martedì 4 dicembre 2012

Sui sogni


I SOGNI

E’ sogno tutto quanto, pur costituendo parte pertinente della nostra vita, si distacca da essa per uno o più motivi evidenti.

Quando, cioè, non si tratti di qualcosa di praticamente realizzabile. Definiamo perciò, un’idea, un desiderio, un progetto apparentemente impossibile, un “sogno ad occhi aperti”.
E ci riferiamo spesso, con termini come questo sopra, a cose fortemente desiderate che cambierebbero, se potessero diventar vere, la nostra vita in maniera radicale.
Oppure qualifichiamo come “sogno”, un’esperienza vissuta senza la partecipazione del nostro corpo. Il corpo che conosciamo, ora, come il solo in nostro possesso. Quello che, adesso, ci sembra essere l’unico tramite logico, l’evidenza innegabile del rapporto interno - esterno .
Ossia, il mezzo con il quale noi, esseri fatti di sentimento profondo, “anime”, riusciamo ad entrare in rapporto con qualcosa di tanto diverso da noi che chiamiamo “il mondo”, “l’ambiente”, l’esterno, appunto. Tutto ciò che non è “noi”.
E, di conseguenza, una volta stabiliti questi rapporti con il tanto differente, rivediamo quelli prestabiliti fra “noi anime”, ristrutturandoli secondo le nuove esigenze. Che tengono conto ora, di nuovi fattori, rappresentati dalla presenza, infra “noi umani”, di connotazioni aliene al nostro intimo sentire che prendono a caratterizzarlo, causando trasformazioni anche radicali.
Fino, potremmo ipotizzare, a farci dimenticare come eravamo. “Prima”. In una forma lieve e sottile, evoluta e gentile che è quella che comunemente definiamo come lo “spirito”; la nostra “anima”.
Diveniamo, perciò, noi, esseri “empatici”, (capaci cioè, di intuire l’uno il pensiero, le sensazioni, emozioni e sentimenti dell’altro come una sola persona, un solo essere composito), qualcosa di più gretto e pesante, incosciente e lento.
Ci trasformiamo nel nostro corpo. Del quale assumiamo la logica strutturale, sistemica, in breve, ‘materiale’. Carattere del quale non possiamo liberarci se non con la morte. La sua fine e, probabilmente, una liberazione temporanea per la nostra anima da un compito materiale che, forse, abbiamo deliberatamente scelto.
Non indagheremo qui le tante testimonianze di chi, morendo per un po’ di tempo, è tornato in vita. Raccontando più o meno dello stesso, simile senso di liberazione. Esperienze molto comuni e tanto sentite. Né approfondiremo il senso del nostro compito materiale, il ruolo del corpo e la volontà, la consapevolezza del lavoro che svolgiamo in questa dimensione ‘terrena’, a paragone dell’altra, ‘spirituale’, gretta e mortificante, volgare, probabilmente, in una parola, elementare.
Dunque, non abbiamo intenzione, per ora, di scoprire, non prima di aver compreso a fondo il meccanismo, il senso dei sogni, il motivo di tale semplificazione e riduzione delle nostre ipotetiche capacità, vere solo in una dimensione libera dal legame materiale, il nostro corpo.
Ma sappiamo tutti e solo chi è in contraddizione con se stesso, ossia sostiene, per motivi che sorvoliamo, di pensarla differentemente da come ‘sente emotivamente’, ‘giudica profondamente’ può sostenere il contrario, che siamo molto intelligenti nei nostri sogni. Siamo personaggi, tipi particolari, divertenti, bizzarri, strani, ma mai, proprio mai, anonimi.
Vogliamo perciò, qui parlare di come sia il ritorno temporaneo, notturno, libero dai vincoli del proprio corpo, di ognuno di noi, che se ne allontana temporaneamente.
Sognando, infatti, noi sappiamo che torneremo ad abitarlo e che torneremo da dove siamo partiti. Perciò ci concediamo probabilmente, solo una breve escursione in una dimensione leggera e immateriale che possiamo credere, con un po’ di fantasia, essere un mondo molto più grande e vasto.
Bello e complesso nonché variegato e colorito di emozioni e sensazioni a iosa.
Piacer di essere e sentire che su questa terra rimane molto ridotto. Al minimo indispensabile, talvolta, solo, riuscire a sopravvivere.
Sappiamo infatti, che quando il piacere, il gusto di provare nuove sensazioni, di scoprire e conoscere, venire a contatto con il nuovo, sminuisce troppo, rischiamo seriamente di compromettere la nostra presenza in questo sistema che, pesante e lentamente articolato, congegnato, ha necessità di continuo contatto col diverso per riuscire ad esistere. Ossia, siamo costretti a mangiare, ingerire qualcosa che ci dia subito sensazioni da noi diverse e così, stimolanti. E dormire, ossia, tornare per un po’ in un’altra dimensione più leggera e semplice, istintiva e naturale, anche se più intelligente e meglio composita. Colorita da esperienze più gustose e articolate. Per ritrovare, probabilmente, noi stessi.
E ritornare al corpo, alla “realtà” rinvigoriti e riposati. Ad affrontare un compito che potremmo, continuando in quest’analisi, persino scoprire qual è.
Già che, ovviamente, noi lo sappiamo da prima. E’ qualcosa che fa parte della nostra vita, della nostra consapevolezza, dell’interezza di noi stessi.
Interezza, però, messa in forse dall’intersecarsi di giorno e notte. Di esperienze “reali”, attinenti alla realtà materiale ed al corpo: a questo compito enigmatico che vogliamo scoprire che ci provoca fastidio e dolore, impegno e sudore.
Ed all’altra parte di noi stessi. La parte onirica. Più vicina alla nostra anima, forse, alla nostra vera essenza, il nostro istintivo e naturale carattere, ossia ciò che davvero e fino in fondo, siamo.
Già che viene spontaneo pensare che il dormire rassomigli tanto alla morte. L’inattività dello strumento che ci collega alla dimensione ‘esterno’, e l’attività di una parte che, invece, quando ‘lui’, il corpo, è attivo, resta ferma addormentata perlopiù inattiva.
E’ superfluo considerare che questa parte di noi è quella creativa. La parte che sa astrarre, calcolare con le sensazioni…. Non con le impressioni.
Addirittura, e molti di noi che scrivono poesia sanno bene di che parlo, c’è chi riesce a far dei calcoli complessi con le emozioni.
E a trovare soluzioni così piacevoli a certezze intime e profonde, radice e causa del suo essere al mondo, del suo esistere, da dare un senso al vivere. Uno scopo vero e grato, piacevole e giusto, degno e accattivante alla propria vita.
Potete sentirlo leggendo le mie parole. O ascoltando un’opera musicale che affronti l’argomento. O osservando qualcosa che suscita il senso chiaro della meraviglia, la necessità di adoperare la fantasia al posto del raziocinio.
(Per il piacere di chi vorrà farlo potremo chiarire con precisione la differenza fra raziocinio e fantasia nelle prossime analisi, una volta raggiunto lo scopo ora prefisso, cioè, dare importanza e spazio ai nostri sogni e considerarli parte fondamentale della nostra vita, senza dimenticare che essi sono praticamente metà del nostro vissuto e senza mancare di accorgerci che, probabilmente, il loro tempo è più vasto persino, in termini di gusto, sensazioni vive, colorite e piene, vissuto, in una parola, più di quello scandito dalla regolarità di un orologio).
Realtà, esperienza materiale e sogno;
esperienza onirica, spirituale, si fondono in noi creando delle persone, delle identità.
Che, per una metà, più o meno a seconda dell’individuo e del suo approccio al problema che si vuol risolvere qui, sono di genere razionale, sistematico, pratico diremo. Ossia ricalcano gli aspetti della realtà materiale e conformano il carattere e la personalità, l’aspetto e la morfologia, le strategie di comportamento e percettive di un individuo a quanto attiene al mondo della materia e del corpo.
E per l’altra metà, più o meno a seconda che la persona sia fantasiosa e incline a sviluppare velocemente sensazioni eleganti ed armoniose o tendente a farsi dominare dalle problematiche, immergendovisi completamente, di carattere spirituale.
Fatte di emozioni profonde e difficilmente spiegabili con le parole; di sentimenti impossibili a ritrovare nel mondo materiale, di sostanze e forme inesistenti al corpo e ai suoi strumenti percettivi. Quel che definiamo “sensitività” “intuito” o “istinto”, in ogni caso qualcosa che spiegare è arduo. Nonostante sia chiara a tutti la loro presenza ed indubitabile l’esistenza di tale categoria di fenomeni che esulano dalla mera materialità e dall’esperienza dei soli cinque sensi.
(C’è un altro interessante argomento che potrò approfondire solo a condizione di incontrare partecipazione o almeno genuino interesse, riscontro, è, una volta compresa la differenza fra logica razionale e logica fantastica, senza approssimazioni generiche come di solito si tende a fare, relegando la fantasia a ruolo di cenerentola a tutto vantaggio di una sua sorellastra per nulla degna di tanto onore, la ragione; che ne sostiene un’altra, anch’ella di nobili pretese, la scienza; per convogliare tutt’e tre, con la filosofia, fondamento di ogni speculazione egoetica che ne discende, dalla retorica alla teologia, fino alla matematica, in una sorta di complotto che cela proditoriamente le regali origini della sorella felice).
(Molti, tanti, troppi… non saranno d’accordo e sosterranno ad oltranza, come si crede sia sempre stato per secoli, la ragione a scapito della propria felicità. Ma, ahimé, non si vive di solo pane e, se hai due soldi, compra con uno l’inevitabile pane per nutrire il corpo, ma con l’altro, fiori per la salute della tua anima!)
Dunque, si sostiene qui che la fantasia ha una logica e che quella logica è almeno pari se non superiore per numerosi motivi alla ragione, al raziocinio. Si tratta solo di scoprire, di arrivare a sentire qual è, come funziona.
Collegandola, ovviamente, al percepire, al calcolo pratico della mente, del cervello, della naturale propensione alla sopravvivenza in un mondo che ha leggi e regole differenti.
Ma, vi prego, non dimenticate, non restate chiusi nella bolla di sapone delle apparenze. I sogni esistono. La loro è una realtà certamente più grande di questa del corpo e della materia.
La vita dell’anima ha perciò molte probabilità di essere superiore a quella del nostro corpo, così costretto a mille compromessi. Dai suoi desideri spesso sconosciuti ai più, al poco che si riesce a racimolare, di felicità e soddisfazione, in una giornata, dall’alba al tramonto. Ossia, al momento in cui si ritorna un po’ a morire, si molla un attimo, si lascia l’osso così stretto tanto fra i denti e si riprende a sognare, a vivere felici per quanto ci consente la condizione reale, per quanto possiamo volendoci risvegliare il mattino seguente dove ci siamo addormentati. Non sapendo come fare, cosa pensare se dovessimo, invece, trovarci altrove.
…..
In pratica, voglio dire che il corpo ha dei limiti. E il suo sentire può essere allargato, e così la nostra esperienza viva, compresa dal medesimo, vissuta con esso, espansa. Tramite il ricordo, la pratica, l’esercizio delle facoltà oniriche. Ossia collegando quanto sappiamo aver vissuto in una dimensione aliena al materiale: l’onirico; a quel che è pratico e facilmente definibile in pochi tratti poiché esperienza comune.
E nonostante in tanti studi fatti sui sogni non sia rimasta altro che un’ipotesi, possiamo qui facilmente pensare che, così come riusciamo a condividere facilmente concetti, ossia esperienze che rientrano in una comune categoria, classificandoli col linguaggio, evocandole l’un l’altro con le parole, ugualmente potremmo condividere con magari uno strumento diverso dal linguaggio, la pratica onirica.
Ovvero, potremmo rendere comuni con un sistema di comunicazione relativo ad elementi onirici, fatti che sono esperienze personali. Semplicemente riuscendo ad evocarle così come facciamo con le parole, riferendoci a concetti che “significano” particolari cose, ossia, esperienze.
E potremmo “parlare”, comunicare con sensazioni, emozioni e sentimenti vissuti in sogno come elementi acquisiti, compresi, ben conosciuti da tutti, allo stesso modo di come nella realtà viviamo un luogo o un oggetto od un comportamento.
E’ ovvio che l’onirico ha leggi differenti da quelle del mondo materiale. E’ come un pianeta alieno dove le leggi fondamentali variano anche completamente. Rendendoci difficile equiparare quanto ivi succede a quel che da svegli, poi, sappiamo aver vissuto in maniera tanto simile da poterne condividere molti aspetti.
Leggi importanti come quella di gravità, che ci tiene incollati al suolo e genera il senso del sopra e sotto, non sono così chiare ed evidenti nella dimensione onirica. E neppure il peso sembra avere molta rilevanza. Tutto ciò che, nel mondo della materia assume carattere fondamentale, nel mondo onirico è trasformato. Non la forma e la sostanza, ossia quanto ha peso ed occupa spazio è fondamentale. E’ piuttosto vero e sostanziale quel che ha una sua chiara emozione specificamente definita e differenziata dalle altre.
Emozioni. E’ di questo che si compone l’onirico. Emozioni di foggia e dimensioni varie. Che, nei sogni, che sono l’anticamera dell’onirico, il ponte di quella dimensione fatta di “anime”, dunque, di “emozioni” particolari probabilmente mai ricordate poi, da svegli. Esse assumono fattezze sempre più vicine a quelle della materia fino al risveglio completo ed al ritorno al corpo. Partendo da una lontana profondità che sondare richiederà uno studio approfondito. Un lavoro di logica e sentimento. Un gioco affascinante di senso compiuto e gioia di concepire e avvertire, percepire dentro, in fondo. In luoghi viéti alla mente. Giacché troppo pesante e lenta per accedervi.
L’argomento è avvincente. Se quel che conosciamo dell’onirico è soltanto la parte che comunica con noi, corpi che ospitano un’anima: una deformazione della nostra reale identità originale, allora, quel che noi siamo davvero, in fondo, lontano da qui, la nostra anima, è un’emozione meglio compiuta e completa. Diversa da ogni altra e, volendo, indipendente. Un Sentimento.
E riuscire a creare un linguaggio di emozioni e sentimenti qui, in questo mondo materiale che conosce il dolore e il sacrificio, allora deduciamo, paga un prezzo per ottenere qualcosa che possiamo a buon diritto ritenere a priori vantaggioso e molto bello, potrebb’essere il sistema per capire, senza perdere il diritto sul corpo e l’esperienza in corso, cioè quella che chiamiamo la nostra “vita”: chi siamo in fondo, in partenza e dove vogliamo arrivare davvero.
Risolvere, passando per i sogni, scendendo sempre più profondamente nell’onirico l’onnipresente mistero della vita. Che tutti avvertiamo come tale. E capire il perché del dolore. E vivere meglio. Avvicinando, unendo i nostri sforzi, organizzandoci per raggiungere uno scopo che scopriremo, certamente, comune.
E’ ovvio che studiare i sogni con il metodo, il criterio, il linguaggio della mente analitica, del raziocinio, della ragione, significa fargli violenza e restare in superficie. Senza riuscire a “sentire” le emozioni che sono l’essenza, la consistenza di quel linguaggio che dovremo adottare per capire come si compone e com’è fatta la dimensione onirica.
Seppure noi lo già sappiamo e lo viviamo ogni notte, la nostra difficoltà consiste nell’avvicinare le due forme di “cultura”, di valutazione, del percepire.
Per far sì che l’una non modifichi l’altra e tutt’e due possano convivere ad un giusto punto d’equilibrio. Punto che permetterebbe oltreché la convivenza delle due strutture “logiche” in una maniera quanto più possibile “originale”, anche la creazione di un linguaggio mediatico, come si diceva, capace di lasciar concepire, capire e dedurre dall’uno dell’altro punto di vista, fondendo assieme le tanto differenti connotazioni in una sola.
Un progetto, un’idea ambiziosa ma meravigliosamente bella.
Fantasia progettiva, il credere di poter fondere la realtà e il sogno in un solo modo di percepire rappresenta il più alto ideale di ogni essere umano che conosce gli eccezionali vantaggi dell’astrazione intelligente.
L’immaginazione è quella capacità dell’uomo di adoperare la mente penetrando i misteri di una dimensione aliena al corpo e alla materia. Facoltà indubitabilmente preziosa, ha però numerose controindicazioni.
La perdita di pragmatismo è il primo negativo deterrente. E inoltre, l’atteggiamento distaccato, poco pratico di chi usa troppo l’immaginazione è sintomo chiaro di quel che definiamo spesso come malattia. Depressione o superficialità. Distrazione che può esser causa di difficoltà o sventure nella vita pratica. Che, proprio grazie a tentativi superficiali di approfondire le tematiche succitate, ha preso il sopravvento suscitando numerose forme fobiche. Pure che, ripetutesi in numerosi individui e situazioni corrispondenti, con regolarità, hanno dato una sorta di prova certa, in realtà solo apparente, un vero e proprio pregiudizio, del fatto che indagare il mondo del sogno è causa di disgrazia e malattia, sfortuna.
Non si può non accettare il monito: non si può sognare ad occhi aperti. Chi lo fa è punito dalla vita.
Eppure ognuno di noi lo sa, in cuor suo… non si vive senza i sogni.
Sono i sogni che ci fanno vivere. Che ci danno energia… energia che è semplicemente gioia di essere, di esserci, di percepire, di sentire.
Il piacere di provare sensazioni. Di sommarle, ricordandole, evocandole, in emozioni. La cosa più intelligente che una mente possa concepire.
Lavorare con le emozioni è come creare un programma fatto non di singoli comandi, ma, a sua volta, di programmi completi, nell’esempio, per un computer che sarebbe la nostra mente: lo strumento che ci permette di dominare il nostro corpo e con esso, la realtà che è troppo ‘diversa’ da noi, da ciò che davvero, in fondo siamo.
Le emozioni sono più di una cosa.
Possono essere un vero e proprio vertice. Una somma di simili sensazioni che si fondono in un complesso equilibrio fra sogno e realtà. Generando somiglianze.
Le sensazioni che possiamo associare si avvicinano e generano un intreccio di emozioni che, da una parte sono la somma di sensazioni, appunto, simili.
E, dall’altra, la probabilità che esse restino tali.
E, altrettanto, viceversa, che si dissocino.
Ossia, che dicendo qualcosa di nuovo, aggiungendo qualche nuova variabile al disegno fatto di sensazioni vicine le une alle altre, possano portare scompiglio nel gruppo generando associazioni nuove.
E, da esse, nuove forme di emozioni che ci dicono come e quanto quelle sensazioni pertinenti il mondo materiale, nonché l’onirico (e per onirico intendo il profondo interiore, una dimensioni aliena al reale, non i sogni soltanto, ma ciò che c’è oltre di essi che sono il ponte con la realtà) sono avvicinabili o distanziabili senza modificare gli assetti, gli equilibri che tengono assieme la nostra vita, la nostra identità, la nostra personalità, il nostro carattere, il nostro intimo ‘sentire’. Ossia l’idea di ciò che vorremmo davvero (che spesso non abbiamo mai visto né immaginato ma ‘sentiamo’ in qualche modo e da qualche parte, esistere per certo e restiamo, così, vivi). E di quanto e cosa siamo disposti a sacrificare per ottenerlo.
Ecco un bel gioco degno di essere vissuto.
Un essere intelligente che valuta con le proprie emozioni e non, avvizzito, rattristato, piegato e deluso, con semplici calcoli di convenienza.
Dopo aver messo da parte la possibilità di ‘realizzarsi’.
E credo… non ci sia bisogno di spiegare ulteriormente il concetto.
Sono stato breve e specifico. Succinto per ragioni ovvie. Non a tutti, ma ai poeti si.
Ed ai poeti musicisti che sanno cos’è quel che chiamo “Ergonomjtrya”, tanto di più.
Un sistema per calcolare quel che val la pena davvero nella vita così come nei sogni e magari, anche oltre di essi, è qualcosa che tutti vorremmo poter dire di possedere. E tanto spesso non possiamo proprio, davvero.
Avere dei veri sentimenti: un gioco combinato di emozioni, come dicevo prima, al giusto punto d’equilibrio fra realtà materiale e onirico è quel che ci vuole per sapere se un sogno si può realizzare. Se una cosa che riusciamo a conseguire, pratica, è davvero ciò che sembra. Per vedere e non guardare soltanto. Per assaporare ciò che gli occhi toccano e non solo le pupille. Per sapere che i sensi non son soltanto cinque. Che esistono cose che conosciamo benissimo e possono essere ‘realizzate’ anche nella pratica. Che la pratica non è solo la mortificante sensazione che una parte di noi non esista.
E’ ovvio che un discorso del genere è come un antipasto leggero, qualche biscottino ed un aperitivo analcolico prima di un lauto pasto.
E che il lauto pasto sia composto di parole adatte, congegnate al modo del sentimento vivo e vero posto a quel giusto punto d’equilibrio.
E che il gusto di sentire quelle parole vada combinato con il piacere onirico di ascoltarle, percepirle in un altro modo. E che, così, esse debbano essere accompagnate da note di uno strumento o di voci, di un coro. Musica, insomma, esse, per la realtà pragmatica e musica, pure, da questa parte della nostra vita, che ci dica, ci faccia ricordare, non ci lasci dimenticare, non ci costringa al troppo pensare, ragionare, riflettere. Ciò che è… che siamo, che sentiamo e che sappiamo. Sì da poterlo quasi toccar con mano, assieme. Scoprendo quel che sappiamo già con gioia rinnovata.
La riscoperta di noi stessi, probabilmente. E la scoperta, la più semplice e naturale del mondo. Il piacere di giocare un gioco che noi stessi abbiamo scelto. Con amore e con gioia.
Solo che per qualche strano motivo non ce ne ricordiamo.
Ma non è difficile aiutare un piccolo cuore a non dimenticare di essere tanto grande, più grande, forse, del mondo che oggi, ancora adesso, vede enorme, più di lui, poiché lo ama così tanto.
Sjnkhro – Leo
p.s. quest’analisi è, invero, per me, del tutto superflua. Ma è una vera gioia scrivere e trovare corrispondenze razionali con ciò che, profondo è ovvio e chiaro. Evidentemente, il mio piacere nasce dal fatto che spero di procurarne a qualcuno di voi che, leggendo, saprete apprezzare le vostre migliori capacità riuscendo ad amare quella bella persona che siete come magari, mai avete fatto prima. Ed è il primo passo che apprezzare una realtà che non si può non amare per quel che è. Avvincente e dura, è un vero impegno. Una sfida a non mollare che promette premi davvero incoraggianti. Di cui posso darvi anche più di un cenno. A presto



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