lunedì 15 aprile 2013

Reddito di cittadinanza: il peggiore dei mali?




di Tommaso Cabrini

Penso sia corretto nei confronti dei lettori fare una piccola premessa a questo articolo, l'intento è provocatorio, finalizzato a dare un'ottica differente dell'argomento.

Ultimamente, in seguito alla proposta portata avanti dal Movimento 5 Stelle di istituzione di un reddito di cittadinanza si sono levate numerose voci contrarie. Pagare qualcuno per non fare nulla, a mio parere, oltre che dannoso è anche immorale; ma risulterebbe maggiormente dannoso rispetto al sistema di welfare ad oggi costruito? Mi spiego meglio, è preferibile dare una rete di servizi sussidiati dallo Stato, come accade oggi, o è più opportuno che lo Stato si limiti a supportare con un reddito gli indigenti eliminando qualunque altra forma di welfare?

Dai dati OCSE nel 2009 la spesa sociale e assistenziale italiana è stata parti a 422.543 milioni di euro. Questo è il costo del sistema che abbiamo in carico oggi.
Ora, per stimare i costi approssimativi di un reddito di cittadinanza, bisogna anche ipotizzare l'ammontare di questo sussidio, ad oggi inesistente.
Comunque sia i dati ISTAT evidenziano che nel 2012 i cittadini italiani con più di 20 anni sono 48.218.768, di questi 23 milioni lavorano, mentre 25.215.768 sono i potenziali destinatari del reddito di cittadinanza.
Ne deriva che, ipotizzando un reddito minimo di 600€ mensili netti, il complessivo costo sarebbe pari a 181.533 milioni di €, un netto risparmio!
Non solo, effettuando un simile “conto della serva” si arriva a calcolare che un reddito di cittadinanza a parità di spesa arriverebbe a circa 1.400€ mensili netti.
Di conseguenza, anche con il conto “grillino” di reddito monstre di 1.200€ si otterrebbe un risparmio.
Naturalmente abbiamo ignorato due aspetti fondamentali.

Il primo è che le “risorse” (leggasi personale) della pubblica amministrazione così liberate non sarebbe in grado di ricollocarsi immediatamente nel mondo del lavoro. Molti, probabilmente, dopo tanti anni passati in ambienti con le peculiarità che tutti conosciamo, non sarebbero in grado di ricollocarsi affatto. Ne consegue che i funzionari pubblici maggiormente “inutili” finirebbero con l'ingrossare le fila degli aventi diritto al reddito di cittadinanza, aumentandone i costi. Oltretutto il reddito di cittadinanza disincentiva a migliorare la propria posizione, relegando le persone nella cosiddetta “trappola della povertà”, ovvero l'impossibilità di trovare un lavoro sufficientemente retribuito da permettere l'abbandono dello status di sussidiato.

Dal lato opposto porterebbe lo Stato ad uscire da grandissimi settori dell'economia che monopolizza in forza dei prezzi politici che pratica: si pensi alla sanità, all'istruzione e alla previdenza. Settori che sicuramente vivrebbero una nuova efficienza e qualità, permettendo sia ai tax payers che ai tax consumers di scegliere con maggiore libertà cosa e da chi acquistare beni e servizi. Lo Stato, inoltre, potrebbe concentrarsi a fare meglio ciò che già ha grandi difficoltà a fare (i restanti 300 miliardi di spesa, alla faccia di chi dice che tagliare significhi macelleria sociale).
Rimane anche un piccolo, ulteriore effetto. Si vedrebbe la scomparsa di servizi pubblici “socialmente ingiusti”, come ad esempio l'università pubblica o i sussidi alle fondazioni liriche: cioè servizi di cui usufruiscono soprattutto gli appartenenti alle classi più agiate, ma pagati anche con le tasse del più modesto operaio.

Fine della mia piccola provocazione.

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