venerdì 12 aprile 2013

12 Agosto 2010, Perché WikiLeaks non fermerà la guerra



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AGO


12 agosto 2010 By Noam Chomsky
I Registri di Guerra – un archivio di sei anni di documenti militari segreti sulla guerra in Afghanistan pubblicato su Internet dall’organizzazione WikiLeaks – documentano una guerra feroce che, vista dalla prospettiva USA, si sta facendo più feroce ancora. E, per gli afgani, un crescendo di orrore.
I Registri di Guerra, per quanto preziosi, possono contribuire alla disgraziata dottrina prevalente secondo la quale le guerre sono sbagliate solo se non hanno successo, un po’ il sentimento provato dai nazisti dopo Stalingrado.
Il mese scorso è arrivato il fiasco del generale Stanley A. McChrystal, costretto a dimettersi da comandante delle forze USA in Afghanistan e sostituito dal suo superiore, il generale David H. Petraeus.
Una conseguenza plausibile è l’allentamento delle regole di ingaggio, in modo tale da rendere più facile uccidere civili, e un’estensione della guerra in là nel futuro mentre Petraeus usa il suo prestigio presso il Congresso per conseguire questo risultato.
Quella in Afghanistan è la principale guerra attuale di Obama. Lo scopo ufficiale è quello di proteggerci da al-Qaida, un’organizzazione virtuale, priva di basi specifiche, una ‘rete di reti’ e una ‘resistenza priva di leader’ come è stata definita nella letteratura professionale. Oggi, anche più di prima, al-Qaida è costituita da fazioni relativamente indipendenti, associate in modo non molto stretto a livello mondiale.
La CIA stima che siano ora in Afghanistan da 50 a 100 attivisti e non vi sono indicazioni che i talebani vogliano ripetere l’errore di offrire un santuario ad al-Qaida.
Per contro, i talebani risultano ben assestati nel loro paesaggio inaccessibile, una vasta parte dei territori Pashtun.
In febbraio, nella prima applicazione della nuova strategia di Obama, i marines USA hanno conquistato Marja, un distretto minore della provincia di Helmand, il centro principale dell’insurrezione.
Nella zona, riferisce Richard A. Oppel Jr del New York Times, “i marines si sono scontrati con una identità talebana così dominante che il movimento appare più simile all’unica organizzazione politica di una città a partito unico, con un’influenza che si estende a tutti.”
“Abbiamo dovuto rivedere la nostra definizione del termine ‘nemico’” ha affermato il generale di brigata Larry Nicholson, comandante del corpo di spedizione della marina nella provincia di Helmand. “La maggior parte delle persone si identifica come talebana. Dobbiamo rettificare il nostro modo di pensare e perciò non stiamo cercando di cacciare i talebani da Marja, cerchiamo di cacciare il nemico.”
I marines si trovano di fronte a un problema che ha sempre tormentato i conquistatori e che è molto familiare agli USA sin dal Vietnam. Nel 1969 Douglas Pike, il principale studioso del Vietnam del governo USA, si lamentava che il nemico – il Fronte di Liberazione Nazionale – era l’unico “partito politico realmente di massa nel Vietnam del Sud.”
Qualsiasi sforzo di competere politicamente con un nemico simile sarebbe come un conflitto tra un’acciuga e una balena, riconosceva Pike. Per questo abbiamo dovuto prevalere sulla forza politica del FLN utilizzando il nostro vantaggio competitivo, la violenza; con risultati orribili.
Altri hanno dovuto confrontarsi con problemi analoghi: ad esempio i russi in Afghanistan negli anni ’80, quando vinsero ogni battaglia ma persero la guerra.
Scrivendo di un’altra invasione USA – le Filippine nel 1898 – Bruce Comings, uno storico dell’Asia all’Università di Chicago, ha fatto un’osservazione che si applica sin troppo bene all’Afghanistan di oggi: “Quando un marinaio vede che la direzione che sta seguendo è disastrosa, cambia rotta. Ma gli eserciti imperiali affondano i loro stivali nelle sabbie mobili e continuano a marciare, fosse pure in cerchio, mentre i politici saccheggiano il frasario degli ideali americani.”
Dopo il trionfo di Marja, ci si aspettava che le forze guidate dagli USA assalissero la città principale di Kandahar, dove, secondo un sondaggio di aprile dell’esercito USA, dove alle operazioni militari si oppone il 95% della popolazione e cinque persone su sei considerano i talebani “i nostri fratelli afgani”, echi, questi, di conquiste anteriori. I piani per Kandahar sono stati dilazionati, parte del contesto della partenza di McChrystal.
In circostanze simili non sorprende che le autorità USA temano che il sostegno del pubblico alla guerra in Afghanistan venga ulteriormente eroso.
In maggio WikiLeaks ha reso pubblico un memorandum della CIA di marzo riguardante il modo in cui sostenere l’appoggio dell’Europa alla guerra. Sottotitolo del memorandum: “Perché contare sull’apatia potrebbe non essere sufficiente.”
La bassa evidenza presso il pubblico della missione in Afghanistan ha consentito ai capi di Francia e Germania di ignorare l’opposizione popolare e di aumentare rapidamente il proprio contributo in truppe alla Forza Internazionale di Assistenza alla Sicurezza” afferma il memorandum.
“Berlino e Parigi attualmente mantengono il terzo e quarto livello di truppe ISAF più elevato, nonostante l’opposizione all’impiego di maggiori forze ISAF dell’80% dei tedeschi e francesi intervistati.” E’ pertanto necessario “personalizzare i messaggi” per “prevenire o almeno contenere le ripercussioni”.
Il memorandum della CIA dovrebbe ricordarci che gli stati hanno un nemico interno: il popolo, che deve essere controllato quando l’opinione pubblica si oppone alla politica statale.
Le società democratiche fanno affidamento non sulla forza bensì sulla propaganda, manipolando il consenso con “inganni necessari” e “ipersemplificazioni emotivamente potenti”, per citare il filosofo preferito di Obama, Reinhold Niebuhr.
La battaglia per controllare il nemico interno, quindi, rimane altamente giustificata; in realtà il futuro della guerra in Afghanistan può dipendere da essa.
Traduzione a cura di Giuseppe Volpe – Fonte: znetitaly.org

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