mercoledì 19 giugno 2013

Karzai: “Usa e talibani vogliono destabilizzare l’Afghanistan”

di: Ferdinando Calda
f.calda@rinascita.eu

Proprio mentre il segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel, si trovava in Afghanistan per la sua prima visita, il presidente afgano Hamid Karzai se ne è uscito con una delle sue dichiarazioni al vetriolo contro le truppe statunitensi e i talibani. Questa volta insorti e occupanti sono stati accusati di portare avanti la medesima strategia, volta a destabilizzare il Paese per i propri interessi. Accusa smentita da entrambi e che ha infastidito notevolmente Washington, che ha cancellato la prevista conferenza stampa congiunta di Hagel e Karzai.
“L’obiettivo degli attentati dei talibani – ha tuonato Karzai durante un intervento televisivo di domenica – è quello di fare gli interessi degli stranieri e di sostenere la presenza degli stranieri in Afghanistan e di mantenerli nel Paese, intimidendoci”. Commentando gli attentati del giorno prima a Kabul e Khost, che hanno causato una ventina di vittime fra cui otto bambini, Karzai ha insinuato che talibani e Stati Uniti stanno portando avanti negoziati bilaterali in Qatar, escludendo di fatto il governo afgano da ogni trattativa e decisione. “I talibani parlano con gli Usa quotidianamente, ma poi bombardano Kabul e la provincia di Khost con l’idea di mostrare agli statunitensi la loro forza. Ma non è così. Le bombe di ieri – ha spiegato Karzai – non servono a mostrare forza agli Usa, ma a favorirne i disegni, danneggiando il popolo afgano”.
Secondo il presidente afgano, infatti, le truppe internazionali avrebbero tutto l’interesse a mantenere la loro presenza anche dopo il 2014, data fissata per il ritiro, indipendentemente dalla volontà del governo di Kabul. “Il loro slogan per il 2014 è metterci paura, farci credere che senza la loro presenza il nostro popolo sarà eliminato”, ha dichiarato Karzai, che ha criticato gli Stati Uniti anche per l’ennesimo rinvio del passaggio di consegne del carcere di Bagram.
Accuse pesanti, che hanno scatenato la reazione di talibani e statunitensi. Il portavoce dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, Zabihullah Mujahid, ha bollato come “false” le affermazioni circa la ripresa delle trattative dirette tra talibani e Usa. “Tutto è ancora bloccato dopo la sospensione di un anno fa”, ha ricordato. Anche da Washington hanno assicurato che gli Usa vogliono favorire il dialogo inter-afgano, senza volersi sostituire al governo di Kabul nei negoziati di pace.
Il generale Joseph Dunfurd, comandante delle forze Nato in Afghanistan fresco di nomina, ha definito “totalmente false” le insinuazioni di Karzai: “Non abbiamo ragioni per accordarci con i talibani, non abbiamo motivi per alimentare l’instabilità in Afghanistan”, ha dichiarato, ricordando il “troppo sangue versato negli ultimi 12 anni” dalla coalizione internazionale.
A Washington assistono con crescente fastidio alle dure alzate di testa di Karzai, che gli stessi Stati Uniti contribuirono a mettere (e mantenere) al potere. La principale spiegazione è che il presidente afgano utilizzi una sorta di doppio registro: uno con i propri alleati (e protettori) statunitensi, e un’altro con l’opinione pubblica afgana, alla quale dovrà rendere conto una volta ritirate le truppe straniere. “Il presidente Karzai non mi ha mai detto che gli Stati Uniti sono collusi con i talibani. Quindi non mi spiego cosa lo abbia portato a fare quelle dichiarazioni”, ha commentato il generale Dunfurd.
Più comprensivo si è dimostrato il segretario Usa Hagel, che dopo aver cancellato la conferenza stampa congiunta per imprecisate questioni di sicurezza, ha incontrato Karzai in privato. “Sono consapevole che ci sono questioni difficili per il presidente Karzai e per il popolo afgano”, ha dichiarato Hagel, che ha aggiunto: “Sono stato anche io un politico, e quindi comprendo il tipo di pressioni che soprattutto i capi di Stato devono sopportare”.
Un modo diplomatico per dire che gli Stati Uniti considerano le proteste di Kabul sulle vittime civili della Nato o sull’operato delle forze speciali Usa alla stregua di semplici proclami elettorali ad uso e consumo dell’opinione pubblica afgana.
 
 
La Guantanamo afgana
Il controverso penitenziario all’interno dell’aeroporto militare di Bagram, anche noto come Centro di detenzione di Parwan, ha acquistato la triste nomea di “Guantanamo afgana” dopo diverse testimonianze di abusi e torture sui prigionieri. A partire da settembre scorso, tutti i circa tremila detenuti della struttura sarebbero dovuti passare sotto la giurisdizione afgana, ma da Washington hanno ritardato il trasferimento completo volendo mantenere sotto il proprio controllo i soggetti ritenuti pericolosi per gli Usa. La scorsa settimana Karzai aveva annunciato davanti al Parlamento un prossimo decreto per ordinare “l’immediata liberazione degli innocenti” ancora rinchiusi nelle carceri militari Usa. “Dopo il 9 marzo non ci saranno più afgani sotto custodia statunitense”, aveva assicurato il portavoce presidenziale Aimal Faizi. Sabato, però, il trasferimento completo è stato nuovamente rinviato per non meglio precisati “impedimenti”.


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