sabato 23 febbraio 2013

Un "linguaggio della verità" dominato dalla parola "crisi"


L'ANALISI LINGUISTICA


di MASSIMO ARCANGELI*


Il Presidente della Repubblica ha fatto 13. Sono le volte che, nel consueto discorso di fine anno, Giorgio Napolitano ha pronunciato la parola crisi, da sola o accompagnata ("crisi finanziaria", "crisi mondiale", "pesante crisi"). Più della parola che, per ovvi motivi, nessuno dei nove presidenti prima di Napolitano - da Luigi Einaudi (1949) in poi - ha potuto evitare di far propria nel tradizionale messaggio augurale agli italiani, prima alla radio e poi in tv: anno, naturalmente. Il nostro presidente l'ha onorata di 8 citazioni. Con le 4 occorrenze del plurale fa un bel 12; ragguardevole, senz'altro, ma pur sempre un gradino sotto quel 13 che un po' angoscia, un po' muove a gesti apotropaici. 

Spediti in soffitta la patria e il popolo (italiano), non confortati da alcuna menzione, restano, fra le parole più frequenti nella storia dei discorsi presidenziali di fine anno, un misero Stato ("servitori dello Stato") e un'altrettanto misera Repubblica ("Presidente della Repubblica"). Assente è pure nazione, salvata tuttavia in qualche modo, se non certo dalle Nazioni Unite, almeno da quella coesione, quella collettività e quell'unità nazionale che in fondo inducono a non disperare. E non mancano nemmeno - come potrebbero? - gli appelli agli italiani: due volte come riferimento indifferenziato ("Parto di qui per rivolgere il mio tradizionale messaggio di auguri a voi tutti, italiani di ogni generazione e di ogni condizione sociale"; "A voi che mi ascoltate, a tutti gli italiani"), una volta acquartierato in un gender correct "italiane e italiani". Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel lontano 1980 che ha visto per la prima volta un Presidente della Repubblica fare auguri "dedicati" per il nuovo anno; quel presidente era Sandro Pertini, che esordiva così nel suo terzo discorso del 31 dicembre alla popolazione: "italiane e italiani, cari amici". 
E il paese? Il sistema non sarà più quello di una volta, ma il lemma ancora c'è (5 volte); accanto ai "molti altri paesi" la cui economia, come da noi, versa in condizioni drammatiche. E poi democratico ("sistema democratico") e democrazia (1), assenti sia l'uno che l'altra nei corrispondenti discorsi di Einaudi; quell'auspicio a vivere l'"anno che nasce, [p]er difficile che possa essere, con "animo solidale, fermo, fiducioso" che riprende un passaggio del discorso di Gronchi del 1954 ("è dunque con animo fiducioso che ci apprestiamo ad accogliere l'anno che viene"); la serie degli ideali e dei principi, dei valori progressivi o immutabili e dei sentimenti positivi, immancabili in un messaggio augurale: gli stessi valori (4; e valore 1) ma senza i principi, non nominati mai; e ancora libertà (1), solidarietà (2), equità (1), diritti (1) e uguaglianza di diritti (1), coraggio (1), lungimiranza (2), pace (2), fiducia (2). 

Non sono però molte, alla resa dei conti, le 18 attestazioni complessive appena registrate a fronte di quelle 13 annotate per la sola crisi. Si potrebbero aggiungere, ben più che a pareggiare il conto, pericoli (1), insufficienze (1), debolezze (del sistema) (1), problemi (2), difficoltà (2), (drammatica) urgenza (1) e le due occorrenze di gravi e le tre di difficile, contro nessuna di facile; e poi c'è il futuro (2), certo, ma non il progresso; non rispondono all'appello bene e meglio, al contrario di male (1) e peggio (1), e così pure serenità e sereno. Muta la sfera della volontà, parla in sua vece quella dell'impegno: da quello "sollecitato con forza per il Mezzogiorno" alla crisi come "occasione per impegnarci", dai "militari impegnati in missioni difficili e rischiose" al 2009 "che ci impegna a prove più ardue". 

In definitiva, al fondo del discorso presidenziale, quel "linguaggio della verità" il cui esplicito richiamo è la quadratura del cerchio. Fa il pari con il "principio di realtà" difeso coraggiosamente da Pietro Citati, giorni fa, sulle pagine di "Repubblica". 

*(l'autore è linguista e critico letterario, preside della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Cagliari) 

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