mercoledì 5 dicembre 2012

Vietti: 'Su Napolitano-pm non è sentenza politica'



La Corte Costituzionale ha accolto il ricorso del Quirinale contro la procura di Palermo sulle intercettazioni del presidente della Repubblica


 Intercettate alcune telefonate di Napolitano

"La Corte costituzionale è una delle massime istituzioni e la sua autonomia e indipendenza non può essere messa in discussione da alcuno, in particolare da chi ricopre incarichi pubblici". Lo ha detto il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, sulla sentenza della Consulta sul conflitto di attribuzione tra il Capo dello Stato e la Procura di Palermo, in risposta all'ex procuratore aggiunto Antonio Ingroia che ha parlato di sentenza politica. "Si tratta - ha aggiunto - di regolamento di confini tra poteri".
CANCELLIERI, SENTENZA MOLTO ATTESA, SIAMO CONTENTI -Una sentenza "molto bella e molto attesa" rispetto alla quale "siamo molto contenti". Così il ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri ha commentato al suo arrivo a Bruxelles la sentenza della Consulta sul conflitto di attribuzioni.
MESSINEO, LE SENTENZE VANNO RISPETTATE E ESEGUITE -"Le opinioni del dottor Ingroia sono opinioni del dottor Ingroia, io non qualifico le sentenze. Sono atti di giustizia e come tali vanno accolte e rispettate ed eseguite, ovviamente nel momento in cui se ne conosce per intero il contenuto". Lo puntualizza a Radio 24 in 'Italia in controluce' il procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo il giorno dopo la decisione della Consulta che accoglie il ricorso del Quirinale.
ANM, SU STATO-MAFIA E ILVA NO A STRUMENTALIZZAZIONI - "Il ricorso alla Corte Costituzionale e le conseguenti decisioni rappresentano il momento istituzionale più elevato di affermazione dei valori e dei principi di garanzia della nostra Costituzione". Per questo su vicende quali il conflitto Quirinale-Pm di Palermo o l'Ilva, "va respinta ogni strumentalizzazione volta ad attribuire a tali elevati meccanismi di garanzia logiche politiche o di contrapposizione fra poteri". Lo sottolinea l'Anm.
"Attribuire alla decisione del massimo organo di garanzia costituzionale un significato politico è impossibile e del tutto fuori luogo", aggiunge l'Anm.
DI PIETRO LANCIA SITO 'IO STO CON INGROIA' - "Noi difendiamo il diritto di ogni cittadino ad esprimere le proprie opinioni, anche se si chiama Ingroia, ed è per questo che abbiamo attivato una mail e un sito (www.iostoconingroia.it) contro la campagna promossa da Il Giornale". Lo dice Antonio Di Pietro, in conferenza stampa a Montecitorio, a commento della sentenza della Corte Costituzionale sulle intercettazioni, dopo che il quotidiano ha lanciato una class action per diffamazione contro il magistrato. "Non entro nel merito sull'opinione di Ingroia - dice Di Pietro - ma affermo il diritto che ognuno possa esprimersi liberamente".
"Voglio esprimere l'inopportunità di una soluzione forzata per una querelle interpretativa che va avanti da 15 anni". "Si tratta di una sentenza legislativa che produce l' effetto perverso di spostare l'attenzione dalla gravità del fatto ". Così Antonio Di Pietro. "L'Idv non intende per questo ingiuriare il Capo dello Stato - ha spiegato - e ha rispetto sia per le istituzioni che per le sentenze, ma abbiamo il dovere di una dichiarazione di verità". "Dalla rappresentazione dei media della vicenda ne esce una Procura che oggettivamente appare sconfitta. Questa sconfitta - ha aggiunto - viene vista riportata al procedimento principale, che è la trattativa tra Stato e mafia, che invece c'é stata, come è stato riconosciuto anche dalla Procura di Firenze".
CONSULTA: SI' RICORSO COLLE, DISTRUGGERE INTERCETTAZIONI - di Eva Bosco
Il ricorso di Giorgio Napolitano è stato accolto. Le intercettazioni andranno distrutte. La Corte Costituzionale ha messo la parola fine a una vicenda, non priva di risvolti politici, che ha opposto in un conflitto d'attribuzione di fronte alla Corte il Presidente e la Procura di Palermo. Al centro del caso alcune telefonate di Napolitano indirettamente intercettate quando le utenze dell'ex ministro Nicola Mancino erano state messe sotto controllo di pm palermitani indagano sulla presunta trattativa Stato-mafia.
Oggi, dopo un'udienza pubblica di un'ora e quaranta e una camera di consiglio di circa 4 ore, la Consulta ha stabilito che i pm non avrebbero dovuto valutare le conversazioni del Capo dello Stato, né omettere di chiederne la distruzione seguendo il percorso tracciato per le intercettazioni vietate. Soddisfatto l'ex avvocato generale dello Stato, Francesco Caramazza, che ha steso il ricorso e che a settembre ha passato il testimone a Giuseppe Dipace: "Fin dal primo momento ho ritenuto che quel ricorso fosse fondato, sono contento di non essermi sbagliato", afferma.
In mattinata, durante l'udienza pubblica ad illustrare la vicenda sono stati i giudici relatori, Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo. Poi la parola è passata agli avvocati delle parti: Dipace, appunto, e i colleghi Antonio Palatiello e Gabriella Palmieri per il Capo dello Stato; Alessandro Pace, Mario Serio e Giovanni Serges per la Procura. Presente anche il Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo: "E' un momento interessate", ha detto.
Il presupposto da cui sono partiti gli avvocati dello Stato è che sollevare il conflitto sia stata una "strada obbligata", ha detto Dipace. "La Procura di Palermo ha trattato queste come normali intercettazioni, non ha tenuto presente il fatto che siano intercettazioni illegittime", sulla base dell'art. 90 della Costituzione che riguarda le prerogative e l'irresponsabilità del Presidente e della legge collegata 219/1989. Così facendo si è "prodotto un vulnus nella riservatezza del Presidente", ha sottolineato Palmieri, perché ipotizzando un'udienza stralcio di fronte al Gip per chiedere la distruzione delle intercettazioni, come ha sostenuto la Procura di Palermo che ha indicato questa come unica via, ha esposto quelle conversazioni del Capo dello Stato alla valutazione dei pm e ancor più al rischio che una volta messe a disposizioni delle parti per gli eventuali usi processuali, potessero diventare pubbliche. Tanto più, hanno sottolineato gli avvocati dello Stato, che al momento, "persiste l'omissione della richiesta al gip di distruzione delle intercettazioni". Insomma, quella richiesta non è stata fatta.
Sul fronte opposto, Pace ha fatto un intervento volutamente giocato, in alcuni passaggi, sul filo del paradosso o comunque teso a dimostrare che "paradossali" erano alcune tesi dell'avvocatura. Per esempio che "un fatto fortuito", come le conversazioni captate casualmente, "non può essere oggetto di divieto. E' mai possibile vietare di scivolare accidentalmente su una strada ghiacciata?", è la domanda retorica rivolta da Pace alla Corte nella sua arringa. Nella parte finale del suo intervento Pace ha anche sviluppato un'altro aspetto: cosa dovrebbero fare i pm se intercettassero una conversazione del presidente della Repubblica che complotta per un colpo di Stato? distruggere i file? E se questo "surplus di garanzie" che l'Avvocatura prospetta per il Colle valesse anche per ministri e premier, i magistrati non potrebbero più intercettare nessun sospettato che avesse contatti con loro? Una via "lineare" di soluzione, suggerisce Pace, "potrebbe essere la richiesta dell'apposizione del segreto di stato da parte del Presidente della Repubblica al Presidente del Consiglio" sul contenuto delle telefonate intercettate.
Ma la Consulta ha indicato una strada ben diversa: quella prevista dall'art. 271 del codice di procedura penale sulle intercettazioni vietate. Quell'articolo afferma che il giudice può in ogni grado del processo disporre la distruzione delle registrazioni che coinvolgano soggetti non intercettabili in funzione del loro ruolo: il difensore, il confessore, il medico.
A maggior ragione deve valere per il Presidente, ha sostenuto l'Avvocatura e ha confermato la Consulta. Perché quella strada prevede che "il giudice decida senza contraddittorio", hanno spiegato gli avvocati dello Stato e senza rischio che i contenuti delle conversazioni siano divulgati.
"E' un tema complesso e l'intervento della Consulta ha fatto chiarezza su una situazione non regolata da una norma specifica del codice di Procedura Penale e che si prestava a diverse interpretazioni", afferma l'Anm. E da Palermo arriva il commento di uno dei pm titolari dell'inchiesta Stato-mafia, Nino Di Matteo: "Vado avanti nel mio lavoro con la coscienza tranquilla ritenendo di aver sempre agito nel pieno rispetto della legge e della Costituzione".
 (ANSA)

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