Vi avverto, è uno sfogo lungo e noioso. Nel 2007
(Corriere della Sera.it), il 54,5% delle famiglie italiane preferiva parlare il
"dialetto" in casa. Probabilmente perché - e sono dati del 2001 - circa il 20%
della popolazione italiana poteva già essere considerata affetta da
"analfabetismo di ritorno". Non avendo più confidenza con la lingua percepita
come "ufficiale", il più delle volte appresa a scuola, molti si sono affidati a
quella variante di lingua che mescola italiano e forme dialettali (anche i
dialetti "storici" non esistono più). Si chiamano varianti "diatopiche" perché
dipendono dal luogo geografico ("topos" in greco, come "carta topografica"). Nel
2012 ci interroghiamo ancora sulla rivalutazione del nostro "petrolio", il
patrimonio culturale (che non è costituito solo da monumenti!), per rilanciare
l'economia italiana (Stati Generali della Cultura, Roma 15 novembre 2012).
Sarebbe in grado il popolo italiano di apprezzarlo? Se il 46,1% della
popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni si trova al livello 1 (estrema
difficoltà) della scala di comprensione di un testo in prosa (rapporto Ocse
2011), che prospettiva abbiamo? Incrociando le statistiche e aggiornando
ipoteticamente i dati, "il 70% degli italiani non possiede le competenze «per
orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana,
situazioni complesse e problemi della vita sociale quotidiana». Sono numeri che,
in una condizione economica ordinaria (e in un Paese consapevole), farebbero
scattare subito l’emergenza sociale" (P. Di Stefano). Lo constato amaramente
attraverso gli studenti stranieri, che riportano i loro problemi: chiedono aiuto
ai compagni di corso italiani (perciò parliamo di universitari), che non sanno
aiutarli, parlano male e scrivono peggio (per accorgersene gli stranieri...). La
tecnologia, mi dispiace dirlo, non aiuta, non perché sia malvagia, ma perché è
usata acriticamente e in modo esclusivo. Gino Roncaglia, che insegna
Informatica, ha indagato le dinamiche della lettura nel passaggio dalla carta
all’era digitale: «Più che di un mondo di analfabeti parlerei di un mondo
disabituato alla lettura complessa, perché i testi che circolano nel web sono
per lo più brevi, frammentari, semplici e informali». Quel che viene meno è il
discorso argomentativo, costruito con sofisticate architetture di sintassi e di
pensiero. Dice ancora Roncaglia: «Non credo che la frammentarietà del web sia
strutturale, ma certo la forma paradigmatica di complessità e completezza rimane
quella del libro e ritengo che si debba combattere contro la sua scomparsa [...]
Va bene lavorare con materiali di rete e modulari, ma il libro di testo come
filo conduttore autorevole va conservato. L’autorevolezza testuale non è
autoritaria». Proviamo a pensare a cosa succede quando restiamo "senza
parole". Proviamo a chiedere a uno specialista cosa succede nei casi di disturbo
del linguaggio. L'Italia non ha bisogno di politici, bensì di
terapisti.
MM
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