lunedì 15 aprile 2013

Situazione e lotte dei popoli indigeni in Venezuela


Situazione e lotte dei popoli indigeni in Venezuela - Prima parte

Popolazioni indigene in Venezuela
Questa raccolta di articoli -che vanno dal 2001 al 2010, dal titolo "Situaciòn y luchas de los pueblos indìgenas en Venezuela", sono apparsi nel giornale El Libertario e ripropongono comunicati, articoli di denuncia e riflessioni fatte sul tema delle popolazioni indigene. 
E' un modo per ricordare che il PSUV, da quando è al governo, ha avuto un rapporto ambiguo verso la popolazione povera e indigena del paese. Anche se Chavez è morto, il sistema creato e rinnovato da lui e dal PSUV, resisterà al collasso del partito stesso
Tale lettura deve essere integrata con quella contenuta nell'altra raccolta di articoli di El Libertario, ovvero "Ecología, Anarquismo y luchas ambientales en Venezuela" (gli articoli contenuti vanno dal 1996 al 2011).



-La V Repubblica contro gli indigeni

Articolo scritto da Silviano Castro il 3 Gennaio del 2001 e apparso nel numero 21 del Periodico El Libertario (Febbraio-Marzo 2001)

Io, Silviano Castro, titolare della carta di identità n° 10.006.424, domiciliato nella comunità indigena Pemón di San Rafael de Kamoiran, comune di Gran Sabana (Stato di Bolivar), come capo della comunità di San Rafael de Kamoiran e che rappresento me stesso, dichiaro quanto segue:

Il 27 dicembre 2000 alle 10:30 pm, un gruppo di circa 40 soldati incappucciati, hanno circondato la mia casa nella comunità di San Rafael de Kamoiran, e vedendo che non c'era nessuno, se ne erano andati; il giorno successivo, 28 Dicembre, sono apparsi di nuovo alla stessa ora, senza essere incappucciati. Sono stati interrogati dai membri della comunità su queste azioni, ed essi hanno risposto che erano dei poliziotti di confine ed erano in giro per motivi di sicurezza; tuttavia, un militare Pemón che faceva parte del gruppo, ha detto che il suo ruolo era quello di catturare gli indigeni che volevano abbattere le torri.

Il 29, verso l'1:00 a.m., si sono nuovamente avvicinati alla comunità: questa volta, i ragazzi della comunità hanno visto due automobili Toyota della compagnia elettrica (ABB), che si erano appostati all'ingresso alla comunità per vedere chi si stava avvicinando. A quel punto, i ragazzi si sono dispersi in direzioni diverse. Uno di loro, Juan Ramon Lezama della comunità di San Rafael de Kamoiran, 22 anni, la mattina seguente, ha dichiarato di essere stato picchiato da due poliziotti: prima l'hanno afferrato per il collo e ha perso i sensi dopo una breve resistenza, e, appena si era ripreso, aveva provato a correre mentre i due poliziotti lo inseguivano. E' rimasto impigliata nel filo spinato ed è rimasto lì. Juan ha vari tagli e lividi sul collo, braccia e gambe.

Situazioni simili si ripetono ogni notte: i militari -il cui numero e l'ora di arrivo varia-, giungono nella comunità di San Rafael de Kamoiran, trasportati dai veicoli della compagnia elettrica; fanno il giro attorno alla comunità per circa mezz'ora e poi vanno via. Se durante questo tour vedono qualsiasi Pemón, lo prendono e lo interrogano su ciò che sta facendo, ordinandogli di tornare a casa sua; se un Pemón trasporta uno strumento di lavoro, come un coltello o una Bacula, gli viene confiscata.

Questi eventi sono iniziati dopo il 26 dicembre, giorno in cui le truppe comandate dal generale Hidalgo sono arrivate nella comunità di San Rafael de Kamoiran con l'intenzione di dare cibo alla comunità. Questi doni sono stati respinti dai membri della comunità sulla base del fatto che si trattava di un modo per neutralizzare la lotta che queste comunità mantengono contro la compagnia elettrica brasiliana -la quale opera nella regione-; ma il generale Hidalgo ha sostenuto che non vi era alcun legame tra il portare il cibo e il neutralizzare la lotta. Nonostante questo, la comunità di San Rafael de Kamoiran ha respinto la distribuzione di cibo.

I fatti raccontati qui, comportano la violazione del diritto all'integrità fisica (art. 46 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela) come avvenuto verso il giovane Juan Ramon Lezama -aggredito senza motivo-, e la violazione dell'integrità mentale e morale (articolo 46 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela) dell'intera comunità di Kamoiran, la quale è stata minacciata e vessata dai militari. Inoltre è stato violato il diritto di proprietà (art. 115 della Costituzione), eseguita l'espropriazione dei nostri strumenti di lavoro e il diritto alla libera circolazione (articolo 50 della Costituzione), costringendoci a entrare nelle nostre case quando essi gli pareva e piaceva.

Tutto questo accade nel nostro territorio e influisce sulla nostra vita quotidiana, sulla nostra cultura e sulla nostra sicurezza. Pertanto, è anche una violazione dei diritti dei popoli indigeni garantiti dalla nuova Costituzione (articoli 119 e 121)

Come presentato qui, sollecito i seguenti punti:
a) che venga aperta un'indagine su questi abusi
b) che si puniscano i funzionari responsabili
c) che si ordini la smilitarizzazione del nostro territorio
Cordiali saluti,

Silviano Castro, Capo di San Rafael de Kamoiran. C.I. 10006424
Indirizzo: comunità indigena pemón di San Rafael de Kamoiran, comune Gran Sabana, Stato di Bolivar.

-Il "confronto" per un pemón
Articolo scritto da Anna Ponte e pubblicato nel numero 22 de Periodico El Libertario (Aprile-Maggio 2001)

Ho appena parlato con Silviano Castro, il leader della comunità indigena di San Rafael de Kamoiran (Parco nazionale di Canaima). Mi ha raccontato la seguente: Le comunità di Vista Alegre e Kamoiran hanno presentato una denuncia nei giorni scorsi contro le nuove installazioni militari (dell'Esercito) nel Parco Nazionale di Canaima. Presumibilmente, a seguito di una denuncia, il generale aveva dato l'ordine di smantellare questi post.

Ma il Martedì 20 di questa settimana, non era stato rimosso nulla, e la comunità di Vista Alegre aveva deciso di chiudere la strada in segno di protesta. Silviano li aveva tranquillizzati, dicendo che i militari avrebbero chiesto un giorno in più per il ritiro delle truppe.
Il giorno dopo, Mercoledì, la comunità indigena si era resa conto che l'esercito stava tagliando del legname dalla foresta per costruire le palizzate del presidio militare; così la comunità di Kamoiran aveva deciso di andare a parlare il giorno dopo, Giovedi, per chiedere le motivazioni sul perchè non avessero sgomberato il posto.
Giovedì, quando i membri della comunità erano pronti ad andare a parlare con i militari, avevano incontrati alcuni agenti del DISIP. Silviano aveva parlato con loro e, dopo aver spiegato quello che stava accadendo, aveva chiesto a loro di accompagnare gli indigeni verso il presidio.

La comunità era uscita (a piedi), mentre gli agenti del DISIP avanzavano dentro le loro auto ed erano stati davanti al corteo; Silviano aveva deciso di seguire il tutto sul suo veicolo, accompagnato dalla moglie Teide. Inoltre, aveva deciso di portare con se una videocamera.

Quando erano arrivati vicini al presidio militari, erano stati accolti da lacrimogeni e pallottole usate per la caccia: il corteo era stato disperso e un membro della comunità e un militare sono rimastati feriti (quest'ultimo era rimasto ferito al collo da un proiettile sparato dai suoi stessi compagni, in quanto nessun indigeno era armato con armi da fuoco).
L'indigeno ferito era stato portato in ospedale a Santa Elena de Uairén, il quale era stato arrestato e ammanettato fino al giorno successivo, senza che egli poteva lasciare l'ospedale, come l'infermiera che ha curato indigeni i feriti. Il soldato ferito, invece, era stato portato in Luepa forte.

Silviano era stato colpito mentre cercava di prendere la videocamera, ma era stato arrestato sul posto senza mandato. Durante l'interrogatorio, Silviano si era opposto all'arresto in quanto non aveva commesso alcun reato e non vi era nessun mandato da parte del tribunale. A questo punto, gli hanno riferito che il comandante di Fort Luepa voleva parlare con lui. Silviano ha accettato di parlare con costui. Mentre andava verso Luepa, è stato intercettato in un luogo chiamato Oso, dove non vi è segnale dei cellulari, da alcuni militari e della società elettrica ABB. Essi gli hanno detto che non poteva comunicare con chiunque e doveva continuare ad andare a Luepa in un altro veicolo; Silviano si è rifiutato e questi lo hanno minacciato di morte. Ha poi proseguito con la sua auto a Luepa per parlare con il comandante dell'esercito. Lungo la strada, si è fermato in una locanda di Kamoiran per poter telefonare al suo avvocato. Fatto questo, si è diretto verso Luepa.

Appena arrivato, viene arrestato e detenuto con la forza dai militari (il tutto in maniera illegale) di Fort Luepa. Il mattino dopo (ovvero ieri, Venerdì 23 marzo), lo hanno portato a Ciudad Bolivar, precisamente nella sede del V° Battallòn de Infanterìa, dove Silviano si è rifiutato di testimoniare davanti al procuratore militare, chiedendo la presenza del pubblico ministero e del suo avvocato data l'illegittimità di tale circostanza.

Cercano di fargli firmare una dichiarazione d'accusa, ma lui mantiene la sua posizione.
Finalmente, interviene il pubblico ministero che lo lascia andare.

Quella notte stessa, è andato a dichiarare alla Policía Técnica Judicial le violenze subite, prima che il medico potesse prendere atto delle percosse e dei maltrattamenti che Silvaino aveva subito. Questa mattina, sarà testimoniare davanti al Tribunale Civile di Ciudad Bolivar.
Questo è tutto per ora.

Le mie domande sono:
1) Il ruolo della polizia politica (DISIP) nel Parco nazionale di Canaima è quello di istigare l'esercito e le comunità indigene?
2) L'esercito è responsabile del controllo in un Parco Nazionale? Per quanto ne so, è la Guardia Nazionale a occuparsi del controllo -la quale Guardia ha a che fare con i civili e sono consapevoli del loro quadro giuridico.
3) Perché l'esercito teneva i gas lacrimogeni? Eppure non era avvenuta alcuna violenza nella regione.
4) Quale sarà la reazione di tutte le comunità indigene pemonas dell'area di fronte a questa violenza?
5) Le linee elettriche proposte dal Brasile sono più importanti della vita delle comunità indigene?


Situazione e lotte dei popoli indigeni in Venezuela - Seconda parte



 -Dichiarazione dei Kamoirán ai popoli del mondo
Comunicato scritto dalla Comunità pemòn de la Gran Sabana e apparso nel numero 22 del Periodico El Libertario (Aprile-Maggio 2001)

Noi, membri delle comunità indigene pemón di San Rafael de Kamoiran, Vista Alegre, Warpatá, Kama-Meru, San Luis de Awarkaray, Iwo-Riwo e Mare-Paru, accompagnati da amici e alleati provenienti da altre parti del Venezuela, DOMANDIAMO imperiosamente la solidarietà di tutti i popoli del mondo, per affrontare un massiccio piano di sterminio attuato dal capitale multinazionale minerario -in complicità tra gli Stati venezuelani e brasiliani-, che nel breve e medio termine rischia di distruggere l'ambiente e la sede della nostra antica cultura e lingua.
Questo megaprogetto di etnocidio e di ecocidio è fatta dall'interconnessione elettrica tra Venezuela e Brasile -nota all'opinione pubblica internazionale con il nome di collegamento elettrico.

È necessario notare che il pericolo maggiore non è nemmeno tale struttura fantasmagorica, ma l'alimentazione elettrica di un ampio complesso industriale. Lo dimostrano i documenti firmati dai due paesi: Convenio de Cooperación y Amistad, Protocolo de La Guzmania, Memorándum de Entendimiento para el Suministro de Energía Eléctrica, el Estudio de Impacto Ambiental. Questo non è altro che lo sfruttamento, estensivo ed intensivo dell'estrazione mineraria, del turismo su grande scala, dello sfruttamento delle foreste; in un'ecosistema altamente sensibile e di vitale importanza come la Selva di Imataca e la Gran Sabana, che formano gran parte del polmone circunamazzonico del nostro pianeta, e in nessun modo deve essere svuotato. Piuttosto, si deve rendere un patrimonio insostituibile per il genere umano di cui noi, popolo Pemón, siamo stati gli alti e garanti fedeli.

Questo sviluppo faraonico attira inevitabilmente centinaia di migliaia di persone, la cui presenza porterebbe alla spoliazione e al degrado delle nostre terre ancestrali senza il quale non potremmo continuare ad esistere come popolo e come cultura. Sarebbe la fine della nostra storia: è già successo con le altre popolazioni autoctone del nostro e di altri paesi.
Con un immenso sforzo per evitare questa tragedia, imminente per noi e per l'umanità, abbiamo formalmente richiesto più volte che lo stato venezuelano riconsideri l'interruzione di questa nefasta opera.
Abbiamo sempre ricevuto come risposta l'incomprensione, lo scherno e la repressione. I più alti funzionari del governo nazionale continuano a proclamare che "il progetto va avanti". Mancano meno di cento chilometri per completare il lavoro e il governo brasiliano reclama costantemente il completamento. Prima di tutto questo, lo stato venezuelano appella alla militarizzazione e all'imposizione dello stato di emergenza nella zona.

Di fronte a tale emergenza, noi contiamo sul sostegno, sulla solidarietà, sulla comprensione e sulla saggezza della comunità internazionale affinchè si unisca a noi con decisione e in molti modi per combattere questa lotta impari ed evitare un etnoecocidio mostruoso che potrebbe rivolgersi contro altri popoli del mondo.
Abbasso il regime di globalizzazione neoliberista!
La Gran Sabana, 21 febbraio 2001

-L'etnocidio dei Warao
Articolo scritto da Carlos Beas e apparso nel numero 22 del Periodico El Libertario (Aprile-Maggio 2001)

Il popolo Warao abita da secoli la foce del fiume Orinoco, nello stato venezuelano di Delta Amacuro. Durante il periodo coloniale, sono stati sfrattati con la forza dalle missioni spagnole; nel XX° secolo, i cappuccini introdussero nuove tecniche agricole, modificando in parte i modelli culturali di questo popolo.
Nel 1963 iniziò la costruzione di una diga-strada per collegare la zona petrolifera di Tucupita (la capitale dello stato) con la popolazione di Barrancas del Orinoco, chiudendo i canali di Mánamo, Manamito e Pedernales. Questa opera era stata richiesta dalla Corporación Venezolana de Guayana (CVG). Con l'apertura di questa strada, iniziò un intenso sfruttamento delle foreste di palma, oltre a realizzare enormi coltivazioni di riso e la relativa deforestazione. I colonizzatori utilizzarono gli indigeni come manodopera a basso costo oltre ad espellere violentemente le comunità Warao. Con la chiusura del Mánamo, si è cercato principalmente di alterare il drenaggio naturale del fiume Orinoco e quindi canalizzare ingenti volumi di acqua a Boca Grande. Ciò ha consentito ad un maggiore flusso di navigazione alle navi che trasportavano il ferro estratto dalle imprese Orinoco Mining e Iron Mining.
La chiusura del Mánamo, la costruzione della strada e il canale di navigazione sono state effettuate dalla società americana Tippets-Abbett-McCarthy-Stratton, che ha causato un impatto negativo sulla vita dei Warao, dato che la chiusura del flusso del fiume ha provocato, con l'ingresso dell'acqua del mare, un processo di salinizzazione nella terra circostante che ha gravemente colpito le attività agricole, oltre a far scomparire la pesca, aumentare l'inquinamento -a causa delle acque stagnanti- e la morte di centinaia di indigeni.

Tutto questo ha fatto scomparire ben 21 comunità Warao. Di fronte alla fame, centinaia di indigeni sono fuggiti nelle città vicine: e qui vivono in condizioni deplorevoli. Secondo l'ingegnere Germàn Álvarez (del gruppo ecologista GIDA di Caracas), le alternative a questa problematica hanno peggiorato le cose, a causa della gravità della situazione: "nel 1966, la CVG ha realizzato una costruzione che permette la circolazione dell'acqua: tutto questo è stato costruito con canali di drenaggio che, nel corso del tempo, hanno eliminato l'umidità del terreno, causando l'ossidazione del terreno argilloso. La presenza di pirite ha determinato l'apparazione di tracce di acido solforico, il quale ha danneggiato e colpito più di 100.000 ettari. Le acque acide hanno causato un'enorme moria di pesci."

Per l'ingegnere Alvarez, nel Mánamo è stato commesso "il più grande crimine ecologico nella storia del Venezuela." Il paradosso è così estremo in queste terre che Tucupita -che si trova nel bacino di uno dei più grandi fiumi del mondo-, soffre di mancanza di acqua potabile per il consumo umano. Ma il dramma non è finito. Nel 1993, la PDVSA (l'azienda petrolifera di Stato) ha firmato un accordo per lo sfruttamento petrolifero con la British Petroleum, la quale ha iniziato a lavorare nella zona di Pedernales nel 1994.

Gli effetti si sono fatti sentire nella vita di questo comune di 3.000 abitanti, molti dei quali sono discendenti dei Warao, portando ad un aumento dei prezzi di circa il 100% per i prodotti di prima necessità.
Tre anni fa ho visto in televisione alcune immagini che mi hanno colpito. Era una famiglia di indigeni venezuelani in fuga dalla loro terra e alla ricerca di acqua e cibo. Ora so che questo posto esiste, che si trova nel delta dell'Orinoco, in una terra che quasi 40 anni fa era il paradiso, oggi è solo un nuovo deserto industriale.

Le profezie che fecero quattro decenni fa gli sciamani Warao, si stanno avverando. 


Situazione e lotte dei popoli indigeni in Venezuela - Terza Parte



-Silviano Castro (Intervista): “etapöntök rö etömo” [“la lotta continua”]
Articolo scritto da Any Alarcòn e apparso nel numero 25 del Periodico El Libertario (Novembre-Dicembre 2001) 
E' un peccato che a volte, le parole non sono sufficienti per esprimere tutto l'amore e l'ospitalità degli indigeni. Siamo arrivati ​​alle 04:00 del mattino, e dopo aver percorso un percorso accidentato, con le mani aperte e il cuore pieno di desiderio e di domande, siamo stati accolti da Ramon, che, senza saperlo, ci ha portato a casa sua. Oggi, in una città così confusionaria come Caracas, siamo tornati con un impegno più forte e con la speranza nei nostri pugni per condividere con tutti la certezza di questa possibile utopia.
Silviano Castro è un indigeno pemón, capo e membro della comunità di San Rafael de Kamoiran. Insieme alla comunità, hanno portato avanti varie azioni legali e di altro tipo diretti contro le linee elettriche che dovranno passare da lì fino al Brasile. Ha assunto la leadership semplicemente come portavoce perché pensa che sono le comunità, tramite assemblee, a dover prendere le decisioni. Così oggi, raccogliamo la sua esperienza.

Nel 1996 avevano iniziato una lotta contro la Turisur, una società turistica che voleva costruire un resort nella Gran Sabana. Nella lotta contro questo complesso turistico, gli indigeni avevano scoperto che il governo aveva approvato, col decreto 1850, la legalizzazzione mineraria della Sierra de Imataca e il progetto elettrico col Brasile. Gli indigeni sono riusciti a fermare tale decreto e anche a fermare la costruzione del complesso turistico. Qui vi sono le esperienze raccontate dalla popolazione che lotta per la sua unità culturale e la resistenza alle imposizioni stataliste e commerciali di ogni genere.

-Com'è iniziata la lotta contro la linea elettrica?
Nei viaggi per protestare contro Turisur, siamo venuti a conoscenza del decreto 1850. Dei lavoratori hanno iniziato a mettere dei paletti e la gente si chiedeve "che cos'è?". La risposta è stata: "è per una nuova strada che presto verrà costruita". I ragazzi sono andati giù per la strada levando i pali e spostando i vertici; da lì sono iniziati i problemi perchè i lavoratori si sono cominciati a lamentare e sono arrivate delle minacce ai ragazzi. Ci siamo riuniti e abbiamo detto: "vediamo cosa vogliono fare con quei pali e questi vertici"; poi, alcune persone che lavorano in EDELCA, ci hanno detto che stavano per costruire le linee elettriche per il Brasile. Abbiamo sollecitato che ci informassero ufficialmente di questa decisione perchè sapevano il pericolo che rappresentava tale progetto.
Costoro ci cominciano a parlare del decreto 1850 e io li ho detto "Ma che decreto è? Non sappiamo nulla." A quel punto ci siamo resi conto che il decreto 1850 era quello di legalizzare le attività minerarie. Siamo andati a Caracas per protestare contro le due cose: contro la linea di trasmissione elettrica e contro la legalizzazione delle miniere.

- Che cosa sapete su quello che implica questa trasmissione elettrica ne la Gran Sabana?

Questa va a beneficio per il turismo, per le miniere e per altre cose. Noi abbiamo detto: "se è vero, quello che passa attraverso questi cavi elettrici, servirà a delle infrastrutture che generano occupazione e turismo." Poi è iniziata la forte opposizione -che per loro non c'era nulla da negoziare, non c'era niente di utile da quel che decideva la comunità. Ci siamo inimicati i minatori, ma abbiamo ottenuto molti amici a livello internazionale. Ci sono stati scontri con la Guardia Nazionale perchè avevamo bloccato più volte la strada per San Francisco. Il blocco più lungo che abbiamo fatto è durato 22 giorni, fatto al chilometro 14.

- Perché molte comunità indigene sono a favore della linea elettrica?
Perchè sono state date e promesse alle comunità molte cose, compresi i titoli di proprietà per la terra. Il governo già conosceva la debolezza delle altre comunità. Ha fatto dei negoziati separati con loro, ha dato a loro i titoli di proprietà e così è cominciata la divisione tra le varie comunità. Una proposizione a cui teniamo è il territorio indigeno, che fa parte della divisione politica territoriale come Stato, comune... Prendiamo il presidente della federazione indigena, il ministro Asdrubal Aguiar, che dice che non vi è dialogo quando si parla di territorio indigeno. Noi vogliamo sentire che cosa hanno intenzione di offrire e ci hanno detto che non c'era nessun offerta per noi. Mi sono visto con José Luis, il presidente della Federazione indigena di Caracas e mi ha detto: "Penso che la cosa migliore sia negoziare con il governo sopra questa linea elettrica" e io gli chiedo: "come faremo a negoziare?". E lui: "chiederemo dei benefici." Io: "Vediamo di consultare prima le comunità per vedere quello che dicono." Così noi ci siamo divisi, perché questi leader vogliono diventare deputati; essi credono che ci sia accordo con il governo e non contro il progetto, perché altrimenti non sarebbero stati accettati. Poi cominciarono a cercare negoziati e volevano mettermi come deputato o consigliere, e io ho detto a loro di no, perché, in primo luogo, non avremo avuta alcuna base per difendere i popoli indigeni; in nessuna parte del mondo, vi sono indigeni che credono che i governi li possano difendere. L'unico modo per reagire è quello di stare alla base. Io ho guadagnato l'inimicizia di loro per questo. Ho detto loro che possono preparare altri candidati per la leadership dei popoli indigeni e gettare il tutto dopo 5 anni di lotta. Se facciamo tutti questo lancio a livello istituzionale, cosa diremo alla nostra popolazione?
Dopo che il presidente è venuto qui, ha detto "se si è contro e non si vuole ciò, cerchiamo un accordo. Voglio aiutarvi e troverò il modo per fermare questo, pagando la multa e cercando gli avvocati, ma dovete essere d'aiuto. Non posso mandare sempre i soldati per quel che è stato già fatto." La gente è rimasta contenta di ciò, ma il tutto è stato male interpretato: hanno iniziato a dire alle comunità che dovevano pagare 48.000 Bs al mese per pagare il debito verso il Brasile.

-Le comunità hanno pagato?
Non hanno pagato. Si erano accordati che non avrebbero pagato se non ci fosse stato qualche accordo con lo Stato. Da qui, iniziano le minacce. Ci sono stati 8 incontri, di cui io ho partecipato a 3. L'Edelca ha fatto un'offerta di 200.000 dollari all'anno. Gli si dice che non si può. Ho i documenti. Alla fine abbiamo tenuto un incontro-protesta a San Francisco di Yururaní. Nessuna delle tre comunità ha concordato alla firma del contratto. Ci hanno detto "perché non chiediamo questo?", a noi ci mancano gli argomenti con cui rispondere, perché io e gli altri avvocati eravamo presenti senza che la Federazione fosse a conoscenza delle richieste che abbiamo fatto. Abbiamo fatto un errore ad accettare le cose, anche se subito dopo abbiamo fatto decadere la proposta precedente; gli ambientalisti ci avrebbero detto, "dovete introdurre la parte ambientale." Il nostro interesse era davvero quello culturale, tanto da aver fatto lo studio sull'impatto socio-culturale.

-Oggi la linea elettrica entra in funzione. Quale sarà il lavoro che dovrete fare?

Siamo ancora con lo studio d'impatto socio-culturale, perché è questa la via. Dal momento che abbiamo fatto abbastanza, paralizzando l'opera e fermando i lavori, l'argomento al tribunale è stato quello di ripristinare i diritti degli indigeni secondo la Costituzione vigente. Quando essi parlavano di perseguire coloro che avevano innalzato i tralicci, abbiamo detto questo.
L'economia delle comunità si è impoverità sempre più. Ognuno tiene il suo conuco, ma coloro che sono stati in lotta, hanno sbagliato. In questo momento, sto analizzando tutto questo. Avendo problemi finanziari, il governo viene ed offre i suoi progetti a ogni persona che lascia il proprio conuco. Noi non abbiamo una alternativa da offrire alle comunità di fronte a un governo che porta tali progetti. Ho detto loro che finiamo lo studio e sulla base di questo studio, chiederemo noi dei progetti, ma il governo accetterà tale cosa? Basta vedere le 56 comunità che hanno firmato questi progetti governativi: non sono stati rispettati.

Azioni dirette contro i tralicci
-Come è nata la decisione di abbattere i tralicci?
E' stata tutta la comunità a prendere tale decisione. I primi tre hanno rifiutato perché altre comunità avevano firmato l'accordo, l'altra era impegnata a difendersi. Avevamo fatto cadere un traliccio a terra. La ministra dell'ambiente ci ha detto che noi abbattavamo i tralicci con diamanti e altre cose. Dicono che tutte questi materiali sono in acciaio -in modo che non si deteriora dalla pioggia- e che non si poteva abbattere con qualsiasi, quando in realtà non è così. Si sono fregati, perché li abbiamo tagliato con dei seghetti.

-Quanti comunità Pemonas ci sono nella Gran Sabana?
Credo che ci sono più di 80 comunità: solo in questo settore, ci sono 14 comunità. In questa zona, solo 5 hanno firmato l'accordo col governo, ma di questi, alcuni, sono d'accordo con noi. Dicono che li hanno costretti a firmare, pena una multa di 40.000 Bs.

-A che tipo di resistenza avete pensato?
Fare uno studio di impatto, perché così dimostriamo al governo che questo progetto è dannoso, oltre a chiedere chi recupererà questi danni. Dopo aver finito questo studio, dobbiamo conoscere ufficialmente la posizione del governo a tal merito, oltre a vedere come potranno tornare uniti questi villaggi, visto che ora sono divisi a causa delle menzogne sulla linea elettrica. Affermano che è la religione il problema...come se la religione ha contribuito a questo casino. Ciò che mi preoccupa sono le minacce dei progetti di sviluppo, perché si deve dare una risposta alla comunità. Nel mio caso è a breve termine, per quest'anno; quindi dobbiamo sollevare la ricerca socio-culturale nel dare alla società quali sono i nostri problemi di comunità. E da ciò dobbiamo decidere cosa fare, che è una cosa integrata nel risolvere i nostri problemi. Il governo arriva e annuncia i progetti, questo è quello che mi preoccupa, perché viene il turismo e la gente lascia il conuco e la cultura. Questi progetti finiranno per affamarci.
Il governo vuole dividere questo paese; noi non vogliamo cadere nella loro trappola. Ad esempio, se si inserisce un complesso turistico con spiagge private, non possiamo andare a pescare perché è una proprietà privata. Se vuoi avere un lavoro stabile, non puoi "andare a pesca", perché si sta lavorando in una proprietà privata. Se si lavora in un ristorante o in un albergo, non si può dire "Io sono un'indigeno/a" perché non puoi tenere tale cultura. La cultura indigena è quella di andare a pesca, cercare il proprio mestiere o cercare il proprio materiale per soddisfare il proprio conuco o andare a caccia; è la cultura indigena, condivisa con la comunità.

-Cosa ne pensi dello sviluppo che offre l'Occidente?
Io voglio che mi porti un modello che funziona, perché ho visto bambini che mangiano spazzatura a Caracas. Perché se c'è povertà in Venezuela, non capisco che tipo di sviluppo sia questo. Che sviluppo vogliono portare? Portare i turisti e trasformarci in albergatori? Penseranno che il turismo è molto fluido perché vengono in alta stagione. E in molti si chiederanno: "come faremo a vivere se c'è solo il turismo?" E io rispondo: "con il mio conuco".

-La Fundación Cisneros omette l'origine della sua acquisizione: Biarritz ingannata 
Articolo scritto dalla Redazione e apparso nel numero 25 del Periodico El Libertario (Novembre-Dicembre 2001)  
 Biarritz, prestigioso centro estivo nella costa della Francia -nel dipartimento del Basso Pirenei-, è anche noto a causa del suo altrettanto importante festival del cinema. Quest'anno, però, ha ospitato una triste miscela di inganno criminale, glorificazione dell'oppressione nel Terzo mondo e di ipocrisia. Con il titolo "Orinoco", sono stati esibiti -dall'11 luglio al 7 ottobre e sotto l'egida di un prestigioso casinò tra gli altri-, più di 400 vestiti provenienti da vari gruppi indigeni che abitano l'Amazzonia venezuelana. La mostra è stata sottotitolata "Ä la reencontré del indiens de l'Amazonie Vénézuéliene", ricordando che i vestiti appartenevano alla collezione Cisneros.

Chi poteva immaginare che un Panare era presente a Biarritz e vedere tutto questo con indignazione?
-Guarda questo-, dice il nostro amico E'ñepa puntando a una foto che ritrae una bionda vestita con un indumento Yanomami e che sembra la versione femminile di Tarzan, -in perfetto francese vi è scritto: "Patricia Phelps de Cisneros et le capitaine yanomami Doshamoshatheri", chi ha detto a questa signora gli Yanomami hanno un capitano? Oltre a questa inesattezza, dice anche che questi vestiti "illustrano il modo di vita dei diversi gruppi etnici che vivono in un ambiente lussureggiante e inaccessibile" e che essi appartengono al "frutto di 50 anni di esplorazione negli stati di Amazonas, Bolivar e Sud del Venezuela tra l'Orinoco e la Sierra de Parime". Vedendo la foto della donna, consiglierei a queste persone di studiare un po di antropologia prima di dire certe cose. Questa collezione è stata acquistata con una misera somma da un uomo che non compare in nessuno dei crediti dello spettacolo, o nel catalogo. Questa collezione è stata forgiata da Edgardo Gonzalez Niño che, svolgendo il lavoro di tutta la sua vita, senza sponsor, senza l'assistenza di alcun tipo, alla fine della sua vita, soffocato dalla necessità, ha accettato di vendere la sua eredità di anni di lotta a questi che mettono in mostra dei vestiti senza sapere nulla di cosa c'è dietro, delle lotte che hanno fatto gli indigeni etc.

Da questa tribuna, noi sosteniamo chi manifesta la propria indignazione sull'abuso e l'uso degli indigeni per un tornaconto capitalistico o da borghese, sull'imposizione di modificare la realtà a proprio piacimento, o meglio, per la comodità delle loro tasche. In memoria di Edgardo Gonzalez Niño, che, come molti, è sparito come tanti indigeni, divorato dalle multinazionali menzognere, e che ha fatto di tutto -lui e tanti altri- nel proteggere l'ambiente e la cultura indigena.

Continua....

Note
(1) Il conuco è l'appezzamento di terreno che gli indigeni coltivano

http://ienaridensnexus.blogspot.it/2013/03/situazione-e-lotte-dei-popoli-indigeni.html

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