martedì 16 ottobre 2012

IL RIDICOLO PREMIO NOBEL ALLA NUOVA UNIONE SOVIETICA


di CARLO ZUCCHI*
Caccia a Ottobre Rosso è forse il film che meglio simboleggia il tramonto dell’impero sovietico. Quando lo vidi per la prima volta nel lontano 1991, nel pieno del crollo dell’impero sovietico, ricordo l’entusiasmo e la gioia che provavo nel veder celebrata la fine di quella perversione mentale che è stata ed è tutt’ora il comunismo.
Purtroppo, più passa il tempo e più, nel rivederlo, vengo colto da un sentimento di nostalgia misto a delusione. Nostalgia, nel ricordare l’entusiasmo che mi pervase nel vedere crollare quel mondo di menzogne che aveva affascinato milioni di italiani; delusione nel constatare che i comunisti italiani non si sono ravveduti nemmeno di fronte all’evidenza e perché, a distanza di anni, le fanfare dell’anticapitalismo sono tornate a farsi sentire più fastidiose che mai, complici la crisi del 2008 e la politica monetaria scellerata che l’ha provocata. A quasi un quarto di secolo dal crollo del Muro di Berlino abbiamo un’Europa mediterranea formata da nazioni incapaci di ridurre il peso dei rispettivi apparati statali, una Cina comunista sempre più forte e il mondo islamico pervaso da spinte fondamentaliste alimentate da movimenti anti-moderni e anti-occidentali che acquisiscono sempre più consenso fra una popolazione frustrata da decenni di dittature militari corrotte, sostenute dall’Occidente. Dall’altra parte dell’oceano il Sud America è in balia di demagoghi comunisti che stanno mandando in rovina i rispettivi paesi, come Hugo Chavez in Venezuela, appena rieletto, Cristina Kirchner in Argentina, Evo Morales in Bolivia e Rafael Correa in Ecuador. Unica eccezione è il Brasile, dove Ignacio Lula da Silva non ha ceduto alla tentazione demagogica se non nel momento di concedere la grazie all’ex-terrorista rosso Cesare Battisti. E se il Sud America piange, il Nord America non ride, con gli Stati Uniti governati da un estremista socialista come Barack Obama.
In uno scenario del genere, non c’è da meravigliarsi se, dopo aver dato il Nobel per la pace a Obama nel 2009, i bravi e buoni socialdemocratici di Oslo l’hanno conferito all’Unione Europea. O, per meglio dire, all’Unione delle Repubbliche Socialiste Europee. Come ci raccontano l’ex-dissidente sovietico Vladimir Bukovskij e Pavel Stroilov nel loro libro EURSS, le istituzioni europee si sono formate negli anni Ottanta in un clima di convergenza tra l’allora presidente sovietico Mikhail Gorbaciov – anch’egli Nobel per la pace nel 1990 – e i leader dei principali paesi socialisti dell’allora Cee. Preso atto del fallimento dell’esperimento sovietico, il 26 marzo 1987 Gorbaciov e il Politburo del Comitato centrale del Pcus decisero di strizzare l’occhio all’Europa occidentale per portarla nella propria orbita e sottrarla all’abbraccio degli Stati Uniti. Per questo, furono contattati i leader dei partiti socialisti e comunisti occidentali, dal comunista italiano Alessandro Natta, al socialista spagnolo Francisco Ordoñez, ai tedeschi Hans-Jochen Vogel e Willy Brandt, passando per l’allora Presidente della Repubblica francese François Mitterrand, agli inglesi Kenneth Coats e Ken il rosso, al secolo Ken Livingstone. Secondo i propositi di Coats “La creazione di un’infrastruttura di cooperazione fra i due parlamenti (europeo e sovietico) consentirà […] d’isolare i leader di destra nell’Europarlamento (e in Europa), i quali contano sul crollo dell’Urss”. La strategia consisteva nel trasformare il Comecon (la Cee del Patto di Varsavia) in un mercato comune sul modello europeo e, contemporaneamente, modificare le strutture della Cee in direzione socialista così da creare un’omogeneità Cee e Comecon, creando così i presupposti per un’integrazione tra Europa occidentale ed Europa comunista. All’atto pratico, si trattava di influenzare in tutti modi la politica degli stati europei, consentendo alle forze più “progressiste” di arrivare al potere. L’allora presidente della Commissione Europea Jacques Delors, attraverso l’amico Georges Berthoin, dette vita a una serie frenetica di incontri con l’Urss. Le sue parole con i sovietici sono eloquenti: “ Delors è un uomo in grado di influenzare la posizione degli altri paesi e dal quale dipende molto la futura posizione delle Comunità Europee”. Convinzione di Berthoin era che l’Europa dovesse avere un ruolo “autonomo” rispetto agli Usa, per ottenere il quale il sostegno dell’Urss era necessario.
Tra le motivazioni addotte per l’assegnazione del Nobel, c’è anche quella secondo cui l’UE, “da oltre sessant’anni contribuisce a promuovere pace, riconciliazione, democrazia e diritti umani in Europa”. Ma se l’Europa è in pace da oltre sessant’anni è perché gli Stati Uniti l’hanno di fatto disarmata, poiché avevano bisogno di un’Europa scevra da divisioni per fronteggiare la minaccia sovietica. Insomma, più che l’UE poté lo spauracchio sovietico e allora tanto varrebbe conferire il Nobel all’ex URSS, unione defunta quanto l’attuale Unione Europea. Solo che mentre l’URSS è stata seppellita, l’UE, invece, continua a vagare come uno zombie burocratico.
Come diceva lo storico inglese Robert Conquest, per leggere Tolstoj non abbiamo avuto bisogno di confederarci con l’Unione Sovietica; una confederazione del genere, semmai, ci avrebbe impedito di leggere Solženicyn. Oggi, In Europa, leggere Solženicyn non è certo proibito. È semplicemente inutile in un continente a tal punto corrotto dallo statalismo, che i suoi abitanti sono pronti a vendere la propria libertà in cambio un posto di funzionario a Bruxelles.

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