mercoledì 19 giugno 2013

Afghanistan. Dopo il fallimento militare, tocca alla propaganda 


di: Ferdinando Calda
f.calda@rinascita.eu

La mancanza di progressi della Nato nell’arginare la violenza in Afghanistan “non lascia presagire nulla di buono” e c’è l’alto rischio che il Paese “sprofondi in una guerra civile nel giro di pochi anni”. Di conseguenza, considerando che il futuro dell’Afghanistan è ormai quasi completamente nelle incerte mani afgane, ai membri della Coalizione internazionale non resta che cercare di presentare la loro partenza – dopo oltre un decennio di morti, uccisioni e sacrifici – come un ben riuscito “processo di transizione” invece che come un “faticoso ritiro”. Insomma: fallito il tentativo di esportare democrazia con le armi, ora bisogna fare affidamento sulla propaganda per cercare di salvare – almeno – la faccia. È questa la conclusione a cui sono arrivati i membri della commissione Difesa della Camera dei Comuni britannica, che ieri hanno presentato un rapporto per mettere in guardia il governo sui rischi connessi al ritiro dall’Afghanistan. “La visione che l’opinione pubblica si farà, sia in Afghanistan che in Gran Bretagna, in merito ai risultati della missione Nato e della partecipazione britannica – scrivono i deputati – è un elemento fondamentale nel successo o nel fallimento finale”. Infatti, se lo scopo della contro-insorgenza è di conquistare “i cuori e le menti”, di conseguenza “la comunicazione strategica delle attività e dei risultati della missione è tanto importante quanto i combattimenti stessi”. In pratica, considerando che ad oggi “esiste un 50% di possibilità che l’Afghanistan sprofondi in una guerra civile” (parole del conservatore James Arbuthnot, presidente della Commissione Difesa, alla Bbc) e che la capacità di evitarlo non è più nelle mani della comunità internazione, è quindi vitale che la partenza delle truppe Nato “sia vista come una transizione e non come un ‘faticoso ritiro”. Il problema, però, è che il ritiro non sarà comunque facile. E questo lo sanno anche i deputati, che affermano di non credere alle rassicurazioni del governo. “Siamo convinti che il ritiro delle truppe non sarà così semplice o privo di rischi come ci dicono dal ministero della Difesa”, si legge nel rapporto dei membri della Commissione, che si lamentano anche delle informazioni “molto scarse” ricevute sui progetti del ministero della Difesa e del Foreing Office in Afghanistan dopo il 2014. Il fatto è che neanche al ministero non hanno le idee molto chiare su quello che succederà in Afghanistan dopo il ritiro. Come ha riconosciuto lo stesso ministro della Difesa Philip Hammond (foto). “Riconosco che nessuno può dire con certezza quale sarà il futuro per l’Afghanistan”, ha dichiarato il ministro a un programma radiofonico della Bbc, spiegando che quella afgana “è una società incredibilmente complessa” e “la nostra capacità di influenzare i risultati è molto limitata”. Un’ammissione sicuramente poco felice dopo più di undici anni di guerra e oltre tremila morti tra i soldati internazionali. Rispondendo ai timori dei deputati sull’inefficienza del corrotto governo di Kabul e le mancanze delle forze di sicurezza afgane (specialmente per quanto riguarda gli elicotteri, il supporto aereo e l’assistenza medica), Hammond ha riconosciuto che nel Paese permane “un’enorme livello di corruzione”, insieme ad altri “enormi problemi”. Tuttavia il ministro sostiene anche che le forze di sicurezza afgane – che secondo le sue ottimistiche stime arriverebbero già a 350mila effettivi – hanno compiuto “progressi molto significativi”, arrivando a guidare “l’ottanta per cento delle operazioni” sul terreno. Il tutto condito con l’evergreen secondo cui la missione Nato è servita soprattutto a colpire il “terrorismo internazionale che usava l’Afghanistan come base per attaccare gli interessi occidentali”. Come se i talibani afgani fossero mai stati coinvolti (o anche solo interessati) in complotti terroristici fuori dal Paese. Ma forse era a dichiarazioni come queste che si riferivano i membri della commissione Difesa della Camera quando hanno parlato di “piccoli segni che la strategia di comunicazione del governo sta raggiungendo gli obiettivi”. Peccato che difficilmente la propaganda occidentale salverà gli afgani dal cupo futuro che si prospetta loro. 

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=20241

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