sabato 20 aprile 2013

Paracelso, miracolo della ragione

ROBERTO SPEZIALE BAGLIACCA
Paracelso, miracolo della ragione
Una nuova biografia di Paracelso, scritta da Pirmin Meier, smonta le leggende che, nel corso dei secoli, si sono annodate intorno al "medico nomade"
" Da morto lo reclamano tutti, da vivo non lo vuole nessuno". Con queste parole ha inizio il saggio Paracelso. Medico e profeta dello storico svizzero Pirmin Meier (Salerno, Roma, 2000, pp. 410).
Paracelso può essere considerato una sorta di crocevia dal quale transitano una grande quantità di problematiche mediche che dal medioevo condurranno ai tempi nostri. Tutti lo vogliono e tutti lo tirano dalla loro parte, ora per riconoscerlo come l'iniziatore della chimica medica moderna, ora per farne l'antesignano delle medicine alternative e olistiche. Subirono l'influenza delle sue potenti suggestioni uomini comeWilliam Shakespeare, il mistico Jakob Böhme e in tempi più recenti Rudolf Steiner ed Ezra PoundGoethe attribuì a Faust la creazione dell'homunculus, la debole creatura artificiale che lo stesso Paracelso si era vantato d'aver plasmato.
In Italia si sono occupati di lui studiosi della serietà di Furio JesiMaurizio Barracano e Alberto Cesare Ambesi, che lo hanno soprattutto restituito al suo contesto storico. Con ciò hanno cercato di sottrarlo agli effetti dei pettegolezzi (che hanno fatto di lui persino un eunuco) e alle ambiguità delle leggende che nei secoli si sono annodate sul suo nome. E hanno cercato anche di sfatare l'accusa di ciarlataneria causata dai suoi interessi per la magia e l'alchimia. Proprio come fa ora Meier che però si cimenta con un vasto ritratto, in un libro ricco di annotazioni, solo appesantite qua e là dai (probabilmente inevitabili) dettagli.
Tanto per non smentire la tradizione, si potrebbe fare di questo medico nomade, spesso perseguitato, anche il campione delle fatali contraddizioni nella costruzione dell'Europa. Meier dice che fu "un europeo esemplare", già! ma, sia pure per privilegiare l'uomo vivo sull'uomo paludato, fu il primo in assoluto a tenere lezioni universitarie in tedesco, abbandonando il latino. Questa lingua, imposta dall'energia di Carlo Magno, fu utilizzata per garantire una formazione unitaria agli studiosi e ai funzionari dell'impero, che erano sì religiosi ma anche laici, e che provenivano dalle diverse università europee. Il latino carolingio all'epoca di Paracelso aveva una "spendibilità" ben maggiore dell'inglese attuale.
Ma andiamo per ordine: l'uomo di cui stiamo parlando è Theophrast Bompast von Hohenheim, un medico, alchimista e scienziato del XVI secolo, nato nel cantone di Schwyz intorno al 1490. Le biografie che trattano la sua vita sono centinaia e centinaia e, anche per effetto dello straripare del mito cui si accennava, discordano su molti particolari, distorcendo e ingigantendo probabili schegge di verità storica. Un esempio: il padre di Paracelso sembra fosse figlio naturale del commendatore (Kommenthur) dell'ordine dei Giovanniti. Non certo il Gran Maestro dell'Ordine Teutonico (quello dei cavalieri che affondano nel lago nell'Alexander Nevsky, tanto per intenderci), come riportava persino la gloriosa Enciclopedia Britannica del 1911, titolo quello di Gran Maestro che avrebbe fatto di lui un uomo dal potere enorme. Ad ogni modo, il padre di Theophrast ebbe grandi difficoltà a pagarsi da vivere come medico. La madre era soprintendente dell'ospedale di Einsiedeln e morì quando il figlio era in tenera età.
Con piena coscienza del suo valore, Theophrast firmava Philippus Aureolus Paracelsus. Quest'ultimo appellativo presumibilmente faceva riferimento ad Aulo Cornelio Celso, vissuto nel I secolo dopo Cristo, che non solo era considerato uno dei padri della medicina antica con Ippocrate, ma, a differenza di Ippocrate, fu un enciclopedico versato in ogni ramo dello scibile. Proprio come sarebbe stato Hohenheim. "Aureolus" poi è un riferimento all'oro esoterico dell'alchimia, quindi "all'essere e al vero raggiungibili per via iniziatica", come notava Furio Jesi. Paracelso sembra si proponesse di incarnare il medico ideale perché esperto in ogni sapere in quanto iniziato al segreto ultimo dell'uomo e della natura.
In questo è un medico rinascimentale, un Umanista.
Propugnò una cultura cosmopolita, viaggiò a lungo per l'Europa, forse si addottorò all'università di Ferrara, sicuramente si stabilì tra il 1514 e il 1515 in Tirolo dove lavorò accanto al minerologo Sigismund Fugger, suo maestro in alchimia (la chimica del tempo) che era sovrintendente delle locali miniere, e che gli permise di studiare le malattie dei minatori. Sarà come alchimista, cioè come chimico, che Paracelso eserciterà la sua maggior influenza sulla medicina.
Nel 1526 fu a Basilea dove riuscì a salvare la gamba di un libraio noto in tutta Europa, Johnann Froben, che era stato considerato inguaribile dalla medicina ufficiale. Lo curò con terapie naturali e conservative che erano alla base di quella che chiamò "medicina spagirica". Un punto centrale di questa medicina era la separazione tra cause "prime" e cause "seconde" della malattia. In termini moderni potremmo dire che non era interessato ai sintomi ma all'individuo, nella sua complessa interazione con il mondo esterno, nel quadro del segreto cosmico.
La guarigione della gamba di Froben, considerata eccezionale, gli procurò la nomina a docente universitario alla facoltà di Medicina, benché non avesse ancora compiuti gli studi. Paracelso accettò e potè così chiarire la sua posizione: si dice che bruciasse in piazza i libri di grandi maestri della medicina del passato come Galeno e il persiano Avicenna. Ovviamente fu presto allontanato. Anche questo episodio appartiene quasi sicuramente alla leggenda, eppure dietro questo rogo c'è qualcosa di storicamente notevole.
Alla medicina il medioevo aveva lasciato due eredità, una positiva, le università, l'altra negativa, il dogmatismo. Il medico medioevale accetta dogmaticamente la medicina di Galeno, ma ignora il metodo che la informa: il passaggio attraverso l'esperienza. La lotta contro il dogmatismo vide impegnati per primi gli Umanisti. La riconquistata conoscenza della lingua greca, la lettura e la critica filologica dei testi originali, influenzarono decisamente anche la medicina. Non solo si riuscì a liberare la tradizione dalle deformazioni arabe e dalle trascrizioni erronee, restituendola alla sua genuinità, ma si iniziò a curare pregevoli edizioni critiche dei classici. Le prime reazioni al dogmatismo erano comunque sfociate in manifestazioni di aperto rifiuto dei grandi sistemi classici. Paracelso fu il massimo rappresentante di questa rivoluzione culturale. E' al metodo tradito che vuole tornare; scriveva che il medico deve derivare "le cose dalla natura, non dall'autorità ma dall'esperienza propria". Ragione e sperimentazione. Dal punto di vista della scienza moderna, Paracelso, tra l'altro, scoprì l'etere solforico, isolò l'idrogeno e per primo negò che l'aria fosse un "corpo semplice". Fu anche tra i primi a occuparsi del ballo di San Vito ed ebbe intuizioni psichiatriche geniali per i suoi tempi, come quando analizzò la tendenza malata a gettarsi nel delirio di onnipotenza attraverso l'abuso della fede religiosa, oppure quando stigmatizzò la radicatissima convinzione che le malattie fossero punizioni di Dio o dei santi.
Per comprendere maggiormente la modernità degli Umanisti basterà ricordare come cercassero di interpretare i miracoli facendo ricorso alla ragione. Questo lavoro si tradusse in una più penetrante capacità di osservazione del ruolo di fattori fino ad allora quasi sconosciuti. Riconobbero la suggestione (allora chiamata "immaginazione"), un fattore psicologico che agisce nella genesi così come nella cura di molte malattie. Paracelso fu tra gli studiosi del fenomeno, assieme ad altri Umanisti illustri come Cornelio Agrippa von NettesheimCardano e Pico della Mirandola.
Non abbiamo ancora citato tra i cultori di Paracelso un altro svizzero famoso, Carl Gustav Jung, che gli dedicò tre interventi nell'arco degli anni che va dal 1929 al 1942 (Opere, vol.13 "Studi sull'alchimia", Bollati Boringhieri, 1988). Di Hohenheim Jung crea un avvincente ritratto a forti tinte, anche se probabilmente non proprio esatto. Scopriamo così che Paracelso era un uomo eccentrico, dalla prodigiosa attività letteraria, dal corpo tozzo e dall'aspetto malaticcio, alto un metro e cinquanta, che spesso girava munito di una spada imponente dalla quale non si separava quasi mai, anche perché in una apertura dell'elsa celava le sue pillole di laudano. Dalla descrizione di Jung emerge comunque lo scienziato tipico d'un periodo che segna il passaggio da un paradigma all'altro. Il suo atteggiamento "di ribelle ostinazione e durezza sta in contraddizione - e non potrebbe essere altrimenti - da un lato con la sua fedele devozione alla Chiesa, e dall'altro con la sua delicatezza e immedesimazione nei confronti del malato, e in particolare modo del malato privo di mezzi". Jung si interessa a lui quando studia l'alchimia che vede non unicamente come "la madre della chimica", ma anche "come una anticipazione dell'odierna psicologia dell'inconscio". Jung interpreta l'alchimia in chiave simbolica: l'alchimista soleva scegliere attentamente gli elementi sulla base di uno schema organizzato in termini di opposti. Questo perché l'attrazione tra gli opposti (il maschile e il femminile ne erano forse la coppia fondamentale) avrebbe portato alla loro unione e in ultima istanza alla produzione di una nuova sostanza. Jung trova nell'alchimia grandi somiglianze con la propria costruzione teorica, per cui sottolinea usando il corsivo: "Paracelso ci appare dunque come un pioniere non solo nel campo della medicina chimica, ma anche in quello della psicologia empirica e della terapia psicologica."

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010109b.htm

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