venerdì 7 dicembre 2012

Dopo Libia, tocca a Siria, Russia, Iran...


Dopo Libia, tocca a Siria, Russia, Iran...

La Russia può essere il prossimo Paese a conoscere «una insurrezione tipo Libia», perchè «ha bisogno di democrazia» proprio come la Libia: l’ha detto il senatore, ed ex candidato presidenziale repubblicano John McCain. Esultante, ha annunciato «The next stop»: «Dopo Gheddafi, il prossimo a cadere è Bashar Assad», il siriano, ha preannunciato. E poi ha auspicato che «il fuoco della ribellione si estenda ad altri Paesi», fra cui appunto la Russia, e in generale ad altri popoli il cui «livello di vita è così basso, che necessitano di ribellarsi immediatamante».

Non si presume che McCain comprendesse nella lista gli Stati Uniti, ancorchè il livello di vita lì sia bassissimo per i più di 30 milioni di persone che campano coi buoni-pasto della carità sociale. (Democrazy: McMouth flies 'freedom' flag)

John McCain
John McCain
L’inquietante uscita di McCain, del tutto non-provocata, sembra confermare i peggiori sospetti di Vladislav Gulevitch, un analista di Strategic Culture Foundation, un sito russo che pare avere buone fonti d’intelligence, che la mette così – del resto, citando Paul Graig Roberts, un ex vice segretario di Stato al Tesoro USA – «Noi (americani) dobbiamo rovesciare Ghedafi e Assad in Siria perchè vogliamo espellere Cina e Russia dal Mediterraneo».

Mosca ha una forte base navale in Siria, a Tartus, che è la sola presenza della Marina Militare russa nel Mediterraneo. Tartus deve rimpiazzare la base navale di Sebastopoli nel Mar Nero, da cui l’Ucraina indipendente vuole sloggiare la flotta. Se in Siria arriva la democrazia, la flotta russa sarà chiusa nel Mar Nero, e quando Kiev la sloggerà, dovrà ridursi addirittura alla base di Novorossyssk, siberiana, poco agibile per i ghiacci.

«Dopo di che, la Russia uscirà dalla lista dei Paesi con una presenza navale nei mari occidentali», dice Gulevitch. (Siria: il costo della crisi)

Ovviamente, la dichiarazione di McCain getta anche un dubbio sulla spontaneità delle primavere arabe in corso. È un dubbio che fatico a condividere: non è strano che i popoli si ribellino a dittature vecchie di 40 anni. Ma fatico meno a condividerlo per quanto riguarda la primavera libica, e quella siriana. In Libia, l’opera di disinformazione, propaganda e falsità dei network americani e arabi e dei loro inviati è saltata agli occhi persino ai non-addetti ai lavori: atrocità attribuite a Gheddafi, mai avvenute; vittorie dei ribelli che erano batoste, figli del dittatore uccisi, che tenevano poi conferenze stampa.

Della Siria conosco poco, non ci sono mai stato, e so che la minoranza alawita (un gruppo sciita in odore di eresia) che la guida con pugno di ferro è capacissima di crudeltà incredibili. Ma sono ormai sei mesi che folle di manifestanti, descritte dai media come inermi, resistono al regime, ai suoi carri armati e ai suoi elicotteri; in qualche caso, il regime ha dovuto usare artiglieria e mitragliatrici pesanti. Senza piegare la popolazione. È davvero così disarmato il popolo siriano insorto?

Secondo Dimitri Rogozin, delegato della Federazione Russa presso la NATO, «La NATO sta pianificando una campagna militare contro la Siria per rovesciare il regime di Assad con lobbiettivo a lungo termine di preparareuna testa di ponte per attaccare lIran».

Dal Canada, il professor Michel Chossudovsky sostiene che in Siria è in atto un’insurrezione armata integrata con mujahedin estremisti (definiti ufficialmente «Freedom fighters», come ufficialmente erano chiamati i talebani – allora buoni – che la CIA armò per combattere contro i sovietici in Afghanistan) armati e addestrati dalla NATO e dagli alti comandi della Turchia. Nei quartieri NATO a Bruxelles si sta pensando, dice Chossudovsky, di intensificare la dotazione ai ribelli di razzi anticarro e anti-elicottero, mortai e mitragliatrici pesanti, come soluzione migliore della no-fly zone adottata in Libia (Michel Chossudovsky LOTAN et la Turquie appuient les rebelles armés en Syrie. Recrutement de mujahideen. Mondialisation.ca 16 aout 2011).

Padre Elias Zahlaoui, sacerdote siro-cattolico, ha scritto una lettera aperta al ministro degli Esteri francese Juppè (La Siria è stata una colonia francese fino al dopoguerra) invitandolo a farla finita «con lingerenza straniera nel mio Paese», accusando gli occidentali «di recitare la parte dei mostri dal volto umano», e denunciando una signora Michèle Flournoy, «consigliera del Pentagono», la quale «ha dichiarato pubblicamente che la Siria ritroverà la calma il giorno in cui romperà con Iran ed Hezbollah, e firmerà un trattato di pace con Israele». (Lettre ouverte d’un prêtre Arabe de Syrie à Monsieur Alain JUPPE, Ministre des Affaires Étrangères de la France)

Il periodico France Catholique ha accolto la testimonianza di madre Agnès-Mariam della Croce, superiora del convento nell’importante santuario di San Giovanni l’Interciso in Siria, e francese di nascita. La suora accusa:

«Per essere informati di quel che avviene in Siria, non basta seguire le notizie fornite dalle catene internazionali. Noi lo constatiamo continuamente; la realtà che si vive qui è diversa da quella che trasmettono i media. Questi network non accompagnano gli eventi, li precedono per provocarli. Noi abbiamo cercato di documentarci in tempo reale telefonando a conoscenti che vivono nei luoghi dove sono avvenuti gli incidenti descritti: la situazione era più somigliante a quella descritta dalla televisione siriana che a quelle propagata da Al Jazeera, BBC o France 24... per mezzo di montaggi e compilazioni audiovisive menzognere e di cattiva qualità».

La madre parla di ingerenza straniera, «rifiutata fieramente da una parte dellopposizione»; di diversi luoghi dove l’opposizione «è tramutata in insurrezione armata che commette atrocità contro la popolazione civile e le forze dellordine e dellarmata»; infine ammette che «lesacerbazione della frattura confessionale è una triste realtà», ma è eccitata «dalle grandi potenze a forza di indottrinamento mediatico che gioca sulla corda del fondamentalismo religioso».

«Il popolo siriano è composto, prosegue la religiosa, da sunniti, alawiti, sciiti,cristiani, drusi, arabi, curdi, caucasici... Non è facile tenere un tal mosaico nella pace civile. Il partito Baath lha ottenuto rispettando le regole che presiedono alle strutture tribali e di clan dellOriente».

Sembrerebbe che madre Agnes-Marian ripeta qui la propaganda di Damasco, tristemente cosciente della fine che fanno le minoranze cristiane nei Paesi a cui l’America ha portato la democrazia, e liberati dalle dittature laiche, come l’Iraq di Saddam. Ma essa dice: «Questo regime era totalitario e corrotto. Oggi però una sana autocritica è in corso pubblicamente, e sono promulgate leggi ottenute da unopposizione sana, per delle riforme desiderate».

Sarebbe dunque in corso la delicata riforma che Assad figlio, educato a Londra, aveva effettivamente promesso. E in questa fase delicata «linsurrezione armata in Siria è inoculata come un tumore... La Siria vive da mesi dei larvati colpi di Stato, perchè questo rimodellamento non può essere instaurato senza la forza dlle armi. Ma la Siria è lungi dal crollare. I focolai dove si cercano di attizzare gli antagonismi confessionali sono isolati e controllati, a volte a prezzo di sangue quando la resistenza è armata, via via che la popolazione presa in ostaggio fa appello allesercito».

La voce della suora è senza peso, di fronte ai reportages della CNN. Suscita incredulità e sospetto, proprio perchè è debole: il mezzo è il messaggio.

Philip Zelikow
Philip Zelikow
Ma sul Financial Times, la voce ben più influente di Philip Zelikow, ebreo e uomo di Stato in una posizione-chiave durante gli anni di Bush jr., ha scritto esultante: «La caduta di Gheddafi rinnoverà la primavera araba», e si riferisce esplicitamente al regime siriano: dopo il crollo del regime libico, il movimento di liberazione anche là «rinnoverà il suo impulso; la lotta in Siria, che si intensifica lentamente, verrà sempre più alla ribalta».

E spiega, Zelikow, quali siano i democratici promotori della democrazia in Siria:

«Gran parte dellimpulso politico alla primavera araba viene dagli Stati del Golfo, come lArabia Saudita, gli Emirati e il Qatar. È la loro ora. Il governo saudita sta svolgendo un ruolo-chiave nella diplomazia araba che oggi isola la Siria. Gli Emirati, con i sauditi, hanno fornito i fondi che hanno consentito ai governanti di transizione in Egitto di non accettare i condizionamenti offerti dalle istituzioni finanziarie internazionali. Il govero nel Qatar ha svolto un ruolo vitale nella rivoluzione in Libia». (Libya as a model for redividing the Middle East)

Ecco dunque i campioni della democrazia che tirano le fila della primavera araba: le retrive e repressive monarchie del Golfo, satelliti degli USA. E se questa sovversione dovesse portare alla frantumazione degli Stati liberati in un caos ingovernabile di kabile e fondamentalisti religiosi in perpetua lotta l’uno contro l’altro – è il destino certo della Libia – Zelikow invita a non preoccuparsene: «Il modello di Stato unitario, istituzionale», non era che «il figlio decrepito della decolonizzazione». Questo modello statalista e unitario copiato dagli stati europei «era la causa di tutte le complicità, e sta dando luogo a qualcosa di nuovo... comunità multi-etniche in Libia, Iraq e Siria sperimenteranno soluzioni federali o anche confederali»…

Progetto inquietante, se si ricorda il curriculum Philip Zelikow: ex consigliere del National Security Council sotto Bush-padre durante il periodo in cui collassò l’impero sovietico, consigliere del Dipartimento di Stato sotto (o sopra?) Condoleeza Rice ai tempi di Bush figlio, per costui occupò un posto importantissimo anche se poco visibile: direttore esecutivo della Commissione senatoriale sull’11 settembre. Insomma era lui che, per i senatori, selezionava il materiale informativo sull’attentato di Al Qaeda. Dunque fu l’uomo chiave per nascondere le responsabilità americane sul mega-attentato, fornendo informazioni false e lacunose. Cosa di cui qualche senatore di quella Commissione, anni dopo, s’è debolmente lamentato.

Zelikow è dunque una delle figure più importanti della congiura interna che provocò l’11 settembre per inaugurare il Nuovo Secolo Americano. Se volete rinfrescarvi la memoria, vedete la voce Project for a New American Centuryqui. (Project for the New American Century)

Vedete i nomi dei partecipanti e dei congiurati. Il Project era allora un think tank di Washington, strapieno di neocon ebrei e non, parte dei quali poi entrarono nel governo Bush jr. come controllori, e provocarono la nuova Pearl Harbor necessaria per convincere gli americani ad entrare nella ultra-decennale Guerra al Terrorismo Globale. Si intuirà meglio di che cosa parla Zelikow: non è che il proseguimento dell’azione additata da Oded Yinon, giornalista israeliano spesso portavoce dei servizi, in un articolo pubblicato nel 1982 dalla rivista ebraica Kivunim (Direttive). L’articolo si intitolava Strategie per Israele negli anni 80, e preconizzava una vasta azione di sovversione intesa a frazionare gli Stati del Medio Oriente «per linee etniche e religiose». Unità sub-statali piccole e litigiose avrebbero neutralizzato tutti i nemici di Israele. (A Strategy for Israel in the Nineteen Eighties)

Wesley Clark
Wesley Clark
Il generale Wesley Clark, che comandò i bombardamenti durante l’intervento NATO per il Kossovo, ha raccontato in un suo libro di memorie nel 2003 che, facendo visita nel novembre 2001 ad un suo amico al Pentagono, gli aveva chiesto – incredulo – se davvero l’America stava per invadere l’Afghanistan. C’è di peggio, gli confidò l’amico: e gli sventolò sotto il naso un memorandum di Paul Wolfowitz per Rumsfeld, dove si progettavano attacchi successivi a «Iraq, Iran, Siria, Libia, Sudan, Somalia» e, ovviamente, al Libano. (Gen. Wesley Clark Weighs Presidential Bid: "I Think About It Everyday")

Gli stessi gruppi, viene rivelato adesso, furono dietro la spontanea sollevazione di Eltsin a Mosca, che portò alla frantumazione dell’URSS. (L'altra verità sul golpe di Mosca | Testo integrale in inglese)

La novità non è tanto nell’apprendere che il progetto di sovversione del Medio Oriente continua; è che continua anche dietro le spalle del presidente Obama e apparentemente nonostante i suoi tentativi per starne fuori (come insinua Haaretz, Obama «è stato trascinato in battaglia (contro la Libia) contro la sua volontà»). (Gadhafi’s fall: A victory for NATO, but not for Obama)

Anzi, perfino senza la cooperazione di Israele, dove il regime di Netanyahu sembra piuttosto sconcertato dalla sparizione di Mubarak e di Gheddafi, con cui aveva rapporti più che stabili. Come la caduta di Assad in Siria, il grande cambiamento costringe Israele a cambiare la sua politica consolidata e ad affrontare futuri capi che non conosce.

Nel marzo scorso, varie indiscrezioni a Washington hanno dato notizia di disaccordi tra israeliani e neocon americani sulla caduta di Gheddafi, venuti a galla durante una riunione dell’American Enterprise Institute, il famoso think tank di Wolfowitz. (Obama Makes Bedfellows With Neocon Boffins On Libya)(Jihad Hunters vs. the Neocons)

Non si sfugge alla inquietante sensazione che un supergoverno mondiale, un segreto Kahal, conduca operazioni in cui anche la Casa Bianca, e persino Tel Aviv, non sono che riluttanti pedine. A meno che il vero comandante non sia quello che Dubya Bush additò nel suo discorso d’investitura nel 2000; prima, si noti, che l’attentato dell’11 settembre facesse spirare i venti di guerra. Bush jr. concluse il suo discorso, tutto compassionevole-conservatore, con una frase sul destino degli Stati Uniti: «Questa storia va avanti. E ancora un angelo cavalca il vortice e dirige questa tempesta».

Un lettore dell’Apocalisse dovrebbe riconoscere questo Angelo, di cui Bush l’ebefrenico si dichiarava non solo suddito, ma pedina e fantoccio. (Primo discorso inaugurale)

È la Potenza a cui è stato dato poco tempo?



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