domenica 21 aprile 2013

Buddha, le parole del sacro che vive da 2500 anni

CLAUDIA GUALDANA
Buddha, le parole del sacro che vive da 2500 anni

Da oggi in libreria il primo dei due Meridiani destinati a raccogliere gli insegnamenti del Risvegliato e quelli della tradizione
Le parole del Buddha nascevano da un umano desiderio di quiete imperturbabile, eppure hanno attraversato l’Asia con l’impeto di un fiume in tumulto. Il corso degli insegnamenti del Risvegliato si è diramato in scismi, è cresciuto nelle diatribe dei filosofi. Ha valicato montagne dall’India al Tibet, ha solcato mari dalla Cina al Giappone e all’intero Sud-Est asiatico. Non è semplice sintetizzare duemilacinquecento anni di civiltà in un’opera. Perciò la comparsa del corpus buddhista nella collana «I Meridiani» di Mondadori è da considerarsi un evento. In primis per prestigio dell’orientalistica italiana, di livello internazionale, però poco celebrata in patria. Il curatore dei due volumi intitolati La rivelazione del Buddha, di cui il primo è in libreria oggi (pagine 1.470, lire 95.000), è Raniero Gnoli, ordinario di Indologia alla Sapienza di Roma. Dotto sanscritista, raffinato esegeta del pensiero buddhista e tantrico, Gnoli è stato allievo di Giuseppe Tucci, lo studioso che esordì negli anni Venti a Santiniketan, la scuola fondata dal poeta bengalese Tagore, e che poi entrò nella rosa dei più eminenti orientalisti del XX secolo. Nel solco della più alta tradizione orientalistica vede la luce un’opera importante, in cui rivive la storia dell’unica religione senza Dio. Il Buddha - racconta Gnoli - nacque verso il 566 a.C. nel Nord dell’India, nella famiglia di un agiato signore di campagna. Di bell’aspetto e in possesso di una fortuna, Siddharta, ovvero «colui che ha raggiunto il suo scopo», si sposa a 16 anni e diventa padre. Ma l’esistenza dorata non soddisfa la sua natura e all’età di circa 29 anni lascia tutto per cercare la verità. Celebri sono le sue peregrinazioni attraverso l’India. Sappiamo dei lunghi digiuni ascetici, del suo corpo ormai macilento, della provvidenziale coppa di riso che lo salva da una morte sicura.
Fino a quando, a Bodhgaya, «ai piedi di una ficus religiosa», nella primavera del 531 il suo occhio divino si apre e ottiene l’illuminazione. Siddharta Gautama da quel momento è il Buddha, il Risvegliato, e si avvia a Benares predicando la sua verità.
Egli raccoglie discepoli attorno a sé, espone il suo pensiero e mai scrive. Saranno i suoi figli spirituali, i monaci, a redarre i testi sacri, a togliere e aggiungere nei secoli, a dibattere nelle Università il suo verbo, nella straordinaria vicenda dell’affermazione di un «culto» che è anche una civiltà. La ripartizione in due tomi de La rivelazione del Buddha riflette la suddivisione della dottrina nei due rami principali in cui si spezza la comunità. Se nel secondo troveremo i tesori della tradizione mahayana, più noti al pubblico occidentale, nelle quattro sezioni che compongono il primo compaiono i testi sacri dei Theravidin, i seguaci della scuola «degli anziani», detta hinayana. Si tratta del canone pali, redatto dall’allora esigua comunità buddhista tra il IV e il III secolo a.C., per tradizione suddiviso in tre sezioni: Vinayapitaka, canestro per le regole disciplinari dei monaci, Suttapitaka, raccolta dei discorsi del Buddha e Abhidhammapitaka, canestro della dottrina.
A questi si aggiungono i capolavori dei massimi commentatori. Troviamo Il cammino verso la purificazione di Buddhaghosa, leggiamo il Buddhacarita , ovvero Le gesta del Buddha, composto nel I secolo d.C. da Asvaghosa, al cui stile si ispirò Kalidasa, il celebre poeta.
Tra una raccolta di Jataka, le storie delle vite precedenti del Buddha, e un codice monastico scoperto solo nel 1931, compare anche un dialogo tra il monaco Nagasena e il re indogreco che fa tanto pensare a Menandro. C’è spazio per riflettere e consultare, in queste 1.470 pagine. Ma anche, semplicemente, per leggere: il testo sacro talvolta cela un capolavoro letterario.

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