domenica 21 aprile 2013

PUÒ UN EBREO CRITICARE (SERENAMENTE) “LA PASSIONE DI CRISTO”?/2 STEFANO DISEGNI FA “CIAK” CON LA MATITA: “COM’ERANO CATTIVI GLI EBREI” NUOVA GUERRA DI RELIGIONE TRA EBRAISMO E CRISTIANESIMO “PASSIONALE”



Stefano Disegni per Ciak


PUÒ UN EBREO CRITICARE (SERENAMENTE) “LA PASSIONE DI CRISTO”?/2
STEFANO DISEGNI FA “CIAK” CON LA MATITA: “COM’ERANO CATTIVI GLI EBREI”
NUOVA GUERRA DI RELIGIONE TRA EBRAISMO E CRISTIANESIMO “PASSIONALE”


Dal mensile Ciak, in edicola domani


PERCHÉ SÌ.
Piera Detassis, direttore di Ciak

Tocca a me cominciare e dirvi perché "SÌ", perché sono favorevole a La Passione. A spiegare il mio pensiero basterebbe la foto qui a fianco, la famosa immagine del robot con cui Sorrisi e canzoni ha tolto i veli al calvario reale o presunto di Jim Caviezel. Scontata finzione sul set, vien da dire (non pensavate davvero che il povero Jim venisse crocifisso una volta al giorno?). E infatti a scuoterci non è l'idea del Cristo meccanico, ma l'impudicizia di quell’immagine, il ghigno dell'uomo che si prende gioco del Gesù sanguinante e spezzato in due, i fili elettrici che pendono dal santo costato.
(Il Gesù robotizzato da Tv Sorrisi e canzoni)

Una foto di guerra troppo simile a quelle che ogni giorno ci ributtano in faccia i Tg: l'odio etnico, gli attentati suicidi in Medio Oriente, la donna intrappolata tra le lamiere del treno di Madrid, un volto pietrificato nella morte e il resto del corpo chissà dove. Tutto questo è La Passione, un film a cui la critica di cinema non basta e forse non serve e a cui va stretta l'accusa di antisemitismo. Certo, un film difficile e non tutti la pensano e la penseranno come me, leggetevi i "no" di questa pagina e soprattutto il silente vignettone di Disegni.

Ho vissuto la tortura del film come se il martirio di Cristo rimandasse al fanatismo del kamikaze e quella violenza diventasse un viaggio attualissimo nell'inferno della Palestina e di Israele di oggi, fin dentro i campi di addestramento di AI Qaeda. Guardatevi intorno: i fondamentalismi scandiscono e trasfigurano il nostro tempo, le nostre abitudini. Alla fine è tutto questo che il Cristo porta con sé sul Golgota, in una crocefissione che non ha niente di disinfettato, nessuna ferita benedetta al costato, ma sangue, tortura, dolore umanissimo, intollerabile. Un bel film? Forse no. Certamente un film con la crudezza dell'oggi, senza lifting e make-up, un atto dichiaratamente "politico" di Gibson, mai innocuo. Ma quale scandalo lo è?

CRITICI A CONFRONTO
PERCHÉ NO. Non dovrebbe accadere che a un uomo chiaramente in preda a mania religiosa ossessiva, patologia ben nota ai terapeuti, sia dato il potere di fare un orrendo film in cui ci spiattella il suo grave problema, con condimento di splatter ed ebrei da propaganda nazista. Purtroppo accade. Qualcuno mi racconta che, a Los Angeles, ha accompagnato un amico e suo figlio a vedere questo, peraltro noiosissimo, delirio di Gibson. All'uscita, il ragazzino ha detto: «com'erano cattivi gli ebrei, li ammazzerei tutti». Qualcuno ci ha già pensato, tesoro.
Stefano Disegni

PERCHÉ SÌ. Perché è un film sull'intreccio inestricabile di amore e dolore che ogni passione porta con sé. Perché è girato sul set dell'animo umano. Perché la crudeltà indossa una divisa e la pietà è un drappo di cui ci si spoglia. Perché Cristo vede da un occhio solo come John Ford, Jena Plissken e la macchina da presa. Perché Gibson trova in Cristo il principio estetico del sublime e dell'orrido, e la radice di ogni anticlassicismo. Perché è un film appassionato e appassionante: chi lo vede non può fare a meno di prendere posizione, rifiutandolo, amandolo, disprezzandolo. Come è successo a Cristo.
Ezio Alberione

PERCHÉ NO. Non abbiamo bisogno della Passione secondo Mel, specie oggi. Specchio oscuro dell'11 settembre, vede il male ovunque, offre sangue ed orrore buoni per ogni fondamentalismo, ma non regala la gioia e la speranza insite nel messaggio cristiano.
Stefano Lusardi

PERCHÉ SÌ. Non so se Gibson sia «il nuovo evangelista», come scrive Ferrara. Ma di sicuro La Passione non è «Golgota Trash», secondo la formula adottata da Roberto Cotroneo per liquidare il film. Che trovo, al contrario, potente, brutale, ispirato, pietoso. Piaccia o no, quel corpo offeso e flagellato assume tutta la sofferenza del mondo. L'insistenza non è sadismo, tanto meno (che fesseria) splatter. Vuole restituire carne e sangue alla Passione. Onore a uno strano cristiano venuto dall'Australia.
Michele Anselmi
(Michele Anselmi)

PERCHÉ NO. Come molti dei film militanti, è a senso unico, monocorde al limite dell'ottusità, molto documentaristico e poco poetico. Rivaluta, se ce n'era bisogno, L'ultima tentazione di Cristo. II titolo avrebbe potuto essere Jesus Christ SuperMel.
Marco Giovannini

PERCHÉ SÌ. Bisogna sfrondare il film dalle sovrastrutture mediatiche e dalle letture politiche. E guardarlo con occhio innocente: apparirà per quello che è, il racconto iperrealistico della Passione, girato con lo spirito delle vie crucis di popolo e con i mezzi tecnici più sofisticati. Emozionante, travolgente. L'odore del sangue di Cristo, e non è poco.
Sandro Rezoagli

PERCHÉ NO. Quello che nel film di Gibson davvero manca è qualunque accenno di spiritualità. O almeno di interiorità. O almeno il sospetto che si voglia raccontare qualcosa che appartiene alla coscienza. O almeno una punteggiatura drammatica, qualche pausa, qualche silenzio, qualche sospensione. Perché così com'è, il trucido film si iscrive nella categoria americana horror splatter e si poteva fare anche senza la partecipazione speciale di Gesù, specie se è un robot comandato da un computer.
Maurizio Porro
(Scena dal film)

PERCHÉ NO. Tra due scioccanti meditazioni sull'esistenza di Dio e del Diavolo come L'ultima tentazione di Cristo e L'esorcista, La Passione è un oggetto molto meno rigoroso di quello che vorrebbe sembrare. Sulla carta il primo splatter religioso della storia, il film di Gibson, in realtà, tradisce le convenzioni di genere (horror) a forza di ralenti, flash back e musica; si presenta come un home movie ma è venduto da una della macchina pubblicitarie più sofisticate della storia. E, alla fine, è meno un gesto di devozione che l'ultima tappa del lavoro di un attore regista affascinato dall'esperienza sacrificale, dalla sevizia fisica del corpo (specialmente il suo). E, anche sotto quest'aspetto, non è un film per niente radicale.
Giulia D'Agnolo Vallan

LE REAZIONI DELLA STAMPA USA
Marco Bacci per “MAX”. A parte la triste coincidenza di una spettatrice fulminata da infarto, la critica Usa si è divisa in tre: chi lo giudica un film educativo, chi sostiene che l’elemento antiebraico è, se non esplicito, comunque sotteso e insistito, e chi riconosce al regista buone doti ma, più che un coté antisemita, una tensione sadomaso. Al critico di Newsweek ha ricordato il meccanismo di Irreversible. Il mite Ebert del Chicago Sun Times l’ha definito “il film a tutt’oggi più aderente al titolo“. Non mostrerebbe altro che quello che vuole mostrare: “non un sermone né un’omelia, ma la visualizzazione dell’evento centrale nella religione Cristiana”. Parola di ex chierichetto. Peter Travers di Rolling Stone Usa l’ha giudicato fortemente emotivo e fanaticamente ottuso in parti uguali. J. Hoberman del Village Voice ha aperto la recensione con un sarcastico “Bentornati al medioevo“.
(Il direttore Colombo con la moglie alice - U.Pizzi)

VOLA COLOMBO
Da Il Riformista: Può un ebreo criticare (serenamente) «La Passione di Cristo»? Ce lo chiede, imperativo, un titolo di Dagospia, che noi leggiamo (e lo diciamo). L'ebreo di cui sopra sarebbe Furio Colombo, autore sull'Unità di un articolo in cui chiede di vietare ai minori il film di Mel Gibson, «regista barbaro», definito sette volte «pornografico», tre «sadico», forse anche «blasfemo», sicuramente «antisemita»: La risposta e sì: un ebreo può criticare «La Passione di Cristo». Anzi, se ci vede «l'accusa di deicidio, integra e piena e senza riserve», un ebreo ha più ragioni di un non ebreo di temere l'antisemitismo. Se poi gli si risponde che non può perché è ebreo, l'antisemitismo c'è già. Se poi non lo fa serenamente, non è perché ebreo, ma perché è Colombo.


Dagospia 31 Marzo 2004

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