lunedì 15 aprile 2013

John Pilger intervista Julian #Assange – La guerra a #WikiLeaks


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OTT

Postato da  il 23-10-2011 alle ore 17:37:17


Indagine di John Pilger e intervista a Julian Assange
14 gennaio 2011 Di John Pilger
Gli attacchi a WikiLeaks e al suo fondatore, Julian Assange, sono una reazione a una rivoluzione dell’informazione che minaccia i vecchi ordini del potere nella politica e nel giornalismo. L’istigazione all’omicidio sbandierata da figure pubbliche degli Stati Uniti assieme ai tentativi dell’amministrazione Obama di forzare la legge per mandare Assange in un buco d’inferno di prigione per il resto dei suoi giorni, sono le reazioni di un sistema avido denunciato come mai prima.
Nelle settimane recenti il Dipartimento della Giustizia USA ha formato un grand jury segreto appena al di là del fiume di Washington nel distretto orientale dello stato della Virginia. L’obiettivo è incriminare Julian Assange sulla base di una legge screditata sullo spionaggio utilizzata per arrestare i pacifisti durante la prima guerra mondiale o sulla base di uno dei regolamenti riguardanti la cospirazione della “guerra al terrore” che hanno degradato la giustizia americana. Esperti giuridici descrivono la giuria come “una deliberata messa in scena”, facendo notare che questo angolo della Virgilia è la residenza dei dipendenti, e delle loro famiglie, del Pentagono, della CIA, del Dipartimento della Sicurezza Interna e di altri pilastri del potere americano.
“Non sono buone notizie” mi ha detto Assange quando ci siamo parlati la scorsa settimana, la sua voce cupa e preoccupata. Dice che può avere “giorni brutti, ma recupero”. Quando ci siamo incontrati a Londra l’anno scorso io dissi “Ti stai facendo dei nemici molto seri, nientemeno che i governi più potenti impegnati in due guerre. Come te la cavi con questa sensazione di pericolo?” La sua risposta è stata caratteristicamente analitica: “Non è che manchi la paura. Ma il coraggio è in realtà il dominio intellettuale della paura, comprendendo quali sono i rischi e come aprirsi un cammino attraverso di essi.”
Malgrado le minacce alla sua libertà e sicurezza, egli dice che gli USA non sono il principale “nemico tecnologico” di WikiLeaks. “La Cina è il principale avversario. La Cina ha una tecnologia di intercettazione aggressiva e sofisticata che si interpone tra ogni lettore in Cina e ogni fonte di informazione fuori dalla Cina. Stiamo combattendo una battaglia per la pubblicazione per assicurarci che possiamo far passare le informazioni, e ci sono ora modi di ogni tipo attraverso i quali i Cinesi possono arrivare al nostro sito.”
E’ stato in questo spirito di “far passare le informazioni” che WikiLeaks è stato fondato nel 2006, ma con una dimensione morale. “L’obiettivo è la giustizia” ha scritto Assange nella pagina di introduzione (homepage). “Il metodo è la trasparenza.” Contrariamente ai mantra mediatici correnti, il materiale di WikiLeaks non viene “scaricato”. Meno dell’uno per cento dei 251.000 dispacci delle ambasciate è stato diffuso. Come precisa Assange, il compito di interpretare e revisionare il materiale che potrebbe danneggiare persone innocenti richiede “standard [adeguati] ai più elevati livelli di informazione e fonti di primo piano.” Per il potere reticente, questo è giornalismo del tipo più pericoloso.
Il 18 marzo 2008 era stata anticipata una guerra a WikiLeaks in un documento segreto del Pentagono preparato dalla “Sezione Valutazione Controspionaggio Cibernetico” . I servizi di informazione USA, dichiarava, intendevano distruggere il sentimento di “fiducia” che è il “centro di gravità” di WikiLeaks. Era stato programmato di fare questo mediante minacce di “denuncia [e] incriminazione penale.” Zittire e criminalizzare questa rara fonte di giornalismo indipendente era lo scopo, la calunnia il metodo. Non v’è furia all’inferno che uguagli quella dei mafiosi imperiali derisi.
Altri, ugualmente derisi, hanno successivamente svolto una parte di sostegno, intenzionalmente o meno, nella caccia ad Assange, alcuni per motivi di gretta gelosia. Sordido e squallido sono gli aggettivi che descrivono il loro comportamento, che serve solo a evidenziare l’ingiustizia nei confronti di un uomo che ha coraggiosamente rivelato quello che abbiamo diritto di sapere.
Mentre il Dipartimento della Giustizia USA emette mandati contro le caselle email e Twitter, le registrazioni dei conti bancari e delle carte di credito di persone di tutto il mondo – come se fossimo tutti sudditi degli Stati Uniti – molti dei media “liberi” di entrambi i lati dell’Atlantico dirigono la loro indignazione contro la persona cacciata.
“Allora, Julian, perché non torni in Svezia ora?” chiedeva il titolo dell’articolo di Catherine Bennett sull’Observer del 19 dicembre che contestava la reazione di Assange alle accuse di comportamenti sessuali scorretti con due donne a Stoccolma lo scorso agosto. “Continuare a ritardare il momento della verità, per questo campione delle rivelazioni intrepide e della trasparenza totale” scriveva la Bennet, “potrebbe cominciare presto ad apparire piuttosto disonesto, nonché incoerente.” Non una parola nel vetriolo della Bennet teneva conto delle minacce incombenti sui fondamentali diritti umani e sulla sicurezza fisica di Assange, come descritti da Geoffrey Robertson QC [QC, Queen’s Counsel – avvocato difensore di Assange -n.d.t.] nell’udienza per l’estradizione dell’11 gennaio a Londra.
In risposta alla Bennet, l’editore dell’agenzia online svedese Nordic New Network, Al Burke, ha scritto all’Observer spiegando che “risposte plausibili alla domanda tendenziosa dei Catherine Bennet” erano sia criticamente importanti sia liberamente accessibili. Assange era rimasto in Svezia per più di cinque settimane dopo che erano state formulate le accuse di stupro – successivamente archiviate dal procuratore capo di Stoccolma – e che erano falliti ripetuti tentativi suoi e del suo avvocato svedese di incontrare un secondo procuratore che aveva riaperto il caso dopo l’intervento di un politico del governo. E tuttavia, come ha puntualizzato Burke, questo procuratore gli aveva concesso il permesso di recarsi a Londra dove [Assange] “si era offerto per essere sentito”, una prassi normale in casi simili.” Sembra dunque strano, al minimo, che il procuratore abbia poi emesso un Mandato di Arresto Europeo. L’ Observer non ha pubblicato la lettera di Burke.
Questo chiarimento dei precedenti è cruciale perché descrive il comportamento perfido delle autorità svedesi, una sequenza bizzarra confermatami da altri giornalisti di Stoccolma e dall’avvocato svedese si Assange, Bjorn Hurtig. Non solo questo: Burke ha catalogato i pericoli imprevisti che Assange correrebbe se fosse estradato in Svezia. “I documenti diffusi da WikiLeaks da quando Assange si è trasferito in Inghilterra” ha scritto, “indicano chiaramente che la Svezia si è costantemente sottomessa alle pressioni degli Stati Uniti in questioni relative ai diritti civili. Vi sono notevoli motivi di preoccupazione che se Assange venisse preso in custodia dalle autorità svedesi, potrebbe essere consegnato agli Stati Uniti senza la dovuta considerazione per i suoi diritti legali.”
Tali documenti sono stati virtualmente ignorati in Inghilterra. Essi dimostrano che la classe politica svedese si è spinta molto lontano dalla neutralità percepita di una generazione fa e che l’apparato militare e dei servizi segreti del paese non è che assorbito nella matrice di Washington della NATO. In un dispaccio del 2007 l’ambasciata USA a Stoccolma elogia il governo svedese dominato dal conservatore Partito Moderato del primo ministro Frederik Reinfeldt come espressione “di una nuova generazione politica e non legato alle tradizioni [antiamericane] [e] in pratica un partner forte e pragmatico della NATO, avendo truppe sotto comando NATO in Kossov e in Afghanistan.”
Il dispaccio rivela come la politica estera sia controllata da Carl Bildt, l’attuale ministro degli esteri, la cui carriera è stata basata su una lealtà verso gli Stati Uniti che risale alla guerra del Vietnam quando attaccò la televisione pubblica svedese per aver trasmesso le prove che gli USA stavano bombardando obiettivi civili. Bildt ha giocato un ruolo dirigenziale in Comitato per la Liberazione dell’Iraq, un gruppo di pressione (lobby) con stretti legami con la Casa Bianca di George W. Bush, la CIA e l’estrema destra del Partito Repubblicano.
“Il significato di tutto questo per il caso Assange” nota Burke in uno studio recente, “è che saranno Carl Bildt e forse altri membri del governo Reinfeldt che decideranno – apertamente o, più probabilmente, in modo furtivo dietro una facciata di legalità formale – se approvare o meno la richiesta di estradizione anticipata dagli Stati Uniti. Tutto nel loro passato indica che tale richiesta verrà accolta.”
Nel dicembre 2001, ad esempio, con la “guerra al terrore” in corso, il governo svedese revocò improvvisamente lo status di rifugiati politici a due egiziani, Ahmed Agiza e Mohammed al-Zari. Essi furono consegnati a una squadra di rapitori della CIA all’aeroporto di Stoccolma e “resi” all’Egitto, dove furono torturati. Quando il Difensore Civico svedese per la Giustizia indagò e scoprì che i loro diritti umani erano stati “gravemente violati”, era troppo tardi.
Le implicazioni per il caso Assange sono chiare. Entrambi gli uomini furono espulsi senza il giusto processo legale e prima che i loro avvocati potessero depositare gli appelli presso la Corte Europea per i Diritti Umani e in risposta a una minaccia USA di imporre un embargo commerciale alla Svezia. L’anno scorso Assange ha chiesto la residenza in Svezia, sperando di creare là la base di WikiLeaks. E’ convinzione diffusa che Washington abbia avvertito la Svezia, attraverso reciproci contatti a livello di intelligence, delle potenziali conseguenze. In dicembre il procuratore Marianne Ny, che ha riattivato il caso Assange, ha discusso sul suo sito web della possibilità dell’estradizione di Assange negli USA.
Quasi sei mesi dopo che le accuse sessuali erano state rese pubbliche, Julian Assange non è stato accusato di alcun crimine ma il suo diritto alla presunzione d’innocenza è stato volontariamente negato. Lo svolgimento degli eventi in Svezia è stato, a dir poco, farsesco. L’avvocato australiano James Catlin, che ha lavorato per Assange in ottobre, descrive il sistema giudiziario svedese come “uno zimbello … Non c’è alcun precedente di questo. Gli svedesi se lo sono inventato strada facendo.” Egli afferma che Assange, a parte notare contraddizioni nel caso, non ha pubblicamente criticato le donne che avevano avanzato le accuse contro di lui. E’ stata la polizia che hanno passato una dritta al corrispondente svedese dal Sun, l’Espressen, con materiale diffamatorio contro di loro, dando il via a un processo mediatico in tutto il mondo.
In Inghilterra quel processo ha ricevuto il benvenuto da procuratori ancora più ansiosi, BBC in testa. Non c’è stata alcuna presunzione d’innocenza nel tribunale del Newsnight di Kirsty Mark a Dicembre. “Perché semplicemente non si scusa con le donne?” ha preteso da Assange, proseguendo: “Abbiamo la sua parola d’onore che non fuggirà?” Sul programma di Radio 4 Today, John Humphrys, compagno di Catherine Bennet, ha detto ad Assange che aveva il dovere di rientrare in Svezia “perché la legge dice che deve.” Il dittatoriale Humphry, tuttavia, aveva interessi più pressanti. “Lei è un predatore sessuale?” ha chiesto. Assange ha replicato che la domanda era ridicola, al che Humphrys ha preteso di sapere con quante donne avesse dormito.
“La stessa Fox News sarebbe scesa a un livello simile?” si è chiesto lo storico americano William Blum. “Vorrei che Assange fosse cresciuto, come me, nelle strade di Brooklyn. Allora avrebbe saputo esattamente come rispondere a una simile domanda: “Le intende, compresa sua madre?”
Quel che colpisce di più in queste “interviste” non tanto la loro arroganza e la mancanza di umiltà morale e intellettuale; è la loro indifferenza ai temi fondamentali della giustizia e della libertà e la loro imposizioni di termini di riferimento meschini e pruriginosi. Fissare confini simili consente all’intervistatore di sminuire la credibilità giornalistica di Assange e di WikiLeaks, le cui notevoli realizzazioni sono in vivido contrasto con le loro. E’ come osservare i vecchi e obsoleti guardiani dello status quo lottare per evitare l’emergere del nuovo.
In questo processo mediatico vi è una dimensione tragica, ovviamente per Assange, ma anche per il meglio del giornalismo tradizionale. Avendo pubblicato un mare di edizioni professionalmente brillanti con le rivelazioni di WikiLeaks, festeggiate in tutto il mondo, il Guardian ha recuperato la sua proprietà di interprete del sistema il 17 dicembre, rivoltandosi contro la sua fonte assediata. Un articolo importante del maggiore corrispondente Nick Davies dichiarava di aver ottenuto il fascicolo della polizia svedese “completo” con le sue “nuove” e “rivelatori” bocconi salaci.
L’avvocato svedese di Assange Bjorn Hurtig afferma che dal fascicolo dato a Davies manca prove cruciali, compreso “il fatto che le donne sono state reinterrogate ed è stata data loro la possibilità di cambiare i loro racconti” e i messaggi Twitter e SMS tra di loro, che sono “fondamentali per far giustizia in questo caso.” Sono omesse anche prove vitali a discolpa, come la dichiarazione del procuratore originale, Eva Finne, che “Julian Assange non è sospetto di stupro”.
Avendo esaminato l’articolo di Davies, l’ex avvocato di Assange, James Catlin, mi ha scritto: “La completa assenza di un giusto processo in questo caso è la [vera] storia e Davies la ignora. Perché è importante il giusto processo? Per gli enormi poteri di due bracci del governo sono stati portati a gravare sulla persona la cui libertà e reputazione sono in discussione.” Aggiungerei: così è la vita.
Il Guardian ha tratto enorme vantaggio dalle rivelazioni di WikiLeaks, in molti modi. D’altro canto, WikiLeaks, che sopravvive per lo più grazie a piccole donazioni e non più ricevere fondi attraverso molte banche ed emittenti di carte di credito grazie alle prepotenze di Washington, non ha ricevuto nulla dal giornale. In febbraio la Random House pubblicherà un libro del Guardian che sicuramente sarà un lucroso bestseller e che Amazon sta pubblicizzando come ‘La fine della segretezza: l’ascesa e caduta di Wikileaks’. Quando ho chiesto a David Leigh, il dirigente del Guardian responsabile del libro cosa si intendesse con ‘caduta’ mi ha risposto che Amazon aveva sbagliato e che il titolo provvisorio era ‘L’ascesa (e caduta?) di WikiLeaks’. “Nota le parentesi e il punto di domanda” ha scritto. “Comunque non era quello da pubblicare.” (Il libro è ora descritto sul sito web del Guardian come ‘WikiLeaks: la guerra alla segretezza di Assange vista dall’interno’). Comunque, preso nota di tutto ciò, la sensazione è che i giornalisti “veri” siano di nuovo in sella. Gran brutta cosa per il ragazzo nuovo che non è mai stato dei loro.
L’11 gennaio, la prima udienza per l’estradizione di Assange si è tenuta presso il Tribunale Civile di Belmarsh, un indirizzo tristemente famoso perché è qui che, prima dell’avvento delle disposizioni sulle restrizioni (*) le persone venivano consegnate alla Guantanamo inglese, Belmarsh. [(*) ‘control orders’, disposizioni sulle restrizioni alla libertà personale introdotti con la legge sulla Prevenzione del Terrorismo, nel 2005 – n.d.t.] Lo spostamento dal tribunale civile ordinario di Westminster, secondo le autorità, è stato dovuto alla mancanza di strutture per la stampa. Che la cosa sia stata annunciata nel giorno in cui il Vicepresidente USA Joe Biden dichiarava Assange un “terrorista high tech” è stato senza dubbio una coincidenza, anche se il messaggio non lo era.
Per parte sua Julian Assange è altrettanto preoccupato di cosa accadrà a Bradley Manning, la presunta ‘gola profonda’, trattenuto in condizioni orribili che la Commissione Nazionale USA sulle Carceri ha definito “ambigue”. A ventitre anni il soldato scelto Manning è il principale prigioniero per motivi di coscienza del mondo, essendosi mantenuto fedele al Principio di Norimberga che ogni soldato ha il diritto a una “scelta morale”. La sua sofferenza ridicolizza il concetto di ‘terra dei liberi’.
“Le fonti di fughe di notizie dall’interno del governo” ha affermato Barack Obama, nella sua corsa alla presidenza nel 2008 “sono parte di una democrazia sana e devono essere protette da rappresaglie.” Da allora Obama ha perseguito e processato più ‘gole profonde’ di ogni altro presidente della storia americana.
“Incrinare Bradley Manning è il primo passo” mi ha detto Assange. “Lo scopo è chiaramente di spezzarlo e di costringerlo a confessare che in qualche modo ha cospirato con me per danneggiare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Di fatto non ho mai sentito il suo nome prima che venisse pubblicato sulla stampa. La tecnologia di WikiLeaks è stata progettata fin dall’inizio per garantire che noi non conosceremo mai le identità o i nomi delle persone che ci sottopongono materiale. Siamo irrintracciabili così come siamo incensurabili. E’ l’unico modo per garantire alle fonti che sono protette.”
Aggiunge: “Penso che quella che sta emergendo nei media tradizionali sia la consapevolezza che se io posso essere incriminato, anche altri giornalisti possono esserlo. Persino il New York Times è preoccupato. Non era una cosa usuale. Se un informatore veniva processato, gli editori e i giornalisti erano protetti dal Primo Emendamento che i giornalisti davano per scontato. Questo si è perso. Non è stata la diffusione dei diari della guerra in Iraq e Afghanistan, con le loro prove delle uccisioni di civili, a causare questo; è l’aver messo a nudo e imbarazzato la classe politica; la verità di ciò che i governi dicono in segreto, come mentono in pubblico; come sono scatenate le guerre. Non vogliono che il pubblico conosca queste cose e si devono trovare dei capri espiatori.”
Che dire delle allusioni alla “caduta” di WikiLeaks? “Non c’è nessuna caduta” ha detto. “Non abbiamo mai pubblicato tanto quanto ora. WikiLeaks è ora riflesso (mirrored) in più di 2.000 siti web. Non sono in grado di tenere il conto dei siti derivati (spin-off); quelli che stanno facendo il loro WikiLeaks … Se accade qualcosa a me o a WikiLeaks saranno diffusi i documenti che ci “assicurano”. Dicono di più riguardo alla stessa verità sul potere, media compresi. Ci sono 504 dispacci di ambasciate USA su una compagnia di diffusione mediatica e ci sono dispacci su Murdoch e la Newscorp.”
La propaganda più recente sui “danni” causati da WikiLeaks è un avvertimento del Dipartimento di Stato USA a “centinaia di attivisti dei diritti umani, dirigenti di governi stranieri e persone delle imprese, identificati nei documenti diplomatici fatti trapelare, di possibili minacce alla loro sicurezza.” E’ questo il modo in cui il New York Times ha doverosamente riferito la cosa l’8 gennaio, ed è un falso. In una lettera al Congresso, il Segretario alla Difesa Robert Gates ha ammesso che nessuna fonte sensibile di informazioni è stata compromessa. Il 28 novembre la McClatchy Newspapers [terza catena giornalistica USA – n.d.t.] ha riferito che “funzionari USA hanno ammesso che non ci sono prove sinora che la [precedente] diffusione di documenti abbia condotto alla morte di qualcuno.” La NATO a Kabul ha dichiarato alla CNN di non essere stata in grado di identificare una singola persona che necessitasse di protezione.
Il grande commediografo americano Arthur Miller ha scritto: “Il pensiero che lo stato … stia punendo così tanti innocenti è intollerabile. E pertanto le prove devono essere negate dentro di noi.” Ciò che WikiLeaks ci ha dato è la verità, compreso un raro e prezioso approfondimento circa i modi e i motivi per cui cosi tanti innocenti hanno sofferto in regni del terrore travestiti da guerre, e sono stati giustiziati in nome nostro; e ora gli Stati Uniti sono intervenuti segretamente e arbitrariamente sui governi democratici, dall’America Latina al loro più leale alleato, l’Inghilterra.
Javier Moreno, editore di El Pais , che ha pubblicato i documenti di WikiLeaks in Spagna, ha scritto: “Io credo che l’interesse globale suscitato dai documenti WikiLeaks sia principalmente dovuto al semplice fatto che essi rivelano in modo conclusivo la misura in cui i politici dell’Occidente hanno mentito ai propri cittadini.”
Annientare singoli individui come Assange e Bradley Manning non è difficile per una grande potenza, per quanto vile. Il punto è che non dovremmo permettere che accada il che significa che quelli tra noi che si ritiene debbano preservare la verità non debbono collaborare in alcun modo. La trasparenza e l’informazione, per parafrasare Thomas Jefferson, sono la “moneta” della libertà democratica. “Ogni organizzazione giornalistica” mi ha detto un eminente avvocato costituzionale americano “dovrebbe riconoscere che Julian Assange è uno dei suoi e che il suo processo avrà un effetto enorme e agghiacciante sul giornalismo.”
Il mio documento segreto preferito – fatto trapelare da WikiLeaks, ovviamente – viene dal Ministero della Difesa di Londra. Descrive i giornalisti al servizio del pubblico senza paura o favoritismi come “sovversivi” e “minacce”. Una bella medaglia al valore!
(Il nuovo film di John Pilger ‘La guerra che non si vede’ è disponibili in Inghilterra su DVD.www.johnpilger.com)
Traduzione a cura di Giuseppe Volpe – Fonte: znetitaly.org

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