giovedì 7 febbraio 2013

Matías Almeyda: rivelazioni shock nel suo libro “Alma y vida”


Matías Almeyda rappresenta l’ultimo caso in ordine cronologico che fa suonare l’ennesimo allarme nel mondo dello sport. Dopo la bufera che ha colpito il ciclismo e che ha visto coinvolto Lance Armstrong, anche nel calcio l’argomento doping è menzionato insieme con la parola “combine”, termini piuttosto familiari al vocabolario del calcio italiano. È vero che non ci sono indagini in corso, ma le dichiarazioni dell’ex calciatore potrebbero alimentare sempre di più lo sconforto degli amanti dello sport. E’ stato infatti pubblicato in Argentina “Alma y vida”, autobiografia di Matías Almeyda, nella quale l’ex calciatore, idolo di tanti tifosi italiani, rivela molti retroscena legati alla sua carriera. L’ex giocatore di Lazio, Parma e Inter, che ora allena la squadra argentina del River Plate, nelle trecento pagine del suo libro fa delle rivelazioni sul periodo in cui giocava in Italia, ammettendo di aver condotto uno stile di vita assai sregolato: “Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite”. Le esperienze negative in Italia sono state molteplici: dai casi di presunto doping ai tentativi di combine. “A Parma ci facevano una flebo prima delle partite, dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono stati casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato”. Anche ai tempi dell’Inter c’erano stati dei problemi, perché la vita borderline l’aveva portato a rischiare la salute. “Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come se fosse Coca Cola, e sono finito in una specie di coma etilico – confessa – Per smaltire, ho corso per cinque chilometri finché ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto cinque ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale”. Infine Almeyda getta un’ombra sullo scudetto vinto dalla Roma nella stagione 2000-2001. “Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Non lo so. Loro lo definivano un favore”. Non spiega altro Matías Almeyda, ma quella partita finì 3-1 per la Roma, che in seguito vinse lo scudetto ai danni della Juventus. L’ex-calciatore sferra anche un pesante attacco a distanza al Parma di Tanzi: “Dopo un litigio con lui, in casa trovai un messaggio mafioso”. E ancora sull’ ex patron del Parma: “Dopo che avevo litigato con Stefano Tanzi, una volta mi ferma la polizia e mi sequestra la macchina. Giorni dopo, mi sono svegliato e la macchina nuova era sparita dal garage. A Milosevic, lui pure in conflitto con la società e con un contratto alto come il mio, capitava lo stesso. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all’interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c’era una manata sulla parete. Fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro. Dopo il Mondiale ’02 a Parma non sono più tornato”. Dichiarazioni che farebbero scalpore, se non si conoscesse la situazione “politica” del calco italiano, imbrigliato continuamente in scandali di questo genere. Almeyda nel suo libro si sfoga, si confessa, si mette a nudo di fronte ai propri tifosi e ai lettori, testimoniando la crisi del mondo dello sport, sempre più caratterizzato da eventi fuori dagli schemi, come quelli a cui si fa riferimento nel libro e ai quali siamo purtroppo abituati. Sarebbe bello invece sentire più spesso casi come quello di Simone Farina, ex calciatore del Gubbio che nel 2011 rifiutò 200.000 euro per truccare la partita di coppa Italia Cesena-Gubbio e denunciò il fatto, mettendo in moto la seconda parte dell’inchiesta sull’Operazione Last Bet. Farina è stato poi costretto ad abbandonare il calcio giocato nell’estate del 2012, non avendo trovato un ingaggio. Che nessuno abbia voluto una “spia” nella propria squadra?
Alessandro Andrea Caruso

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