venerdì 7 dicembre 2012

SVEIATEVE!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! O DEVE RITORNA’ PASQUINO!!!!!!!!!!!!!!!


LEGGETE!!!! E MEDITATE, CERCAMO DÌ RIUNIRCI E FARE COME L’ISLANDA, SE NO’ SEMO DIVENTATI PROPRIO UNA NAZIONE DÌ CASTRATI, E CON IL CASTRATO C’E’ SE FANNO BELLE CENE DÌ NATALE E BELLE MANGIATE A PASQUA.

FRANCO

Sull'Espresso di qualche settimana fa c'era un articoletto che spiega che recentemente il Parlamento ha votato all'UNANIMITA' e senza astenuti un aumento di stipendio per i parlamentari pari a circa € 1.135,00 al mese.
Inoltre la mozione e stata camuffata in modo tale da non risultare nei verbali ufficiali.

STIPENDIO Euro  19.150,00 AL MESE 
STIPENDIO BASE circa Euro 9.980,00 al mese

PORTABORSE
 circa Euro 4.030,00 al mese (generalmente parente o familiare)
 

RIMBORSO SPESE AFFITTO circa Euro 2.900,00 al mese

INDENNITA' DI CARICA (da Euro 335,00 circa a Euro 6.455,00)  TUTTI ESENTASSE+
TELEFONO CELLULARE
 gratis
TESSERA DEL CINEMA gratis
TESSERA TEATRO gratis
TESSERA AUTOBUS - METROPOLITANA
 gratis
FRANCOBOLLI gratis
VIAGGI AEREO NAZIONALI gratis
CIRCOLAZIONE AUTOSTRADE gratis
PISCINE E PALESTRE gratis
FS gratis
AEREO DI STATO gratis
AMBASCIATE
 gratis
CLINICHE gratis
ASSICURAZIONE INFORTUNI gratis
ASSICURAZIONE MORTE gratis
AUTO BLU CON AUTISTA gratis
RISTORANTE 
gratis (nel 1999 hanno mangiato e bevuto gratis per Euro 1.472.000,00). Intascano uno stipendio e hanno diritto alla pensione dopo 35 mesi in parlamento mentre obbligano i cittadini a 35 anni di contributi (41 anni per il pubblico impiego !!!) 
Circa Euro 103.000,00 li incassano con il rimborso spese elettorali (in violazione alla legge sul finanziamento ai partiti), più i privilegi per quelli che sono stati Presidenti della Repubblica, del Senato o della Camera. (Es: la sig.ra Pivetti ha a disposizione e gratis un ufficio, una segretaria, l'auto blu ed una scorta sempre al suo servizio)

La classe politica ha causato al paese un danno di 1 MILIARDO e 255 MILIONI di EURO.
 
La sola camera dei deputati costa al cittadino Euro 2.215,00 al MINUTO !!
Far circolare. Si sta promuovendo un referendum per l' abolizione dei privilegi di tutti i parlamentari........... queste informazioni possono essere lette solo attraverso Internet in quanto quasi tutti i massmedia rifiutano di portarle a conoscenza degli italiani......
PER FAVORE CONTINUATE LA CATENA.
da tenere presente per il futuro ... servirà senz'altro!
ant

Nessuno Parla più dell'Islanda
di M. Pala (alias 'marcpoling')

Qualcuno crede ancora che non vi sia censura al giorno d'oggi? Allora perché, se da un lato siamo stati informati su tutto quello che sta succedendo in Egitto, dall'altro
 i media non hanno sprecato una sola parola su ciò che sta accadendo in Islanda?

Il popolo islandese è riuscito a far dimettere un governo al completo; sono state nazionalizzate le principali banche commerciali; i cittadini hanno deciso all'unanimità di dichiarare l'insolvenza del debito che le stesse banche avevano sottoscritto con la Gran Bretagna e con l'Olanda, forti dell'inadeguatezza della loro politica finanziaria; infine, è stata creata un'assemblea popolare per riscrivere l'intera Costituzione. Il tutto in maniera pacifica. Una vera e propriaRivoluzione contro il potere che aveva condotto l'Islanda verso il recente collasso economico.

Sicuramente vi starete chiedendo perché questi eventi non siano stati resi pubblici durante gli ultimi due anni. La risposta ci conduce verso un'altra domanda, ancora più mortificante: 
cosa accadrebbe se il resto dei cittadini europei prendessero esempio dai "concittadini" islandesi?

Ecco brevemente la cronologia dei fatti:

2008 - A Settembre viene nazionalizzata la più importante banca dell'Islanda, la Glitnir Bank. La moneta crolla e la Borsa sospende tutte le attività: il paese viene dichiarato in bancarotta.

2009 - A Gennaio le proteste dei cittadini di fronte al Parlamento provocano le dimissioni del Primo Ministro Geir Haarde e di tutto il Governo - la Alleanza Social-Democratica (Samfylkingin) - costringendo il Paese alle elezioni anticipate.

La situazione economica resta precaria. Il Parlamento propone una legge che prevede il risanamento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda, attraverso il pagamento di 3,5 MILIARDI di Euro che avrebbe gravato su ogni famiglia islandese, mensilmente, per la durata di 15 anni e con un tasso di interesse del 5,5%.
2010 - I cittadini ritornano a occupare le piazze e chiedono a gran voce di sottoporre a Referendum il provvedimento sopracitato.
2011 - A Febbraio il Presidente Olafur Grimsson pone il veto alla ratifica della legge e annuncia il Referendum consultivo popolare. Le votazioni si tengono a Marzo ed i NO al pagamento del debito stravincono con il 93% dei voti.

Nel frattempo, il Governo ha disposto le inchieste per determinare giuridicamente le responsabilità civili e penali della crisi. Vengono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell'esecutivo.
L'Interpol si incarica di ricercare e catturare i condannati: tutti i banchieri implicati abbandonano l'Islanda.

In questo contesto di crisi, viene eletta 
un'Assemblea per redigere una Nuova Costituzione che possa incorporare le lezioni apprese durante la crisi e che sostituisca l'attuale Costituzione (basata sul modello di quella Danese). Per lo scopo, ci si rivolge direttamente al Popolo Sovrano: vengono eletti legalmente 25 cittadini, liberi da affiliazione politica, tra i 522 che si sono presentati alle votazioni. Gli unici due vincoli per la candidatura, a parte quello di essere liberi dalla tessera di qualsiasi partito, erano quelli di essere maggiorenni e di disporre delle firme di almeno 30 sostenitori.

La nuova Assemblea Costituzionale inizia il suo lavoro in Febbraio e presenta un progetto chiamato Magna Carta in cui confluisce la maggior parte delle "linee guida" prodotte in modo consensuale nel corso delle diverse assemblee popolari che hanno avuto luogo in tutto il Paese. La Magna Carta dovrà essere sottoposta all'approvazione del Parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni legislative.

Questa è stata, in sintesi, la breve storia della Ri-evoluzione democratica islandese.

Abbiamo forse sentito parlare di tutto ciò nei mezzi di comunicazione europei? 
Abbiamo ricevuto un qualsiasi commento su questi avvenimenti nei noiosissimi salotti politici televisivi o nelle tribune elettorali radiofoniche? 
Abbiamo visto nella nostra beneamata Televisione anche un solo fotogramma che raccontasse qualcuno di questi momenti?

SINCERAMENTE NO.

I cittadini islandesi sono riusciti a dare una lezione di Democrazia Diretta e di Sovranità Popolare e Monetaria a tutta l'Europa, opponendosi pacificamente al Sistema ed esaltando il potere della cittadinanza di fronte agli occhi indifferenti del mondo.
Siamo davvero sicuri che non ci sia "censura" o manipolazione nei mass-media? Il minimo che possiamo fare è prendere coscienza di questa romantica storia di piazza e farla diventare leggenda, divulgandola tra i nostri contatti. Per farlo possiamo usare i mezzi che più ci aggradano: i "nostalgici" potranno usare il telefono, gli "appassionati" potranno parlarne davanti a una birra al Bar dello Sport o subito dopo un caffè al Corso.

I più "tecnologicamente avanzati" potranno fare un copia/incolla e spammare questo racconto via e-mail oppure, con un semplice click sui pulsanti di condivisione dei Social Network in fondo all'articolo, lanciare una salvifica catena di Sant'Antonio su Facebook, Twitter, Digg o GoogleBuzz.

I "guru del web" si sentiranno in dovere di riportare, a modo loro, questa fantastica lezione di civiltà, montando un video su YouTube, postando un articolo ad effetto sui loro blog personali o iniziando un nuovo thread nei loro forum preferiti.
L'importante è che, finalmente, abbiamo la possibilità di bypassare la manipolazione mediatica della informazione ed abbattere così il castello di carte di questa politica bipartitica, sempre più servile agli interessi economici delle banche d'affari e delle corporazioni multinazionali e sempre più lontana dal nostro Bene Comune.

vedi anche wikipedia: crisi del 2008 islanda
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Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale

L'hanno definita una 'rivoluzione silenziosa' quella che ha portato l'Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessi economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell'intero sistema finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a stilare una nuova Costituzione.

di Andrea Degl'Innocenti - 13 Luglio 2011

Cascata Islanda
Una rivoluzione silenziosa è quella che ha portato gli islandesi a ribellarsi ai meccanismi della finanza globale e a redigere un'altra costituzione
Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o inviate per e-mail ai propri amici. È la storia di una delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.

L'Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta. Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema del debito.

Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – il paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto100mila chilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a sud dell'immensa Groenlandia.

15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di 'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi.
Landsbanki
La Landsbanki fu la prima banca a crollare e ad essere nazionalizzata in seguito al tracollo del conto IceSave
Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno il paese venne dichiarato in bancarotta.

Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.

A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle dimissioni del governo. Nel frattempo ipotentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche. Il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a dire spalmandolo sulla popolazione. Era l'unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.

Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.
Proteste
I cittadini islandesi non erano disposti ad accettare le misure imposte per il pagamento del debito.
Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d'Islanda era decisamente troppo.

Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale era sacrificabile un'intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.

Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere.

La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando a paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste due nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente concesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro l'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista - ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.
Costituzione Islanda
I Cittadini islandesi hanno votato per eleggere i membri del Consiglio costituente
A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario. L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing,Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l'Islanda.

In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il paese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali (come inserire la parola 'presidente' al posto di 're').

Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assemblea costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30 persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.

Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta. "Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio costituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet".
Quarto Stato
L'Islanda ha riaffermato il principio per cui la volontà del popolo sovrano deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale
Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.

Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione.

Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore pubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli portoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese. Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?
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Dall'Islanda all'Italia, la strada dei diritti per uscire dalla crisi

Cosa può insegnarci la vicenda islandese? Quali le differenze e quali i punti in comune con ciò che potrebbe accadere in Italia? Il percorso di democrazia partecipata e di riappropriazione dei diritti iniziato in Islanda è realmente trasferibile altrove? Cerchiamo di rispondere a queste ed altre domande, per chiarire i dubbi e le perplessità dei lettori sulla 'rivoluzione silenziosa'.

di Andrea Degl'Innocenti - 19 Luglio 2011

Manifestazione
Il popolo islandese ha affermato che le decisioni sul futuro di una nazione non si possono prendere in qualche palazzo
Giorni fa vi abbiamo raccontato in un articolo di come il popolo d'Islanda abbia intrapreso un percorso democratico di riappropriazione dei propri diritti, a scapito della finanza globale. Torniamo a scrivere dell'argomento - visto il grande interesse suscitato - per chiarire alcune delle questioni più controverse della vicenda islandese, così come sono emerse dai commenti dei lettori. Procederemo con ordine analizzando punto per punto ogni aspetto, riproponendo le domande e le curiosità così come ci sono state poste e cercando di fornire una lettura il più possibile realistica di quanto accaduto in Islanda e delle eventuali connessioni con la situazione dell'Italia e del resto d'Europa.

Chi pagherà il debito? Una delle domande più ricorrenti è proprio questa. Già, chi paga? Come spesso accade, le domande più semplici sono anche le più complesse a cui rispondere. Per adesso la risposta è: nessuno. Lo stato islandese si è trovato nella morsa di due diverse forze, l'una che spingeva dall'alto, l'altra dal basso. Esso doveva rispondere da un lato ai propri cittadini, che si rifiutavano di pagare un debito contratto da enti privati (le banche) nei confronti di altri privati (i cittadini inglesi ed olandesi); dall'altro ad accordi internazionali e potentati finanziari che imponevano il pagamento del debito contratto, con qualsiasi mezzo e a costo di ridurre alla fame la popolazione islandese. Alla fine è stato deciso di dare la parola ai cittadini, affermando un principio sancito da molte costituzioni ma la cui applicazione appare quasi un atto rivoluzionario: che la volontà del popolo sovrano è superiore a qualsiasi altro accordo internazionale.

Ci rimetteranno i cittadini inglesi ed olandesi? Sì, in un certo senso. Se il debito non verrà pagato a rimetterci saranno, in parte, anche i contribuenti d'Olanda e Gran Bretagna. I due stati creditori hanno già provveduto a rimborsare i propri cittadini titolari del conto IceSave, che sta alla base della controversia, dunque si sono fatti carico di tale debito. Significa che quei quattro miliardi circa di credito che i due paesi avevano verso l'Islanda non ci sono più, dunque non verranno più considerati nel bilancio statale. Ci saranno delle ripercussioni sui cittadini? Possibile, ma saranno comunque impercettibili. Il peso specifico che questa cifra assume sull'economia britannica o olandese non è paragonabile a quello che avrebbe assunto sull'Islanda. Ciò che conta, però, è che per una volta – forse la prima – si è smentito l'assioma del debito, uno dei mali peggiori che attanaglia le società contemporanee.

Certo, la questione non è affatto semplice, come vedremo più avanti. Inoltre va ricordato che la faccenda del debito islandese non è ancora del tutto chiusa. Nonostante i cittadini islandesi si siano pronunciati per ben due volte sulla questione, è ancora aperta la controversia a livello internazionale, con Inghilterra ed Olanda che si sono tutt'altro che rassegnate a veder sfumare i propri investimenti.
Rapina
I cittadini si sono trovati a dover pagare per le colpe delle banche
Gli islandesi si erano arricchiti con i soldi delle banche? “Finché le cose andavano bene erano tutti contenti, poi quando si sono messe male nessuno vuole pagare”, è un altro dei commenti ricorrenti. Certo, lo sviluppo sfrenato porta ricchezza e benessere, si sa. Ma è bene notare che: 1. chi si arricchisce veramente è un numero molto limitato di persone e nel caso Islandese le ricchezze accumulate dai banchieri non sono paragonabili con quelle 'di riflesso' degli altri cittadini; 2. chi è responsabile dello sviluppo sfrenato è anche consapevole delle fragili basi su cui esso posa, mentre i cittadini sono spesso indotti a credere che tale sviluppo sia solido e potenzialmente infinito; 3. la critica che rivolgiamo agli islandesi potremmo rivolgerla a noi stessi, visto che anche noi abbiamo goduto di un modello sociale non deciso da noi, ed ora ci prepariamo a pagare il conto (ed immagino non ci verrà fatta una colpa se cercheremo di pagarlo il meno salato possibile).

Il punto qui è un altro. Stiamo uscendo – noi, gran parte del mondo – in modo piuttosto brusco e doloroso da un periodo di crescita sfrenata e di benessere diffuso. Andiamo certamente verso una fase di maggiori ristrettezze, inutile negarlo. La via d'uscita indicata come inevitabile dai potentati finanziari internazionali passa per privatizzazioni, perdita di diritti, rinuncia alla sovranità popolare. L'Islanda indica un'altra via percorribile.

In Italia potrebbe accadere quanto accaduto in Islanda? No, ma ciò non vuol dire che i cittadini italiani – ed europei – non possano imparare niente dalla faccenda islandese, anzi. La dinamica degli eventi è sicuramente dipesa da alcune caratteristiche peculiari del paese nordico. Pochi abitanti (circa 320mila) sparsi su un territorio vasto e ricco di risorse, un'economia con un peso specifico relativamente basso all'interno delle dinamiche europee e mondiali, una situazione - anche geografica – di relativi isolamento e indipendenza e – soprattutto – un debito che ammontava a neppure quattro miliardi di euro. L'Italia ha un debito pubblico di quasi 2mila miliardi, per l'esattezza 1897,472 miliardi (dato relativo al mese di maggio 2011). Se i cittadini italiani decidessero di non pagare quel debito farebbero crollare all'istante l'intera economia europea, e buona parte di quella mondiale.

La questione del debito è cosa decisamente complessa. Per ogni stato col cappio al collo, strozzato dal debito, c'è un paese creditore che senza quel credito si troverebbe nella medesima situazione. È un equilibrio delicato, un castello di carte nel quale basta il crollo di un elemento per scatenare un terrificante effetto a catena. Dunque gli stati si tengono in vita l'un l'altro, alimentando all'infinito i rispettivi debiti, in un meccanismo perverso e senza alcuna prospettiva di uscita.
democrazia partecipativa
Il modello di democrazia partecipativa proposto dagli islandesi può essere d'ispirazione per le logore democrazie occidentali
Cosa può insegnarci la faccenda islandese? In realtà molte cose, alcune delle quali le abbiamo già dette ma le ripetiamo. In primis che la via d'uscita dalla crisi che viene imposta dall'alto non è inevitabile. Da sempre le crisi economiche, necessarie al sistema di sviluppo capitalista – e ancor più a quello consumista – per potersi autoalimentare, hanno avuto come conseguenza una maggiore concentrazione delle ricchezze e del potere nelle mani di pochi, e la perdita dei diritti e dei beni da parte delle popolazioni. Oggi, forse per la prima volta nella storia, i cittadini hanno modo di essere informati e consapevoli di quello che gli sta accadendo attorno. Possono consapevolmente non accettare quello che gli viene imposto dall'alto, decidere di ribellarsi e di non lasciarsi portar via ciò che appartiene loro. La crisi si può trasformare in un enorme incubatore di democrazia.

Siamo ad un bivio, all'inizio di un percorso. L'Islanda ci insegna che il popolo sovrano è in grado di decidere quale strada imboccare. La strada europea, quella degli aiuti da parte di Bce e Fmi e della svendita a privati dell'intero settore pubblico, della rinuncia ai beni comuni e ai diritti; oppure la strada islandese, della riappropriazione dei diritti e del potere decisionale, della democrazia diretta e partecipata che detta l'agenda a quella rappresentativa.

Certo le differenze con lo stato nordico restano molte, ma nella vicenda islandese non dobbiamo pretendere di trovare una soluzione, piuttosto l'indicazione di un percorso. È vero, forse non potremo decidere di annullare il nostro debito estero. Ma potremo usarlo a nostro vantaggio. Questo potrebbe infatti rivelarsi una pericolosa arma a doppio taglio per chi lo usa come strumento neocoloniale per appropriarsi di 'pezzi' di sovranità altrui e rubare i diritti dei popoli. Il debito italiano è una pistola alla tempia dell'Unione europea.

Certo, sarà difficile iniziare un percorso di democrazia partecipata come quello islandese: loro sono 320mila, noi 60 milioni. Ma ci sono segnali confortanti - primo fra tutti quello degli ultimi referendum - che dicono che sulle questioni importanti non è poi così difficile fare fronte comune. L'Islanda ha aperto uno spiraglio, sta a noi creare un varco, e quindi un sentiero realmente percorribile.

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