che agli occhi degli elettori potrebbero risultare incomprensibili.

L'articolo si concentra su due serie televisive statunitensi: “24” e “Homeland”. La prima è stata prodotta dal 2001 al 2010 e riflette “lo stile cowboy dell’amministrazione Bush”; la seconda, a partire dal 2010, - i creatori delle due serie sono gli stessi - è, invece, un prodotto dell’era Obama. Osservare queste due serie è utile perché mostra quanto sia determinante l’influenza delle agenzie governative statunitensi sui prodotti culturali, che dal 2001 in poi si concentrano sostanzialmente su questioni legate alla sicurezza nazionale. Ma come spesso accade l’osmosi è perfetta: se da un lato le piccole concessioni da parte degli autori portano alla possibilità di poter accedere a location altrimenti inaccessibili, dall’altro il riuscire a inventare nuovi scenari inediti per attentati e pericoli imminenti, mette in guardia gli apparati di sicurezza cui troppo spesso manca la fantasia per poter prevedere il futuro. Incredibile: le fiction che suggeriscono ai governi dove cercare il pericolo e come eventualmente neutralizzarlo.

Ma la propaganda oggi ha il sapore del complotto, solo del complotto, e quando diventa palese, tutto il resto finisce per perdere spessore. Questo mio non è un invito ad apprezzare la capacità che i governi hanno di piegare i prodotti culturali ai loro scopi - vale la pena sottolinearlo -, ma piuttosto all’osservazione critica anche dei prodotti culturali che ci piacciono cercando di comprendere se attirano la nostra attenzione per loro qualità intrinseche o per la capacità che hanno di intercettare lo Zeitgeist o il consenso dei governi. Insomma, non tutto ciò che ci piace è “buono” o eticamente corretto. Non deve per questo smettere di piacerci, ma spingerci a riflettere e a trovare gli strumenti per godere di un prodotto sapendo che è legato al contesto in cui nasce. A questo punto cerchiamo di recuperare, nella nostra memoria, altri lavori che sono stati propaganda ma che il tempo ha trasformato, senza sbagliare, in opere d’arte, in capisaldi della cultura mondiale.

I drammi storici di Shakespeare sono forse l’esempio massimo di come si sia potuto celebrare il potere dei Tudor senza blandirlo e senza servilismo. I suoi ritratti dei Plantageneti - re, regine e nobili che hanno governato e rovinato l’Inghilterra - sono talmente potenti che ormai è difficilissimo distinguere la realtà dal mito. E quando, a settembre 2012 sotto un parcheggio a Leicester, sono stati ritrovati i resti di Riccardo III, il più terribile tra i re d’Inghilterra, ci si domandava se lo studio delle ossa non avrebbe per caso rivelato le stesse spaventose sembianze che Shakespeare aveva descritto nell’omonimo dramma, ovvero quelle di un uomo deforme, quelle di “un ragno gobbo”.

Che gli Shakespeare di oggi siano i creatori delle serie tv farà sorridere, ma se pensiamo alla diffusione e alla popolarità del teatro in epoca elisabettiana a Londra, il paragone, per quanto incredibile, potrebbe anche essere calzante. E non è detto che nella miriade di produzioni non ce ne sia qualcuna che verrà ricordata a distanza di secoli, magari riadattata, attualizzata. Mi sorge invece il dubbio che nulla resterà delle tante acritiche agiografie di santi e padri della patria diffuse in Italia a mezzo fiction negli ultimi anni. Ritratti buonisti, senza chiaroscuri e sfumature - che dovrebbero costituire il senso di ogni narrazione - immortalmente liquidati dalla geniale caricatura di “Padre Frediani” che gli amanti di Boris, ricorderanno. Con amaro piacere.

www.emule.it

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