domenica 21 aprile 2013

Il samurai colto nell'intimo

CLAUDIA GUALDANA
Il samurai colto nell'intimo
Wiston L. King, "Lo Zen e la via della spada. La formazione del samurai", Ubaldini Editore, Roma 2001, pagg. 292, L. 46.000.
La guerra è barbarie. Ma in tempi neanche troppo remoti, quando lo scontro era diretto, da uomo a uomo, essa fu soprattutto disciplina, rigore spartano e rito iniziatico, sia a Oriente sia a Occidente. Tuttavia, esiste un'eccezione nel mondo orientale, costituita dal Giappone. Una variante piuttosto vistosa, che sconcertò avversari e alleati nel corso dei conflitti moderni. Di questa ha scritto Yukio Mishima in La voce degli spiriti eroici (Se, 1998), celebrando l'eroismo di giovani soldati incapaci di fuga e sprezzanti della morte: i kamikaze.
Solo una cultura speciale può produrre guerrieri altrettanto speciali. E in effetti, soltanto il Giappone ha avuto la sorte di essere governato per settecento anni, fino al tardo XIX secolo, da dinastie di guerrieri, i Samurai. Poi entrati, a causa della globalizzazione, nell'immaginario collettivo con il loro corredo di movenze e paramenti. Tuttavia per comprendere la verità dietro "l'esotismo" è necessario documentarsi sulle arti marziali, sulla tipologia delle armi e (qualcuno si stupirà) sul particolare buddhismo attecchito nel Paese del Sol Levante.
In origine si chiamava Ch'an, e proveniva dalla più dotta Cina. Era il VI secolo dopo Cristo, nel Giappone pagano si diramò in sette e il suo nome assunse il suono metallico della parola Zen. La sua storia avanzò intrecciando le sorti del potere, com'è accaduto ovunque, per ogni culto, in ogni recesso del globo. Ma laggiù il suo ruolo fu più radicale di quello della preghiera e della difesa del regno di Dio sulla terra. Lo spiega bene Wiston L. King in un ottimo saggio pubblicato da Ubaldini, Lo zen e la via della spada. Studioso di religione comparata e docente alla Vanderbilt University, King ci lascia sospettare un minimo di frequentazione delle discipline marziali dell'Estremo Oriente.
Infatti, la sua analisi comprende lo studio delle armature, delle tecniche di guerra, delle armi e dell'educazione di un Samurai. Ma in modo particolare consente di afferrare il senso del buddhismo zen per il guerriero, che in Giappone, a partire dal primo Medioevo, si sottoponeva a laboriose sedute di meditazione al pari dì un monaco. Egli temeva il maestro e attendeva ai suoi insegnamenti con umiltà; tentava timidamente di risolvere i koan, gli enigmi zen per ripulire la mente dalle false certezze. Il rigore e la sobrietà spartana del monastero ben si addicevano alle asperità della sua esistenza, spesa in battaglia fin dalla prima giovinezza. E gli insegnavano a separarsi dalla via senza lacrime, sapendo che in fondo, essa non era che apparenza.

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010304g.htm

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