domenica 21 aprile 2013

Fortuna degli inni orfici

LUCIANO CANFORA
Fortuna degli inni orfici
Versi per iniziati al credo più alto
Sin dal principio della stampa l’edizione degli ottantasei Inni orfici ha visto una straordinaria fioritura. All’inizio del Cinquecento escono quasi contemporaneamente tre edizioni dovute ai maggiori editori di classici che all’epoca dominavano la scena: Aldo Manuzio a Venezia, Giunta a Firenze, Enrico Stefano a Parigi. Giuseppe Scaligero vi si cimentò con passione ed in appena cinque giorni tradusse la singolare raccolta in versi latini arcaizzanti, perché solo un latino arcaico gli sembrava adeguato ad un testo reputato antichissimo. La traduzione di Scaligero rimase inedita, ma la pubblicò postuma un altro grandissimo: Isacco Casaubon. E si potrebbe seguitare lungamente con questa galleria di interpreti - fino a Gottfried Hermann al principio dell’Ottocento (1805) - attratti dal suggestivo testo dall’aspetto iniziatico. Nel 1783 Johann Heinrich Füssli, detto «Obmann Füssli», uno dei pilastri della Repubblica elvetica alla fine del Settecento, fece stampare nello «Schweizerisches Museum», da lui fondato, un saggio in cui si sosteneva che questi inni erano stati, in origine, liturgie di alcuni misteri greci dei quali Orfeo era reputato l’artefice ed il cui fine era di condurre gli adepti, gli «iniziati», dalla religione «pubblica», diffusa tra il volgo, a forme di religiosità più libere e più elevate (una intuizione che era già in Clemente Alessandrino). Al centro di una siffatta religiosità, racchiusa in questi inni, vi sarebbe un’idea-forza: celebrare la natura e le sue risorse, evocate attraverso il ricorso ai nomi della mitologia tradizionale, adoperati dunque in una funzione puramente strumentale.
Una tale escogitazione - concludeva il saggista - aveva consentito all’antico innografo di tenersi lontano sia da una dottrina troppo rarefatta, sia dagli errori in cui sarebbero incorsi Spinoza e altri moderni pensatori. Del resto cinquant’anni prima non aveva Jacob Brucker, nel primo volume della sua Storia critica della filosofia «a mundi incunabulis» (1742), dedicato un’intera sezione all’«infanzia» della filosofia greca (la philosophia fabularis ) ed in particolare all’insegnamento «orfico»-misterico e alle sue origini? Brucker, in tutta serietà, riconduceva la straordinaria profondità e la forza anticipatrice dell’insegnamento orfico all’esperienza di «vita» di Orfeo dagli Iperborei agli Egizi, in conformità con una ben nota attestazione di Diodoro Siculo (I,96). Sul versante della storia letteraria Harles, nel rifacimento della Bibliotheca fabriciana, dà al corpus orfico un rilievo enorme, probabilmente nel solco dell’importante saggio del barone di Sainte-Croix, coevo del saggio edito da Füssli, Mémoires pour servir à l’histoire de la religion secrète des anciens peuples, ou Recherches historiques et critiques sur les mystères du paganisme . Nel medesimo anno 1784 usciva a Norimberga il saggio di Paul J. Vogel, rettore della «Schola Sebaldina», intitolato Lettere sulla Massoneria

http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/001223a.htm

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