domenica 23 giugno 2013

Macromonitor – 23/6/2013


Anche nella settimana appena trascorsa la liquidità è rimasta il porto sicuro degli investitori, dopo l’annuncio di Ben Bernanke sulla tempistica di fuoriuscita progressiva ma ormai prossima dal terzo episodio di easing quantitativo. Cosa ci attende, ora?
Come sempre accade in episodi simili, la scelta è tra la liquidazione integrali degli attivi, azioni e reddito fisso, per rifugiarsi nella liquidità, o andare contro l’onda del mercato acquistando quegli stessi asset divenuti apparentemente convenienti. Occorre tuttavia essere consapevoli che, in fasi di alta volatilità come l’attuale, sono sempre possibili rimbalzi anche violenti, che tendono a rendere illusoria ogni strategia di market timing. Allo stesso modo, questi movimenti di mercato tendono a creare conseguenze anche sull’economia reale e sui suoi fondamentali. Nel caso degli Stati Uniti, i forti ribassi di azioni ed obbligazioni potrebbero indebolire le prospettive di crescita, e quindi la ragione stessa dei commenti e delle mosse della Fed, che ha alzato le previsioni di crescita per il 2014, riducendo quelle relative alla disoccupazione per lo stesso anno, implicando che l’avvio della riduzione degli acquisti da parte della Fed nell’ambito del QE3 possa avvenire a partire da settembre, e che i tassi ufficiali d’interesse possano essere alzati già a fine 2014. Il consenso delle case d’investimento era invece, rispettivamente, per dicembre 2013 e secondo semestre 2015. La forte ascesa dei rendimenti e l’indebolimento dei mercati azionari potrebbero quindi retroagire sull’economia, rendendo le previsioni della Fed eccessivamente “ottimistiche”, e quindi fornendo una motivazione successiva per l’investimento azionario, in base comunque ad un premio al rischio che resta molto ampio, anche dopo il rialzo dei rendimenti obbligazionari. Queste considerazioni sono vere per i mercati sviluppati.
Per i mercati emergenti, invece, è probabile che i movimenti di mercato rinforzino il precedente deterioramento dei fondamentali, e tornino quindi a penalizzare i prezzi degli attivi. L’indebolimento delle valute e delle obbligazioni in valuta locale rende più problematico, per le banche centrali dei paesi emergenti, allentare la politica monetaria. In realtà, rende più probabili rialzi dei tassi ufficiali, per difendere le riserve valutarie. Ciò, unito al  peggioramento del sentiment ad al negativo effetto-ricchezza prodottosi, indebolisce la crescita, rafforzando le correnti di vendita. Alcune case d’investimento stanno già incorporando questo feedback negativo nelle previsioni di crescita, riducendole.
Sul mercato dei titoli di stato, come detto, la Fed ha fornito nuovo carburante ai ribassi di prezzo ed ai rialzi di rendimento. Da inizio anno, il ritorno sugli indici dei titoli di stato dei mercati sviluppati è negativo per circa l’1 per cento, mentre quello sugli indici dei titoli di stato emergenti è in rosso per circa il 4 per cento. Le previsioni della Fed riflettono un ottimismo sulle prospettive di crescita dell’economia statunitense che supera quello di consenso presente sul mercato, che di fatto non si è mosso da inizio anno. I governativi dei mercati emergenti hanno sofferto la fuga da strategie di carry, che ha provocato illiquidità che ha rinforzato il danno, giungendo a produrre perdite in singola giornata che non si verificavano da ottobre 2008, durante le forti turbolenze post-Lehman. I fondi specializzati in paesi emergenti continuano a subire deflussi. La debolezza del cambio aumenta il rischio di risposte delle banche centrali in direzione di una stretta monetaria, soprattutto in paesi già a rischio economico ed ormai anche sociale come il Brasile.
Sui mercati azionari, la posizione della Fed ha iniettato volatilità e causato la quinta settimana consecutiva di ribassi, riportando gli indici globali sotto il penultimo massimo, di maggio 2011, e producendo quindi un potenziale “danno tecnico”. Mentre in passato periodi di stretta monetaria erano compresenti a fasi rialziste dei mercati azionari grazie a robusta crescita di economia ed utili, oggi prevale la dimensione dell’incertezza, introdotta dalle pratiche di easing quantitativo mai sperimentate prima. Inoltre, il rialzo dei rendimenti obbligazionari aumenta il tasso di sconto del flusso di utili azionari senza che si sia ancora manifestato un corrispondente aumento delle stime degli utili.
Sul mercato delle obbligazioni a spread si è verificato un sostanziale allargamento. La sottoperformance degli emittenti emergenti, sia sovrani che societari, prosegue vistosa, anche a causa della forte riduzione di liquidità che danneggia ulteriormente l’asset class in questa fase di deflussi di capitali globali.
Sul mercato dei cambi, prosegue l’apprezzamento del dollaro contro le valute emergenti e quelle di paesi sviluppati con fondamentali economici deteriorati e deficit delle partite correnti, come il dollaro australiano e quello neozelandese. Per contro, il dollaro si è recentemente indebolito contro euro, verosimilmente a causa di previsioni di una Bce aggressiva nell’allentamento monetario, che invece non si sono verificate.
In settimana, forte ribasso delle materie prime, con i metalli preziosi in calo del 7 per cento espresso in dollari, metalli base ed energia in ripiegamento di circa il 3 per cento. Agricoltura in controtendenza, con un rialzo di circa l’1 per cento. Le materie prime sono state colpite da un doppio fattore negativo: l’imminente fine di una fase di denaro eccezionalmente conveniente (quasi “gratis”, di fatto), ed il rallentamento ormai vistoso delle prospettive di crescita dei mercati emergenti. Apparentemente, i metalli preziosi dovrebbero essere quelli maggiormente penalizzati, dato il rally degli anni precedenti, quando l’azione non convenzionale delle banche centrali per contrastare la crisi finanziaria aveva fatto ipotizzare rischi di elevata inflazione. La scomparsa di tali rischi ha già causato forti arretramenti alle quotazioni di oro ed argento, negli ultimi mesi: ora, con una evidente tendenza alla disinflazione (pur giudicata transitoria da Fed e Bce) la sofferenza dei metalli preziosi potrebbe acuirsi.

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