sabato 1 dicembre 2012

L'italiano malato



Vi avverto, è uno sfogo lungo e noioso. Nel 2007 (Corriere della Sera.it), il 54,5% delle famiglie italiane preferiva parlare il "dialetto" in casa. Probabilmente perché - e sono dati del 2001 - circa il 20% della popolazione italiana poteva già essere considerata affetta da "analfabetismo di ritorno". Non avendo più confidenza con la lingua percepita come "ufficiale", il più delle volte appresa a scuola, molti si sono affidati a quella variante di lingua che mescola italiano e forme dialettali (anche i dialetti "storici" non esistono più). Si chiamano varianti "diatopiche" perché dipendono dal luogo geografico ("topos" in greco, come "carta topografica"). Nel 2012 ci interroghiamo ancora sulla rivalutazione del nostro "petrolio", il patrimonio culturale (che non è costituito solo da monumenti!), per rilanciare l'economia italiana (Stati Generali della Cultura, Roma 15 novembre 2012). Sarebbe in grado il popolo italiano di apprezzarlo? Se il 46,1% della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni si trova al livello 1 (estrema difficoltà) della scala di comprensione di un testo in prosa (rapporto Ocse 2011), che prospettiva abbiamo? Incrociando le statistiche e aggiornando ipoteticamente i dati, "il 70% degli italiani non possiede le competenze «per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana». Sono numeri che, in una condizione economica ordinaria (e in un Paese consapevole), farebbero scattare subito l’emergenza sociale" (P. Di Stefano). Lo constato amaramente attraverso gli studenti stranieri, che riportano i loro problemi: chiedono aiuto ai compagni di corso italiani (perciò parliamo di universitari), che non sanno aiutarli, parlano male e scrivono peggio (per accorgersene gli stranieri...). La tecnologia, mi dispiace dirlo, non aiuta, non perché sia malvagia, ma perché è usata acriticamente e in modo esclusivo. Gino Roncaglia, che insegna Informatica, ha indagato le dinamiche della lettura nel passaggio dalla carta all’era digitale: «Più che di un mondo di analfabeti parlerei di un mondo disabituato alla lettura complessa, perché i testi che circolano nel web sono per lo più brevi, frammentari, semplici e informali». Quel che viene meno è il discorso argomentativo, costruito con sofisticate architetture di sintassi e di pensiero. Dice ancora Roncaglia: «Non credo che la frammentarietà del web sia strutturale, ma certo la forma paradigmatica di complessità e completezza rimane quella del libro e ritengo che si debba combattere contro la sua scomparsa [...] Va bene lavorare con materiali di rete e modulari, ma il libro di testo come filo conduttore autorevole va conservato. L’autorevolezza testuale non è autoritaria». Proviamo a pensare a cosa succede quando restiamo "senza parole". Proviamo a chiedere a uno specialista cosa succede nei casi di disturbo del linguaggio. L'Italia non ha bisogno di politici, bensì di terapisti.
MM

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