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Uccidere o mangiare una vacca per un indù sarebbe un delitto abominevole quanto l'omicidio". Come simbolo dell'ahimsa, ossia della non violenza fondata sulla sacralità della vita, l'induismo ha tramandato la sacralità della vacca anche ai buddhisti che, come nei templi della Thailandia del Nord, la offrono al Buddha modellata in piccole statue di terracotta. Le immagini sacre della vacca e del suo misterioso fluido vitale, risalgono, però, ai culti arcaici della genitrix, a quelli delle Grandi Madri paleolitiche dalle multiple e abbondanti mammelle scoperte e studiate dall'archeologa lituana Marija Gimbutas. Da queste discende Iside, nell'antico Egitto ritratta come donna dalla testa di vacca. Sull'Egitto, rileva però Zolla, "abbiamo prospettive infinite e pochissime notizie.
Certa è la presenza nei templi egizi della mucca come eloquente principio della fertilità della terra, di fecondità, quale presupposto indispensabile alla vita. La stessa statua della Diana multimammia di Efeso ripropose l'archetipo della mucca sacra. L'uomo greco e romano l'assimilarono, poi, al primo latte, al primo cibo ricevuto", Ripreso dall'Oriente e dalla civiltà cretese (si pensi anche al mito del Minotauro ucciso da Teseo) il culto della mucca sacra rivive, così, nell'Odissea attraverso il celebre episodio delle sacre vacche del Sole: per averne uccisa una, dopo sette giorni di digiuno, la ciurma di Ulisse fu punita da Zeus che "stese sulla concava nave un fosco nembo, e si ottenebrò di sotto il mare". Dioniso, ancora, veniva rappresentato spesso in forma di capretto o di toro secondo la diffusa simbologia che lega questi animali alla vegetazione, agli spiriti tutelari del grano. Lo stesso ciclo del latte si legava, in antichi culti quali quelli sumeri, ai cicli meteorologici, a quelli astrali, al fluire del tempo cosmico in cui si dispiega quello della vita umana. Il dio Enlil, per i Sumeri, era il "Signore dei venti e dell'uragano", il "Dio del corno", fratello di Inanna, la "Grande Vacca" simbolo della vegetazione. La vacca, nota qui Zolla, "prima di tutto dà il latte e se non lo dà soffre. Essa è quindi congegnata per consegnarci questo principio fluido che è la base di ogni tempo, di ogni vita". Così accade nelle culture folkloriche dell'Europa orientale dove, ancor oggi, si rappresenta la vacca come una donna vestita di spighe e fiordalisi. Questa è, spiega insomma Zolla, "l'enorme messe di dee affiorate dall'Ucraina alla Grecia che testimoniano una civiltà matriarcale imperniata su un culto della vacca che precede l'invasione indoeuropea. E fra gli indoeuropei erano i Celti ad avere un forte rispetto della mucca. La stessa corrida ha basi celtiche, anche se oggi figura come retaggio degradato e mostruoso di antichi rituali sacrificali e propiziatorii". La vacca, prosegue Zolla, "si offre agli uomini e, per questo, gli uomini l'hanno sempre consacrata agli dei. La vacca vuole essere munta per riversare sugli uomini il latte quale dono divino e nutrimento supremo. E nel concorso a simboleggiare il fondamentale principio di vita è chiaro che la vacca ottiene il primo posto". Primo posto come dono sacrificale reso agli dei o - come fra gli Egiziani che scongiuravano sulla testa di un toro gettata sul Nilo tutti i mali che altrimenti sarebbero ricaduti sopra di loro - come capro espiatorio. Le scene sacrificali, dove sono le virtù sacre dell'animale a essere consacrate in banchetti rituali, commemorano eventi mitici, ristabiliscono il patto con l'aldilà e contribuiscono al buon funzionamento del cosmo, della natura, della società. Dall'antico Egitto all'Islam che obbliga i musulmani partecipanti all'ayd el-edha (la "grande festa del sacrificio") a sgozzare gli animali facendo colare a terra il sangue, ricettacolo dell'anima: fino alle odierne popolazioni Nuer del Sudan di cui l'antropologo inglese Evans-Pritchard riporta la relazione intima di simbiosi per la quale "gli uomini e le vacche formano un'unica comunità del più stretto tipo" e ogni forma di macellazione costituisce evento religioso. La nostra messa a morte delle mucche non ha più nulla di sacro o di sacrificale. Ce ne rendiamo conto accostando le vacche celesti dei graffiti preistorici alle foto di questi giorni dove le ruspe sollevano pesanti corpicini e li scaricano sui camion. Questa è la morte "igienica" inflitta dalla zootecnia del Duemila: senza sangue, senza vittime, senza sacerdoti, senza scandali. Per noi la mucca non è viva, non ha corna, non ha cervello, non ha muggiti, non ha narici fumanti, non ha occhi bianchi che riflettono la luna, non ha cuore. Per noi le mucche sono fettine cellofanate, pallide apocalissi del supermercato. Non le mangiamo più e le contiamo sui banchi freddi della nostra memoria, questa sì, impazzita.
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010202a.htm
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