lunedì 15 aprile 2013

Regime di Tripoli è una “cleptocrazia” NAIARA GALARRAGA – 09/02/2011 El Paìs



Postato da  il 01-03-2011 alle ore 17:00:47


“La Libia è una cleptocrazia nella quale sia il regime, sia la famiglia stessa di Gheddafi o i suoi stretti alleati politici, ha un diretto interesse in ogni cosa che meriti di essere venduta o comprata”, ha scritto in Gennaio del 2009 l’ambasciatore degli Stai Uniti a Tripoli, Gene Cretz. Il diplomatico racconta che, anche se Muammar Gheddafi si presenta come un “visionario politico” lontano dalle banalità quotidiane, “il capo di Stato de facto” utilizza i contratti più succosi per coccolare altri paesi o altri dirigenti del regime.
Gheddafi “sovrintende tutti i contratti di più di 200 milioni di dollari (146 milioni di euro) e altri di minor portata, in particolare, se sono per imprese degli Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Cina, Italia, Egitto e Tunisia”, aggiunge il cablogramma ottenuto da WikiLeaks. Reuters ha informato ieri che i prestiti della Libia a quaranta paesi ruotano attorno a 1.500 milioni di euro. Paradossalmente, Gheddafi esercita questo controllo attraverso un’ entità ufficiale –chiamata riqaba- che in teoria garantisce che le concessioni siano limpide.
Il diplomatico aggiunge che la riqaba è una via che Gheddafi ha usato per assicurarsi che il “clientelismo politico sia correttamente ripartito”. Secondo un telegramma di Cretz, è ciò che in Libia chiamano la “politica delle mano nera”, che consiste nel “consentire, incluso incoraggiare, pratiche corrotte da parte dei dirigenti favoriti dal regime, in parte perché il colonnello abbia un randello con il quale poterli controllare e assicurarsi lealtà politica.
L’autocrate più veterano della zona è arrivato al potere con un colpo di stati di 41 anni fa. In un cablogramma segreto che non dev’essere visto da stranieri una fonte dell’ambasceria assicura che Gheddafi vive in “un’abitazione modesta fatta di pareti prefabbricate con il pavimento che scricchiola”.
I cablogrammi disegnano un regime corrotto che non tollera che uno straniero discuta in pubblico di diritti umani e che cerca la quadratura del cerchio: attuare riforme e aprirsi al mondo senza abbandonare “la retorica rivoluzionaria e la sua riluttanza a definire le proprie politiche”.
Uno dei promotori delle riforme e critico del Governo è il secondo dei sette figli di Gheddafi, Saif Al Islam (in arabo Spada dell’Islam), di 38 anni, precisamente colui che suo padre segnalò come più probabile erede nell’ottobre del 2009. Saif, più rispettabile e meno viveur dei suoi fratelli, non desidera vedersi “macchiato” dall’ambiente politico, dice una nota di febbraio 2010. Un’altra della stessa data aggiunge che i libici, soprattutto la gioventù forse lo riceverebbero come il “cavaliere dall’armatura brillante”. Un altro figlio, Mutasim, è assessore nazionale alla sicurezza ed è appoggiato dai conservatori. Gheddafi manovra per confrontare i suoi figli nella successione, dicono gli Stati Uniti.
Secondo una nota confidenziale del febbraio 2009 il “carattere volatile di Gheddafi” unito alla sua permanente e “deliberata ambiguità” per avere “margine di manovra tattica”, lascia il regime immerso nella confusione. Tra le altre cose considerato che, impegnato da decenni a smantellare le istituzioni per sostituirle con commissioni diverse disegnate per applicare la democrazia diretta delle masse, da alcuni anni ha rotto il suo isolamento e ha annunciato riforme economiche e politiche.

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