sabato 15 giugno 2013

Pizzini a Vito Ciancimino, per Giuffrè
non li avrebbe scritti Provenzano


BORSELLINO QUATER IL PROCESSO DI CALTANISSETTA SULLA STRAGE DI VIA D'AMELIO


Il pentito mette in dubbio l'attendibilità dei biglietti mostrati ai magistrati dal figlio dell'ex sindaco mafioso


Vito Ciancimino e Bernardo ProvenzanoVito Ciancimino e Bernardo Provenzano
PALERMO - Nuova tegola sull'attendibilità di Massimo Ciancimino, imputato e allo stesso tempo supertestimone nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Al dibattimento per la strage di via D'Amelio, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e agli agenti della scorta, in corso davanti alla corte d'Assise di Caltanissetta, il pentito Nino Giuffrè ha espresso pesanti dubbi sulla riconducibilità al boss Bernardo Provenzano di una serie di «pizzini» consegnati da Ciancimino ai pm e depositati agli atti del processo, che, secondo il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, il padrino corleonese avrebbe inviato al padre. I bigliettini sono stati mostrati al collaboratore di giustizia dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari durante l'udienza. Giuffrè, che ha intrattenuto una corrispondenza epistolare ventennale con Provenzano, si è detto perplesso sulla paternità dei pizzini. Sarebbero scritti senza i consueti errori grammaticali presenti negli scritti del padrino e mancherebbero le tipiche espressioni usate dal boss. «Sembra che alcune espressioni siano state prese dallo stile di Provenzano», una frase che fa pensare a un tentativo di creare ad arte le lettere imitando il modo di scrivere del capomafia. Ciancimino è già stato accusato, anche sulla base di perizie della Scientifica, di avere manipolato i documenti consegnati ai magistrati.
MANNINO - «L'ex ministro Mannino era al secondo posto nella lista dei politici da eliminare fatta da Totò Riina, subito dopo Salvo Lima. Era ritenuto un traditore», ha detto il pentito Giuffrè. «Riina - ha aggiunto - usava un'espressione emblematica per spiegare questo genere di tradimento. Parlava di mangiare nel piatto e poi sputarci». Il collaboratore di giustizia ha parlato della riunione della commissione provinciale di Cosa nostra, a dicembre del 1991, in cui Totò Riina pianificò la strategia stragista. «Fu una riunione terribile - ha spiegato -. Calò il gelo tra i partecipanti quando Riina disse che eravamo arrivati alla resa dei conti e che a quel punto ognuno si sarebbe dovuto assumere le sue responsabilità». Il pentito ha ricollegato la decisione del boss di «dichiarare guerra allo Stato», con le condanne del maxiprocesso in Cassazione, con l'offensiva che alcuni magistrati avevano intrapreso contro Cosa nostra e con il tradimento di alcuni politici che non avrebbero mantenuto gli impegni presi con i mafiosi. (Ansa)

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