domenica 21 aprile 2013

Al Jazeera censurata

   
 

 
di Donatella Ratta
11 gennaio 2004
FONTE: il Manifesto

Al Jazeera nella polvere, ma po' più sottobanco rispetto a quando stava sull'altare. Le ultime notizie sulla tv all news qatarense non sono buone notizie, eppure non circolano, forse perché anche Al Jazeera sta cadendo nell'impietoso dimenticatoio dei media, o piuttosto perché ci sono ancora una volta in ballo gli Usa, e la loro ormai scientifica campagna di soffocamento delle voci scomode. Dopo il clamoroso licenziamento della giornalista inglese Yvonne Ridley, senior editor del sito web in inglese di Al Jazeera, tocca ora a Shaista Aziz. Ex Bbc, anche lei british, anche lei impiegata del sito web in inglese dell'emittente all news: anche lei licenziata in «strane» circostanze. Il portavoce della rete, Jihad Ali Ballout, ha dichiarato che è facoltà del caporedattore tirare le fila, dopo tre mesi, dell'attività dei giornalisti che operano sul sito di Al Jazeera e che, probabilmente, è stato giudicato che la Aziz non fosse professionalmente adatta all'incarico. Ma la motivazione non convince, e il licenziamento giunge a troppo breve distanza da quello della Ridley, ancora più clamoroso perché ha toccato una giornalista con 25 anni di esperienza, assunta da Al Jazeera come senior editor del sito proprio per la sua professionalità e, forse, anche per la sua visione critica della politica statunitense. Che più tardi ha invece probabilmente segnato la fine della sua carriera di giornalista ad Al Jazeera. Non è un mistero, infatti, che l'amministrazione Bush tutta non veda di buon occhio la rete qatarense, e gli uomini del presidente non hanno mai avuto problemi a dirlo pubblicamente.

Lo scorso luglio il vice segretario alla difesa Usa, Paul Wolfowitz, dichiarava in un'intervista alla Fox che proprio Al Jazeera, insieme ad Al Arabiya, rappresentava una minaccia per la sicurezza, fomentando l'odio e la propaganda antiamericana e mettendo in pericolo le vite dei soldati statunitensi in Iraq. Aggiungeva che i governi sostenitori di queste emittenti «dovrebbero metterla e realizzare che non è un gioco», e minacciava pressioni ai suddetti per ottenere «una copertura informativa più equilibrata». Più tardi, alle minacce sono subentrati i fatti: nello scorso settembre il Consiglio provvisorio del governo iracheno stabiliva la chiusura temporanea delle telecamere delle due reti su tutte le attività ufficiali a Baghdad per due settimane. A novembre, ad Al Arabiya viene ratificata la cacciata definitiva dall'Iraq, causa la messa in onda di una registrazione dove Saddam Hussein incita all'assassinio dei membri del Consiglio provvisorio iracheno; mentre Al Jazeera miracolosamente scampa, pur continuando a mandare in onda le famigerate dichiarazioni di Bin Laden (ultima quella di qualche giorno fa), non certo indulgenti nei confronti degli Usa e dell'occupazione nel paese. Dentro Al Jazeera probabilmente è in corso un'epurazione più sotterranea, più silenziosa, ma non per questo meno pericolosa. Che l'aria a Doha cominciava a cambiare si è capito lo scorso ottobre, quando Al Jazeera non ci ha pensato troppo su a togliere, sia dal sito in inglese che da quello in arabo, due animazioni che avevano fatto andare Washington su tutte le furie.

Una raffigurava giovani uomini che entrano in un tunnel dell'ufficio immigrazione Usa e ne escono soldati in Iraq; l'altra, ancora più tagliente, mostrava due gigantesche pompe di benzina al posto delle Torri Gemelle. All'episodio avevano fatto seguito voci - riportate su un quotidiano kuwaitiano, mai confermate ufficialmente- di una precisa richiesta dai massimi vertici dell'amministrazione americana all'emiro del Qatar di moderare i toni di Al Jazeera, sostituendo i suoi giornalisti con professionisti più «equilibrati», pena la seria revisione degli accordi economici e militari con gli Usa. Dopo, il silenzio. Difficile non collegare i cambi ai vertici della rete qatarense a queste minacce «di corridoio»: nuovi capiredattori e un nuovo direttore generale, Waddah Khanfar, ex capo dell'ufficio di Baghdad e primo giornalista arabo ad aver intervistato Paul Bremer (anche se dalla tv venne fatto salvo immediatamente che si trattava di normali aggiustamenti professionali ed amministrativi).

Eppure è soprattutto il sito in inglese la parte debole e maggiormente soggetta agli attacchi e alle censure, come fanno sospettare i recenti licenziamenti. Non è difficile indovinare perché, trattandosi di uno strumento che si rivolge ad un pubblico anche occidentale, in una lingua comprensibile a molti come l'inglese. Mentre, per certi versi, la diffusione delle cassette di Bin Laden continua a fornire un alibi plausibile alla guerra contro il terrorismo e ai grossi investimenti economici Usa su questo fronte.
E fra poco debutterà in Medio Oriente anche l'anti Al Jazeera, quella firmata dall'amministrazione Bush per guadagnarsi i favori delle popolazioni arabe: sarà in arabo ma trasmetterà dalla Virginia, e si chiamerà Al Hurra («la libera»). Al Jazeera, intanto, controbatte con l'annuncio dell'apertura di un nuovo fronte. Fra un mese lancerà un ufficio stabile a Tokyo, puntando alla vicinanza strategica con una possibile zona di crisi, la Corea del Nord, che molti danno come probabile prossimo obiettivo della guerra al terrorismo.
 
 
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