I SOGNI
E’ sogno tutto
quanto, pur costituendo parte pertinente della nostra vita, si distacca da essa
per uno o più motivi evidenti.
Quando, cioè, non si tratti di qualcosa di praticamente
realizzabile. Definiamo perciò, un’idea, un desiderio, un progetto
apparentemente impossibile, un “sogno ad occhi
aperti”.
E ci riferiamo
spesso, con termini come questo sopra, a cose fortemente desiderate che
cambierebbero, se potessero diventar vere, la nostra vita in maniera
radicale.
Oppure qualifichiamo come “sogno”, un’esperienza vissuta
senza la partecipazione del nostro corpo. Il corpo che conosciamo, ora, come il
solo in nostro possesso. Quello che, adesso, ci sembra essere l’unico tramite
logico, l’evidenza innegabile del rapporto interno - esterno
.
Ossia, il mezzo con il quale noi, esseri fatti di
sentimento profondo, “anime”, riusciamo ad entrare in rapporto con qualcosa di
tanto diverso da noi che chiamiamo “il mondo”, “l’ambiente”, l’esterno, appunto.
Tutto ciò che non è “noi”.
E, di conseguenza, una volta stabiliti questi rapporti
con il tanto differente, rivediamo quelli prestabiliti fra “noi anime”,
ristrutturandoli secondo le nuove esigenze. Che tengono conto ora, di nuovi
fattori, rappresentati dalla presenza, infra
“noi umani”, di connotazioni aliene al nostro intimo sentire che
prendono a caratterizzarlo, causando trasformazioni anche
radicali.
Fino, potremmo ipotizzare, a farci dimenticare come
eravamo. “Prima”. In una forma lieve e sottile, evoluta e gentile che è quella
che comunemente definiamo come lo “spirito”; la nostra “anima”.
Diveniamo, perciò, noi, esseri “empatici”, (capaci cioè,
di intuire l’uno il pensiero, le sensazioni, emozioni e sentimenti dell’altro
come una sola persona, un solo essere composito), qualcosa di più gretto e
pesante, incosciente e lento.
Ci trasformiamo nel nostro corpo. Del quale assumiamo la
logica strutturale, sistemica, in breve, ‘materiale’. Carattere del quale non
possiamo liberarci se non con la morte. La sua fine e, probabilmente, una
liberazione temporanea per la nostra anima da un compito materiale che, forse,
abbiamo deliberatamente scelto.
Non indagheremo qui le tante testimonianze di chi,
morendo per un po’ di tempo, è tornato in vita. Raccontando più o meno dello
stesso, simile senso di liberazione. Esperienze molto comuni e tanto sentite. Né
approfondiremo il senso del nostro compito materiale, il ruolo del corpo e la
volontà, la consapevolezza del lavoro che svolgiamo in questa dimensione
‘terrena’, a paragone dell’altra, ‘spirituale’, gretta e mortificante, volgare,
probabilmente, in una parola, elementare.
Dunque, non abbiamo intenzione, per ora, di scoprire, non
prima di aver compreso a fondo il meccanismo, il senso dei sogni, il motivo di
tale semplificazione e riduzione delle nostre ipotetiche capacità, vere solo in
una dimensione libera dal legame materiale, il nostro corpo.
Ma sappiamo tutti e solo chi è in contraddizione con se
stesso, ossia sostiene, per motivi che sorvoliamo, di pensarla differentemente
da come ‘sente emotivamente’, ‘giudica profondamente’ può sostenere il
contrario, che siamo molto intelligenti nei nostri sogni. Siamo personaggi, tipi
particolari, divertenti, bizzarri, strani, ma mai, proprio mai,
anonimi.
Vogliamo perciò, qui parlare di come sia il ritorno
temporaneo, notturno, libero dai vincoli del proprio corpo, di ognuno di noi,
che se ne allontana temporaneamente.
Sognando, infatti, noi sappiamo che torneremo ad abitarlo
e che torneremo da dove siamo partiti. Perciò ci concediamo probabilmente, solo
una breve escursione in una dimensione leggera e immateriale che possiamo
credere, con un po’ di fantasia, essere un mondo molto più grande e vasto.
Bello e complesso nonché variegato e colorito di emozioni
e sensazioni a iosa.
Piacer di essere e sentire che su questa terra rimane
molto ridotto. Al minimo indispensabile, talvolta, solo, riuscire a
sopravvivere.
Sappiamo infatti, che quando il piacere, il gusto di
provare nuove sensazioni, di scoprire e conoscere, venire a contatto con il
nuovo, sminuisce troppo, rischiamo seriamente di compromettere la nostra
presenza in questo sistema che, pesante e lentamente articolato, congegnato, ha
necessità di continuo contatto col diverso per riuscire ad esistere. Ossia,
siamo costretti a mangiare, ingerire qualcosa che ci dia subito sensazioni da
noi diverse e così, stimolanti. E dormire, ossia, tornare per un po’ in un’altra
dimensione più leggera e semplice, istintiva e naturale, anche se più
intelligente e meglio composita. Colorita da esperienze più gustose e
articolate. Per ritrovare, probabilmente, noi stessi.
E ritornare al corpo, alla “realtà” rinvigoriti e
riposati. Ad affrontare un compito che potremmo, continuando in quest’analisi,
persino scoprire qual è.
Già che, ovviamente, noi lo sappiamo da prima. E’
qualcosa che fa parte della nostra vita, della nostra consapevolezza,
dell’interezza di noi stessi.
Interezza, però, messa in forse dall’intersecarsi di
giorno e notte. Di esperienze “reali”, attinenti alla realtà materiale ed al
corpo: a questo compito enigmatico che vogliamo scoprire che ci provoca fastidio
e dolore, impegno e sudore.
Ed all’altra parte di noi stessi. La parte onirica. Più
vicina alla nostra anima, forse, alla nostra vera essenza, il nostro istintivo e
naturale carattere, ossia ciò che davvero e fino in fondo,
siamo.
Già che viene spontaneo pensare che il dormire rassomigli
tanto alla morte. L’inattività dello strumento che ci collega alla dimensione
‘esterno’, e l’attività di una parte che, invece, quando ‘lui’, il corpo, è
attivo, resta ferma addormentata perlopiù
inattiva.
E’ superfluo considerare che questa parte di noi è quella
creativa. La parte che sa astrarre, calcolare con le sensazioni…. Non con le
impressioni.
Addirittura, e molti di noi che scrivono poesia sanno
bene di che parlo, c’è chi riesce a far dei calcoli complessi con le
emozioni.
E a trovare soluzioni così piacevoli a certezze intime e
profonde, radice e causa del suo essere al mondo, del suo esistere, da dare un
senso al vivere. Uno scopo vero e grato, piacevole e giusto, degno e
accattivante alla propria vita.
Potete sentirlo leggendo le mie parole. O ascoltando
un’opera musicale che affronti l’argomento. O osservando qualcosa che suscita il
senso chiaro della meraviglia, la necessità di adoperare la fantasia al posto
del raziocinio.
(Per il piacere di chi vorrà farlo potremo chiarire con
precisione la differenza fra raziocinio e fantasia nelle prossime analisi, una
volta raggiunto lo scopo ora prefisso, cioè, dare importanza e spazio ai nostri
sogni e considerarli parte fondamentale della nostra vita, senza dimenticare che
essi sono praticamente metà del nostro vissuto e senza mancare di accorgerci
che, probabilmente, il loro tempo è più vasto persino, in termini di gusto,
sensazioni vive, colorite e piene, vissuto, in una parola, più di quello
scandito dalla regolarità di un orologio).
Realtà, esperienza materiale e
sogno;
esperienza onirica, spirituale, si fondono in noi creando
delle persone, delle identità.
Che, per una metà, più o meno a seconda dell’individuo e
del suo approccio al problema che si vuol risolvere qui, sono di genere
razionale, sistematico, pratico diremo. Ossia ricalcano gli aspetti della realtà
materiale e conformano il carattere e la personalità, l’aspetto e la morfologia,
le strategie di comportamento e percettive di un individuo a quanto attiene al
mondo della materia e del corpo.
E per l’altra metà, più o meno a seconda che la persona
sia fantasiosa e incline a sviluppare velocemente sensazioni eleganti ed
armoniose o tendente a farsi dominare dalle problematiche, immergendovisi
completamente, di carattere spirituale.
Fatte di emozioni
profonde e difficilmente spiegabili con le parole; di sentimenti impossibili a
ritrovare nel mondo materiale, di sostanze e forme inesistenti al corpo e ai
suoi strumenti percettivi. Quel che definiamo “sensitività” “intuito” o
“istinto”, in ogni caso qualcosa che spiegare è arduo. Nonostante sia chiara a
tutti la loro presenza ed indubitabile l’esistenza di tale categoria di fenomeni
che esulano dalla mera materialità e dall’esperienza dei soli cinque
sensi.
(C’è un altro interessante argomento che potrò
approfondire solo a condizione di incontrare partecipazione o almeno genuino
interesse, riscontro, è, una volta compresa la differenza fra logica razionale e
logica fantastica, senza approssimazioni generiche come di solito si tende a
fare, relegando la fantasia a ruolo di cenerentola a tutto vantaggio di una sua
sorellastra per nulla degna di tanto onore, la ragione; che ne sostiene
un’altra, anch’ella di nobili pretese, la scienza; per convogliare tutt’e tre,
con la filosofia, fondamento di ogni speculazione egoetica che ne discende, dalla retorica alla
teologia, fino alla matematica, in una sorta di complotto che cela
proditoriamente le regali origini della sorella
felice).
(Molti, tanti, troppi… non saranno d’accordo e
sosterranno ad oltranza, come si crede sia sempre stato per secoli, la ragione a
scapito della propria felicità. Ma, ahimé, non si vive di solo pane e, se hai
due soldi, compra con uno l’inevitabile pane per nutrire il corpo, ma con
l’altro, fiori per la salute della tua
anima!)
Dunque, si sostiene qui che la fantasia ha una logica e
che quella logica è almeno pari se non superiore per numerosi motivi alla
ragione, al raziocinio. Si tratta solo di scoprire, di arrivare a sentire qual
è, come funziona.
Collegandola, ovviamente, al percepire, al calcolo
pratico della mente, del cervello, della naturale propensione alla sopravvivenza
in un mondo che ha leggi e regole
differenti.
Ma, vi prego, non dimenticate, non restate chiusi nella
bolla di sapone delle apparenze. I sogni esistono. La loro è una realtà
certamente più grande di questa del corpo e della
materia.
La vita dell’anima ha perciò molte probabilità di essere
superiore a quella del nostro corpo, così costretto a mille compromessi. Dai
suoi desideri spesso sconosciuti ai più, al poco che si riesce a racimolare, di
felicità e soddisfazione, in una giornata, dall’alba al tramonto. Ossia, al
momento in cui si ritorna un po’ a morire, si molla un attimo, si lascia l’osso
così stretto tanto fra i denti e si riprende a sognare, a vivere felici per
quanto ci consente la condizione reale, per quanto possiamo volendoci
risvegliare il mattino seguente dove ci siamo addormentati. Non sapendo come
fare, cosa pensare se dovessimo, invece, trovarci
altrove.
…..
In pratica, voglio dire che il corpo ha dei limiti. E il
suo sentire può essere allargato, e così la nostra esperienza viva, compresa dal
medesimo, vissuta con esso, espansa. Tramite il ricordo, la pratica, l’esercizio
delle facoltà oniriche. Ossia collegando quanto sappiamo aver vissuto in una
dimensione aliena al materiale: l’onirico; a quel che è pratico e facilmente
definibile in pochi tratti poiché esperienza
comune.
E nonostante in tanti studi fatti sui sogni non sia
rimasta altro che un’ipotesi, possiamo qui facilmente pensare che, così come
riusciamo a condividere facilmente concetti, ossia esperienze che rientrano in
una comune categoria, classificandoli col linguaggio, evocandole l’un l’altro
con le parole, ugualmente potremmo condividere con magari uno strumento diverso
dal linguaggio, la pratica onirica.
Ovvero, potremmo rendere comuni con un sistema di
comunicazione relativo ad elementi onirici, fatti che sono esperienze personali.
Semplicemente riuscendo ad evocarle così come facciamo con le parole,
riferendoci a concetti che “significano” particolari cose, ossia,
esperienze.
E potremmo “parlare”, comunicare con sensazioni, emozioni
e sentimenti vissuti in sogno come elementi acquisiti, compresi, ben conosciuti
da tutti, allo stesso modo di come nella realtà viviamo un luogo o un oggetto od
un comportamento.
E’ ovvio che l’onirico ha leggi differenti da quelle del
mondo materiale. E’ come un pianeta alieno dove le leggi fondamentali variano
anche completamente. Rendendoci difficile equiparare quanto ivi succede a quel
che da svegli, poi, sappiamo aver
vissuto in maniera tanto simile da poterne condividere molti
aspetti.
Leggi importanti come quella di gravità, che ci tiene
incollati al suolo e genera il senso del sopra e sotto, non sono così chiare ed
evidenti nella dimensione onirica. E neppure il peso sembra avere molta
rilevanza. Tutto ciò che, nel mondo della materia assume carattere fondamentale,
nel mondo onirico è trasformato. Non la forma e la sostanza, ossia quanto ha
peso ed occupa spazio è fondamentale. E’ piuttosto vero e sostanziale quel che
ha una sua chiara emozione specificamente definita e differenziata dalle
altre.
Emozioni. E’ di questo che si compone l’onirico. Emozioni
di foggia e dimensioni varie. Che, nei sogni, che sono l’anticamera
dell’onirico, il ponte di quella dimensione fatta di “anime”, dunque, di
“emozioni” particolari probabilmente mai ricordate poi, da svegli. Esse assumono
fattezze sempre più vicine a quelle della materia fino al risveglio completo ed
al ritorno al corpo. Partendo da una lontana profondità che sondare richiederà
uno studio approfondito. Un lavoro di logica e sentimento. Un gioco affascinante
di senso compiuto e gioia di concepire e avvertire, percepire dentro, in fondo.
In luoghi viéti alla mente. Giacché troppo pesante e lenta per
accedervi.
L’argomento è avvincente. Se quel che conosciamo
dell’onirico è soltanto la parte che comunica con noi, corpi che ospitano
un’anima: una deformazione della nostra reale identità originale, allora, quel
che noi siamo davvero, in fondo, lontano da qui, la nostra anima, è un’emozione
meglio compiuta e completa. Diversa da ogni altra e, volendo, indipendente. Un
Sentimento.
E riuscire a creare un linguaggio di emozioni e
sentimenti qui, in questo mondo materiale che conosce il dolore e il sacrificio,
allora deduciamo, paga un prezzo per ottenere qualcosa che possiamo a buon
diritto ritenere a priori vantaggioso e molto bello, potrebb’essere il sistema
per capire, senza perdere il diritto sul corpo e l’esperienza in corso, cioè
quella che chiamiamo la nostra “vita”: chi siamo in fondo, in partenza e dove
vogliamo arrivare davvero.
Risolvere, passando per i sogni, scendendo sempre più
profondamente nell’onirico l’onnipresente mistero della vita. Che tutti
avvertiamo come tale. E capire il perché del dolore. E vivere meglio.
Avvicinando, unendo i nostri sforzi, organizzandoci per raggiungere uno scopo
che scopriremo, certamente, comune.
E’ ovvio che studiare i sogni con il metodo, il criterio,
il linguaggio della mente analitica, del raziocinio, della ragione, significa
fargli violenza e restare in superficie. Senza riuscire a “sentire” le emozioni
che sono l’essenza, la consistenza di quel linguaggio che dovremo adottare per
capire come si compone e com’è fatta la dimensione onirica.
Seppure noi lo già sappiamo e lo viviamo ogni notte, la
nostra difficoltà consiste nell’avvicinare le due forme di “cultura”, di
valutazione, del percepire.
Per far sì che l’una non modifichi l’altra e tutt’e due
possano convivere ad un giusto punto d’equilibrio. Punto che
permetterebbe oltreché la convivenza delle due strutture “logiche” in una
maniera quanto più possibile “originale”, anche la creazione di un linguaggio
mediatico, come si diceva, capace di lasciar concepire, capire e dedurre
dall’uno dell’altro punto di vista, fondendo assieme le tanto differenti
connotazioni in una sola.
Un progetto, un’idea ambiziosa ma meravigliosamente
bella.
Fantasia progettiva, il credere di poter fondere la
realtà e il sogno in un solo modo di percepire rappresenta il più alto ideale di
ogni essere umano che conosce gli eccezionali vantaggi dell’astrazione
intelligente.
L’immaginazione è quella capacità dell’uomo di adoperare
la mente penetrando i misteri di una dimensione aliena al corpo e alla materia.
Facoltà indubitabilmente preziosa, ha però numerose
controindicazioni.
La perdita di pragmatismo è il primo negativo deterrente.
E inoltre, l’atteggiamento distaccato, poco pratico di chi usa troppo
l’immaginazione è sintomo chiaro di quel che definiamo spesso come malattia.
Depressione o superficialità. Distrazione che può esser causa di difficoltà o
sventure nella vita pratica. Che, proprio grazie a tentativi superficiali di
approfondire le tematiche succitate, ha preso il sopravvento suscitando numerose
forme fobiche. Pure che, ripetutesi in numerosi individui e situazioni
corrispondenti, con regolarità, hanno dato una sorta di prova certa, in realtà
solo apparente, un vero e proprio pregiudizio, del fatto che indagare il mondo
del sogno è causa di disgrazia e malattia,
sfortuna.
Non si può non accettare il monito: non si può sognare ad
occhi aperti. Chi lo fa è punito dalla vita.
Eppure ognuno di noi lo sa, in cuor suo… non si vive
senza i sogni.
Sono i sogni che ci fanno vivere. Che ci danno energia…
energia che è semplicemente gioia di essere, di esserci, di percepire, di
sentire.
Il piacere di provare sensazioni. Di sommarle,
ricordandole, evocandole, in emozioni. La cosa più intelligente che una mente
possa concepire.
Lavorare con le emozioni è come creare un programma fatto
non di singoli comandi, ma, a sua volta, di programmi completi, nell’esempio,
per un computer che sarebbe la nostra mente: lo strumento che ci permette di
dominare il nostro corpo e con esso, la realtà che è troppo ‘diversa’ da noi, da
ciò che davvero, in fondo siamo.
Le emozioni sono più di una
cosa.
Possono essere un vero e proprio vertice. Una somma di
simili sensazioni che si fondono in un complesso equilibrio fra sogno e realtà.
Generando somiglianze.
Le sensazioni che possiamo associare si avvicinano e
generano un intreccio di emozioni che, da una parte sono la somma di sensazioni,
appunto, simili.
E, dall’altra, la probabilità che esse restino
tali.
E, altrettanto, viceversa, che si
dissocino.
Ossia, che dicendo qualcosa di nuovo, aggiungendo qualche
nuova variabile al disegno fatto di sensazioni vicine le une alle altre, possano
portare scompiglio nel gruppo generando associazioni
nuove.
E, da esse, nuove forme di emozioni che ci dicono come e
quanto quelle sensazioni pertinenti il mondo materiale, nonché l’onirico (e per
onirico intendo il profondo interiore, una dimensioni aliena al reale, non i
sogni soltanto, ma ciò che c’è oltre di essi che sono il ponte con la realtà)
sono avvicinabili o distanziabili senza modificare gli assetti, gli equilibri
che tengono assieme la nostra vita, la nostra identità, la nostra personalità,
il nostro carattere, il nostro intimo ‘sentire’. Ossia l’idea di ciò che
vorremmo davvero (che spesso non abbiamo mai visto né immaginato ma ‘sentiamo’
in qualche modo e da qualche parte, esistere per certo e restiamo, così, vivi).
E di quanto e cosa siamo disposti a sacrificare per
ottenerlo.
Ecco un bel gioco degno di essere
vissuto.
Un essere intelligente che valuta con le proprie emozioni
e non, avvizzito, rattristato, piegato e deluso, con semplici calcoli di
convenienza.
Dopo aver messo da parte la possibilità di
‘realizzarsi’.
E credo… non ci sia bisogno di spiegare ulteriormente il
concetto.
Sono stato breve e specifico. Succinto per ragioni ovvie.
Non a tutti, ma ai poeti si.
Ed ai poeti musicisti che sanno cos’è quel che chiamo
“Ergonomjtrya”, tanto di più.
Un sistema per calcolare quel che val la pena davvero
nella vita così come nei sogni e magari, anche oltre di essi, è qualcosa che
tutti vorremmo poter dire di possedere. E tanto spesso non possiamo proprio,
davvero.
Avere dei veri sentimenti: un gioco combinato di
emozioni, come dicevo prima, al giusto punto d’equilibrio fra realtà materiale e onirico è quel che ci
vuole per sapere se un sogno si può realizzare. Se una cosa che riusciamo a
conseguire, pratica, è davvero ciò che sembra. Per vedere e non guardare
soltanto. Per assaporare ciò che gli occhi toccano e non solo le pupille. Per
sapere che i sensi non son soltanto cinque. Che esistono cose che conosciamo
benissimo e possono essere ‘realizzate’ anche nella pratica. Che la pratica non
è solo la mortificante sensazione che una parte di noi non
esista.
E’ ovvio che un discorso del genere è come un antipasto
leggero, qualche biscottino ed un aperitivo analcolico prima di un lauto
pasto.
E che il lauto pasto sia composto di parole adatte,
congegnate al modo del sentimento vivo e vero posto a quel giusto punto
d’equilibrio.
E che il gusto di sentire quelle parole vada combinato
con il piacere onirico di ascoltarle, percepirle in un altro modo. E che, così,
esse debbano essere accompagnate da note di uno strumento o di voci, di un coro.
Musica, insomma, esse, per la realtà pragmatica e musica, pure, da questa parte
della nostra vita, che ci dica, ci faccia ricordare, non ci lasci dimenticare,
non ci costringa al troppo pensare, ragionare, riflettere. Ciò che è… che siamo,
che sentiamo e che sappiamo. Sì da poterlo quasi toccar con mano, assieme.
Scoprendo quel che sappiamo già con gioia
rinnovata.
La riscoperta di noi stessi, probabilmente. E la
scoperta, la più semplice e naturale del mondo. Il piacere di giocare un gioco
che noi stessi abbiamo scelto. Con amore e con
gioia.
Solo che per qualche strano motivo non ce ne
ricordiamo.
Ma non è difficile aiutare un piccolo cuore a non
dimenticare di essere tanto grande, più grande, forse, del mondo che oggi,
ancora adesso, vede enorme, più di lui, poiché lo ama così
tanto.
Sjnkhro – Leo
p.s. quest’analisi è, invero, per me, del tutto
superflua. Ma è una vera gioia scrivere e trovare corrispondenze razionali con
ciò che, profondo è ovvio e chiaro. Evidentemente, il mio piacere nasce dal
fatto che spero di procurarne a qualcuno di voi che, leggendo, saprete
apprezzare le vostre migliori capacità riuscendo ad amare quella bella persona
che siete come magari, mai avete fatto prima. Ed è il primo passo che apprezzare
una realtà che non si può non amare per quel che è. Avvincente e dura, è un vero impegno. Una
sfida a non mollare che promette premi davvero incoraggianti. Di cui posso darvi
anche più di un cenno. A presto
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