venerdì 7 giugno 2013

Pancreas "ricostruito" dal midollo osseo

La sperimentazione, effettuata al San Raffaele di Milano, offre nuove speranze ai malati di diabete


Pancreas "ricostruito" dal midollo osseo

Una equipe dell'ospedale San Raffaele di Milano ha ricostruito nel midollo osseo una parte della funzione del pancreas dopo l'asportazione completa ad un malato. L'intervento è stato condotto per la prima volta al mondo su quattro pazienti e lo studio è stato pubblicato su Diabetes , la più importante rivista internazionale di diabetologia. Il punto di partenza è stato il trapianto di isole pancreatiche che permette di curare il diabete mellito di tipo , refrattario alla normale terapia, e il diabete di tipo 3c.
I ricercatori hanno recuperato dal pancreas prelevato chirurgicamente ai pazienti le cellule endocrine ''ricostruendolo'' nel midollo delle ossa dello stesso paziente, a livello del bacino e ottenendo una sorta di ''organo puzzle'' che ha attecchito e funzionato per quasi 3 anni.
''L'approccio utilizzato in questi pazienti è innovativo. È un risultato straordinario e potrebbe aprire in generale scenari inaspettati nel campo della medicina rigenerativa'', ha spiegato Lorenzo Piemonti, responsabile del programma di trapianto di isole pancreatiche e dell'Unità della Biologia delle Beta Cellule al Diabetes Research Institute (DRI) del San Raffaele, che ha realizzato assieme allo staff di Fabio Ciceri, responsabile di ematologia e trapianto cellule staminali, lo studio clinico finanziato dal ministero della Salute e da fondi Ue.
"Prevenire l'insorgenza del diabete post-chirurgico mediante l'uso del tessuto autologo è un concetto innovativo che offre una nuova prospettiva terapeutica ai pazienti con malattie del pancreas'', dichiarano Gianpaolo Balzano e Paola Maffi, primi autori dello studio. ''Normalmente, nella pratica clinica, fino ad oggi il midollo osseo" ha aggiunto Ciceri " è stato utilizzato per accogliere trapianti di cellule staminali ematopoietiche in pazienti con malattie come la leucemia. È straordinario vedere come in realtà questo ambiente sia in grado di accogliere anche altri tipi di tessuti''.
Il diabete di tipo 3c colpisce i pazienti a cui viene asportato chirurgicamente il pancreas perché perdono la funzione dell'organo che regola il metabolismo degli zuccheri, e dipende dalla produzione di ormoni come l'insulina e il glucagone. È una malattia difficile da controllare anche con le più avanzate terapie insuliniche. Le conseguenze per il paziente sono il peggioramento della qualità di vita e il rischio di complicanze, anche gravi, come il possibile coma ipoglicemico.
La ricerca è "una speranza reale per i malati di diabete". Lo sostiene Stefano Del Prato, presidente della Società Italiana di Diabetologia. ''La strada scelta dai ricercatori milanesi è altamente promettente, perché i test sono stati condotti sull'uomo" spiega Del Prato. "I pazienti trattati erano particolari, perché avevano dovuto subire l'asportazione del pancreas, ma questo studio mostra una strada nuova".
La via per una applicazione più ampia, non ristretta soltanto ai pazienti che hanno dovuto subire l'asportazione del pancreas, è ancora lunga, sottolinea Del Prato: "I pazienti trattati hanno potuto fare un trapianto con le proprie cellule pancreatiche" spiega "per intervenire in chi non le ha più bisogna utilizzare invece quelle di donatori. In questo caso però c'è il problema del rigetto, e bisognerà valutare se l'innesto nel midollo osseo è più o meno pericoloso da questo punto di vista".
Per il momento è il trapianto delle isole pancreatiche l'opzione più efficace per i pazienti diabetici, nonostante le ricerche in tutto il mondo stiano verificando diverse altre possibilità per sostituire il pancreas: "Servono però più donazioni, con organi validi da cui sia possibile eestrarre un numero sufficiente di cellule" spiega Del Prato "tra le altre alternative a cui stanno lavorando i ricercatori di tutto il mondo direi che le staminali sono molto indietro, forse è più vicino un pancreas sintetico in grado di svolgere almeno alcune funzioni. Se poi si troverà un modo per proteggere di più le isole una volta trapiantate il metodo dei ricercatori milanesi potrebbe avere una grande applicazione''.

Nessun commento:

Posta un commento