venerdì 7 giugno 2013

PERSEGUIBILE PER LEGGE CHI NEGA IL GENOCIDIO


Con una decisione importante ma anche controversa per i suoi risvolti interni alla politica cambogiana, il parlamento di Phnom Penh ha votato oggi la legge che punisce con due anni di prigione la negazione dei crimini degli Khmer Rossi. Il provvedimento ha avuto un percorso facile e oggi è stata necessaria una sola ora di dibattito prima dell’approvazione all’unanimità dei presenti.
A farsi paladino della legge è stato il primo ministro Hun Sen, ex esponente dei ranghi inferiori del regime, che ha ripudiato i metodi e l’ideologia alla base dell’ascesa al potere dei suoi ex compagni e del genocidio cambogiano. Lo stesso Hun Sen, impegnato nella campagna elettorale che potrebbe riconfermarlo il capo di governo in carica da più tempo in Asia (dal 1998), oggi praticamente senza oppositori, ha paragonato il testo approvato a quelli simili che in Francia, in Germania, ma anche a livello dell’Unione Europea, condannano la negazione della Shoah. Non riconoscere i crimini del regime guidato da Pol Pot tra il 1975 e il 1979 è, secondo Cheam Yeap, parlamentare della maggioranza, “una grave offesa per le vittime”.
Per l’opposizione, tuttavia, la nuova legge rappresenta un espediente politico a poche settimane dal voto di luglio. Una mossa atta a censurare il ruolo dei dissidenti che prende spunto da un filmato diffuso dal governo in cui Kem Sokha, deputato a capo del Partito per la salvezza nazionale della Cambogia, affermava che responsabili delle torture e del massacro di almeno 15 mila prigionieri nel carcere di Tuol Sleng, nella capitale Phnom Penh, furono soldati vietnamiti e non esponenti del regime. Kem ha ammesso che la voce sulla registrazione è la sua ma non quanto è stato registrato. “Non serve una legge per tutelare la verità su quello che è successo sotto il regime dei Khmer Rossi”, ha commentato Youk Chhang, direttore del Centro di documentazione cambogiano, che cerca di far luce sul periodo più atroce della storia moderna del paese.
[CO]

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