mercoledì 26 giugno 2013

ARRESTATO LAMOTTA L’EX N.2 DEI SERVIZI SEGRETI ITALIANI. AVEVA FATTO SPARIRE 10 MILIONI DI EURO ! 

ADG_LamottaA finire in manette sono stati in quattro. L’inchiesta capitolina riguarda la gestione dei Fondi del Viminale: le accuse sono di peculato e falsità ideologica. Un’inchiesta parallela a Napoli lo vede indagato per associazione a delinquere e rivelazione del segreto d’ufficio. Il giudice nell’ordinanza: “Rischio di reiterazione del reato e di inquinamento delle prove”. Indagata per peculato anche dirigente degli Interni. Alfano: “Il ministero è parte lesa”
di MARIA ELENA VINCENZI
Peculato e falsità ideologica. Con queste accuse sono stati arrestati dai Carabinieri del Ros stamattina il prefetto Francesco La Motta e l’ex banchiere Klaus George Beherend. Altre due ordinanze di custodia in carcere sono state notificate ai broker Eduardo Tartaglia e Rocco Zullino, già arrestati dalla procura di Napoli.  Ed è proprio dalla Campania che sono arrivati gli atti ai Pm romani: la vicenda dei soldi rubati dalle casse del Viminale attraverso il Fec (fondo per gli edifici di culto attraverso il quale il ministero dell’Interno gestisce un enorme patrimonio artistico) era di competenza della capitale. Il Pm Paolo Ielo e i militari hanno continuato le indagini e accertato che, grazie a La Motta, direttore del Fec dal 2003 al 2006 quando è stato nominato vice direttore di quello che ora è l’Aisi, il servizio segreto civile, sarebbero spariti nel nulla circa 10 milioni di euro, transitati su conti svizzeri.
La Motta avrebbe affidato l’investimento a Zullino, collaboratore di Tartaglia, a sua volta parente di La Motta. Quanto al banchiere Beherend, secondo i Ros e i carabinieri di Napoli che stanno svolgendo le indagini, è lui che avrebbe redatto i piani di investimento dei Fondi in collegamento con Tartaglia. Stamattina all’alba, gli arresti. Risulta invece indagata Rosa Maria Frisari, della ‘Direzione centrale per gli affari generali e per la gestione delle risorse finanziarie e strumentali‘ del Viminale. Alla donna viene contestato il reato di peculato. La donna avrebbe messo  la propria firma su vari atti di svuotamento del conto’ acceso presso una banca in Svizzera. Altre volte, secondo il giudice, era La Motta a mettere “la propria firma su analoghi atti, non come ‘quisque de populo’ bensì nella sua qualità di prefetto, ancora di fatto legittimato a disporre del conto de quo, nonostante nel frattempo avesse lasciato il Fec per passare ad altro incarico”. A tirare in ballo nella vicenda la Frisari è stato Zullino, che nel corso di un interrogatorio agli inquirenti di Napoli, raccontò dell’attività svolta dalla donna.
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L’inchiesta napoletana. La Motta risulta indagato anche in un’inchiesta parallela condotta dalla Direzione antimafia della Procura di Napoli per associazione per delinquere e rivelazione di segreto di ufficio, sulla base di dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Secondo un pentito, avrebbe offerto coperture a imprenditori e fornito informazioni sulle indagini in corso, nonché tentato di ostacolare le inchieste ”silurando” un magistrato della Procura. Nel verbale in particolare si chiama in causa La Motta su presunte ‘soffiate‘ alla camorra. Secondo il collaboratore di giustizia il prefetto aveva avvertito esponenti del clan Polverino che erano sotto indagine ma loro si erano riuniti lo stesso in un summit e la polizia li aveva scoperti suscitando la rabbia di La Motta. ”Ci disse: ‘Ho sistemato le carte e questa è l’ultima volta”’, racconta il pentito.
Esaminando l’agenda di La Motta, sequestrata insieme con una rubrica dai Carabinieri del Ros, i magistrati napoletani avrebbero inoltre scoperto che l’ex prefetto avrebbe incontrato con cadenza quasi settimanale broker della camorra. I magistrati napoletani si sono imbattuti in La Motta seguendo i soldi del clan Polverino e in particolare un investimento di 7,2 milioni legato alla realizzazione di un grosso centro commerciale in provincia di Napoli. Questi soldi sarebbero finiti nell’istituto svizzero Hottinger. L’operazione sarebbe stata seguita da Tartaglia eZullino, arrestati e ascoltati il 13 maggio dai pm napoletani Antonio Ardituro e Marco del Gaudio.
L’ordinanza del gip. Una indicibile beffa per i cittadini che in una epoca di necessaria austerità’‘ devono ‘‘apprendere dai giornali che i soldi pubblici gestiti da un ministero, quello degli Interni, erano andati a confluire su un fondo” all’estero. Questo il giudizio contenuto in un passaggio dell’ordinanza di custodia cautelare. Nelle sue 25 pagine il gip definisce di ”eccezionale gravità” la condotta dell’ex prefetto. L’alto rappresentante dello Stato ”ha asservito – scrive il gip – la funzione pubblica ad interessi privati”. Nel provvedimento viene citata anche una circostanza in cui La Motta ”nel corso di una perquisizione si è avvalso della presenza e collaborazione degli attuali responsabili dell’ufficio legale e capo di gabinetto dell’Aisi’‘.
La Motta, infine, era in attesa di un ulteriore incarico e al telefono, stando al gip che cita una intercettazione, ‘‘si rammaricava delle indagini in corso’‘, ad esempio con un funzionario del Minstero dell’Interno, Ferdinando Esposito, figlio di Vitaliano – ex procuratore generale della Cassazione – e attualmente garante per il rispetto dell’Aia all‘Ilva di Taranto.
Scrive, dunque, il gip: ”Pur in assenza di ulteriori comunicazioni che possano indurre anche solo ad ipotizzare che il cercato contatto con la persona che si suppone essere il presidente di sezione della Corte di Cassazione Antonio Esposito, padre di Ferdinando, sia andato a buon fine, occorre evidenziare come il tenore della conversazioni e l’immediatezza con cui l’ex prefetto viene ricontattato la dicono lunga” sui rapporti di La Motta con ‘‘appartenenti ad apparati dello Stato e sulle più che concrete possibilità per lo stesso di inquinare le indagini’‘.
Secondo Di Lauro è reale anche, per La Motta come per gli altri tre arrestati, il pericolo che gli indagati “commettano ancora gravi delitti”. A parere del giudice le “modalità dell’azione criminosa sono rivelatrici di una indole criminale mantenutasi inalterata negli anni”. Per il giudice appare “notevole e significativa la pericolosità sociale di tutti gli indagati nonostante lo stato di incensuratezza degli stessi. Pericolosità che può essere fronteggiata solo con la misura della custodia in carcere“.
Collusione e regali al Fec. Inoltre, sempre nel testo dell’ordinanza, si legge come sia ”del tutto probabile che vi siano state collusioni con altri pubblici ufficiali organici” al Fondo edifici di culto del Viminale, ‘‘essendo del tutto inverosimile che nessuno si sia accorto di nulla per svariati anni”.
Non solo perché in occasione delle festività, alcuni “solerti consiglieri” del Fec del ministero dell’Interno avrebbero ricevuto regali e biglietti di auguri che avevano lo scopo di “ingraziarseli” e “dissuaderli dall’iniziativa di chiudere il conto” presso la banca svizzera, “nell’evidente timore che si scoprissero i milionari ammanchi” dal Fondo edifici di culto. La vicenda è ricostruita dal gip con le intercettazioni dei Carabinieri di Napoli.
“Relazione del ministero solo dopo la diffusione sui giornali”La relazione del Viminale sulla gestione dei fondi del Fec è arrivata alla procura “solo dopo che i mass media avevano dato ampio risalto” alle indagini, scrive il Gip di Roma nell’ordinanza d’arresto sottolineando che “sia pure a distanza di ben sette anni” dall’instaurazione dei rapporti tra il Fec e la banca svizzera, “un organo del Ministero dell’Interno finalmente si assume la responsabilità di stigmatizzare” questi rapporti.
Nell’ordinanza il gip scrive che la Commissione ministeriale è stata istituita con decreto il 5 aprile 2013 e ha trasmesso alla procura la relazione sulla gestione del conto aperto dal Fec presso la banca Hottinger il 20 maggio scorso. “La Commissione – si legge - ha precisato che il Fec non può assolutamente intrattenere a norma di legge un conto corrente bancario e, soffermandosi sulla gestione dei capitali acquisiti a qualsiasi titolo dal Fec, ha chiarito che qualsivoglia reinvestimento deve avvenire previo versamento dei capitali nel conto corrente infruttifero acceso presso la tesoreria centrale e successiva emissione di un mandato di pagamento“. Nell’informativa della polizia giudiziaria del 30 maggio si evidenzia invece che “il conferimento alla Hottinger è avvenuto tramite bonifici disposti dall’ufficio italiano cambi (fino al 3 dicembre 2007) e dalla Banca d’Italia – ufficio rapporti con il tesoro, che venivano autorizzati, con i medesimi decreti dirigenziali, al trasferimento del denaro imputando la spesa alla tesoreria generale dello stato nel capitolo 501 dello stato di previsione della spesa del Fec per l’anno finanziario di riferimento“.
Alfano: “Parte lesa”. ”Il ministero dell’Interno è parte lesa nei crimini e nelle responsabilità che vengono addebitate al prefetto Francesco La Motta e si augura che la magistratura vada fino in fondo” ha commentato intanto il ministro dell’Interno Angelino Alfano a margine della Conferenza dei Prefetti.
* articolo tratto dal quotidiano LA REPUBBLICA
http://www.adgnews24.com/2013/06/15/arrestato-lamotta-lex-n-2-dei-servizi-segreti-italiani-aveva-fatto-sparire-10-milioni-di-euro/

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